Introduzione
L’intervento
vuole dare conto di documenti, di analisi e di studi sulla strategia
politica statunitense e dei suoi alleati (UK e Israele soprattutto)
degli anni ’80-2010, analisi e studi che in Italia sono stati
analizzati soltanto da pochi esperti (ad es. Manlio Dinucci) e su i
quali c’è stata scarsa riflessione anche nei gruppi di solidarietà
con la questione palestinese e nei movimenti antiguerra. Studi che
mettono in evidenza come il pensiero neocon degli anni ’80-’90,
nei vari think tanks, fosse fortemente intrecciato e condiviso con il
pensiero di sionisti americani e israeliani dai primi anni ’80, nel
progetto di controllare a livello economico e militare le risorse
mondiali e in particolare in Medio Oriente.
Molti sono
stati gli esperti occidentali, in particolare di lingua inglese, i
giornalisti e gli studiosi, che hanno scritto su questo tema, nel
decennio dopo il 2000 e dopo l’11 settembre 2001, saggi o libri non
tradotti in Italia e/o comunque poco divulgati e discussi. Come in
particolare, fra gli altri, il lavoro di Jonathan Cook, studioso e
giornalista inglese, Israel and the
Clash of Civilisations. Iraq, Iran and the
Plan to Remake the Middle East (Pluto 2008).
Sul tema della militarizzazione USA e del ruolo del complesso
militare-industriale-culturale-securitario occidentale hanno scritto
alcuni dei maggiori studiosi statunitensi fra i quali Noam Chomsky e
Chalmers Johnson. Sull’intreccio neocon-Israele sono importanti le
ricerche presentate nel libro di Mearsheimer e Walt sulla Israel
Lobby in USA. E molti esperti hanno scritto
e scrivono da anni nel sito di Global Research e di Counterpunch.
Questo
intervento non fa riferimento esplicito, per motivi di tempo, allo
stretto intreccio del progetto strategico politico/militare
occidentale con le politiche neoliberiste, con l’imposizione della
globalizzazione economica che ripropone una accumulazione
‘originaria’ ovunque sia possibile, con la conseguente
spoliazione e devastazione di territori, sempre più soggetti alla
rapina delle risorse, e di popolazioni deprivate dei propri diritti
ed espulse dai loro paesi devastati dalle guerre provocate dal
complesso militare-industriale occidentale.
Per un
Nuovo Medio Oriente
Nel luglio
2006, durante l’attacco israeliano al sud del Libano, Condoleeza
Rice era in Israele e con Ehud Olmert, l’allora premier israeliano,
annunciarono in una conferenza stampa che il progetto di un Nuovo
Medio Oriente stava per nascere. Negli stessi giorni si inaugurava il
nuovo terminal dell’oleodotto petrolifero Baku-Tbilisi-Ceyhan
(BTC), con sbocco nel Mediterraneo1.
Il nuovo
corso, la nuova Roadmap, dopo l’aggressione e l’occupazione
dell’Iraq da parte di USA e alleati, nel marzo 2003, iniziava un
altro periodo di instabilità e caos
nei paesi del vicino Levante che ne erano il centro, il Libano e la
Siria. Esso è stato definito un “caos costruttivo”2,
che avrebbe giovato in particolare agli interessi geostrategici degli
Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele. Questo caos avrebbe determinato
violenze e guerra ovunque in quel territorio, dopo la prima fase
organizzata in Afganistan e Irak. È un caos “costruttivo”
perché avrebbe condotto a un nuovo ordine mediante una “spaventosa
forza rivoluzionaria”,
come scriveva in quegli anni il neocon e consigliere di George W.
Bush, Michael Ledeen, come vedremo più tardi.
Il piano
Ynon per la destabilizzazione e divisione del Medio Oriente (febbraio
1982)
Il ridisegno
complessivo di tutta la regione mediorientale, ha una lunga storia di
formazione, è già presente nei decenni dopo la seconda guerra
mondiale, nella fase di strutturazione e definizione di Israele come
Stato e come potenza militare e nucleare del Mediterraneo.
Già negli
anni ’50, come scrive Israel Shahak nella prefazione al Piano
Ynon3,
il sionismo pensava a un piano per fare di Israele una potenza
imperiale regionale. Era un tema ricorrente che faceva riferimento al
pensiero coloniale britannico. L’idea si inseriva nel progetto USA
per mantenere il M.O. sotto il controllo occidentale, che era stato
inizialmente organizzato nel 1953 con la cacciata di Mossadeq dal
governo in Iran e con il sostegno allo Scià, nel 1955 con il “patto
di Bagdad”, nel 1957 con la dottrina Einsenhower per costruire una
alleanza di Stati arabi filoccidentali contro il pericolo del
panarabismo nasseriano e di un maggiore legame con l’URSS.4
L’idea si era contemporaneamente sviluppata in Israele, nella fase
di preparazione per la costruzione della bomba atomica, per uno
scambio fra aiuti in materiale nucleare da Francia, Norvegia e Gran
Bretagna, ricevuti in seguito il 1956, e sostegno per l’aggressione
all’Egitto di Nasser. Si era infine consolidata con la vittoria
nella guerra del giugno 1967 e l’occupazione dei Territori di
Cisgiordania e Gaza. La situazione si era andata
complicando/riscaldando con la caduta dello scià in Iran, nel 1979,
lo stabilirsi di una Repubblica islamica, con l‘elezione di Reagan
alla Presidenza degli USA e l’insediamento di Menachem Begin
(Likud) in Israele, l’invasione sovietica dell’Afganistan e
l’inizio della guerra Iran-Irak (armate entrambe l’una contro
l’altra dagli USA e anche da URSS) che durerà 8 anni e porterà i
due paesi allo stremo delle forze.
Il documento
del giornalista e consulente del Ministero degli esteri, Oded Ynon,
Una strategia per Israele negli anni ’80,
esce nel febbraio 1982
sul giornale Kivunim (Direzioni)
del Dipartimento di Informazione dell’Organizzazione Sionista
mondiale. Viene pubblicato nel luglio dello stesso anno da Israel
Shahak5,
docente di chimica a Gerusalemme, molto critico nei confronti della
politica dei governi. Nell’Introduzione, firmata da Khalil Nakhleh,
si afferma l’importanza della pubblicazione per l’opinione
pubblica israeliana più interessata, per mostrare le vere intenzioni
delle politiche sioniste, i suoi piani per creare un sistema capace
di “punire” ogni possibilità di rivolta delle popolazioni
palestinesi oppresse e procedere al suo espansionismo. “Quello
che essi stanno pianificando non è un mondo arabo ma un mondo di
Stati arabi frammentato e pronto a soccombere all’egemonia
israeliana”. La pubblicazione è necessaria
anche per gli Stati arabi e per i palestinesi non in grado di
comprendere l’essenza stessa dello “Stato sionista”,
di “de-palestinizzazione”
della Palestina, che alcuni studiosi definiranno, a partire dagli
anni ’90, come“colonialismo
d’insediamento”6.
Il documento
pone in evidenza la svolta storica degli anni ’80, le
trasformazioni politiche, economiche, militari, la necessità di
nuove strategie e di un quadro politico, militare, culturale nuovo.
L‘organizzazione sionista in USA AIPAC benché fondata nel 1953
ebbe un effettivo successo e molti finanziamenti proprio dalla metà
degli anni ’70.
Come scrive
Ynon, ma è il pensiero mainstream di
altri analisti israeliani, come affermerà in seguito Chomsky7,
i pericoli sono due: l’URSS come superpotenza mondiale e il
nazionalismo arabo, in un mondo arabo che monopolizza le risorse
petrolifere, a scapito degli Stati occidentali. Occorreva nuovamente
“Ottomanizzare“ il Medio Oriente. Occorreva in realtà impedire a
qualsiasi altro stato/potenza di competere nella regione con armi
atomiche e assicurare il controllo del flusso e dei prezzi delle
risorse energetiche per l’Occidente.
Il documento
di Ynon analizza punto per punto la situazione dei vari Stati
mediorientali la loro debolezza per la situazione interna dovuta alle
minoranze religiose ed etniche: emerge in generale una instabilità
regionale totale, un grande gap fra ricchi e poveri e tra maggioranza
sunnita e altre minoranze, soprattutto sciiti e kurdi. Questa
situazione rende lo Stato di Israele molto insicuro ma offre anche
opportunità reali.
Certo, aggiunge, un tragico errore è stato quello del giugno 1967 di
non “aver dato la Giordania ai Palestinesi”.
Cioè di inviarli tutti oltre confine.
E ancora,
afferma Ynon, è una gran perdita dover abbandonare l’occupazione
del canale di Suez e di ricchi giacimenti di petrolio e gas del
Sinai. Perciò si devono operare grandi cambiamenti in questo
decennio: “dobbiamo ritornare in Sinai alla
situazione precedente la “ visita” di Sadat e all’errore fatto
con gli accordi del 1979 (per il ritorno del Sinai all’Egitto).
L’Egitto non costituisce un problema a livello militare, “si può
fare in un giorno”. Poiché l’Egitto non è più una potenza
politica guida nel mondo arabo. Occorre frammentare l’Egitto in
regioni distinte, così si potranno destabilizzare e frammentare
Libia e Sudan in tanti staterelli religiosi.
Occorre
dissolvere il Libano in 5 province e questo servirà come precedente
per tutti gli altri Stati a nord-est di Israele: così sarà della
Siria e dell’Iraq, in seguito dividerli in tanti piccoli stati,
religiosi ed etnici, Stati alawiti e sunniti e Druzi. E il primo
obiettivo di Israele sarà la garanzia di pace e di sicurezza per
Israele. L’Iraq con le sue grandi risorse di petrolio , ma
internamente caotico, sarà un obiettivo di Israele. La sua
dissoluzione è perfino più importante di quella della Siria, perché
è più forte e costituisce la più grande minaccia per Israele. Una
guerra Iran-Iraq metterà da parte l’Iraq e causerà all’interno
la sua caduta politica, prima che sia in grado di organizzare un
conflitto contro di noi. “Ogni tipo di
conflitto inter-arabo sarà di aiuto per noi e abbrevierà i modi
per quello che è il nostro più importante obiettivo, distruggere
l’Iraq come la Siria, come il Libano e dividerli in tanti stati a
nord, a sud e a ovest. In aree sunnite, sciite e kurde.”8
E il documento continua in modo ossessivo: così sarà per la Siria,
divisa in uno Stato sciita alawita sulla costa, in uno Stato sunnita
nell’area di Aleppo e Damasco e in uno Stato Druso forse anche nel
vicino Golan.
Così sarà
del Libano, così della Giordania, anche se non nell’immediato
perché non costituisce una immediata minaccia. Semmai si può
pensare ad un trasferimento di potere alla maggioranza palestinese.
Un regime change potrebbe porre termine al
problema dei territori (palestinesi occupati) a ovest del Giordano.
Cioè espellere i palestinesi dell’interno e dell’esterno?
“Nella
presente situazione non si può andare avanti se non separando le
due Nazioni, con gli Arabi oltre il
Giordano (punto 26) “che riconoscano l’esistenza di Israele nei
suoi confini fino al Giordano e oltre
(and beyond, punto 27). E ancora “Giudea,
Samaria e Galilea sono la nostra unica garanzia per l’esistenza
nazionale… per ribilanciare il paese demograficamente,
strategicamente ed economicamente… prendendo possesso
dell’acquifero delle montagne da Beersheba sino alla Alta Galilea,
è il nostro obiettivo principale”(28).
Anche
l’Arabia Saudita si potrebbe dividere, ma più tardi…
Vi è anche
la necessità di cambiare il sistema di economia centralizzata,
scrive Ynon, in un sistema di ‘mercato libero’ e trasformarci da
economia dipendente in economia produttiva.
I
programmi US/Israele negli anni ’90-2000
Questo in
sintesi il documento del 1982. Vediamo ora come si è andato
rafforzando il progetto negli anni ’90 e in seguito a partire dal
2000 con la destabilizzazione, l’attacco e la frantumazione del
Medio Oriente da parte dei governi degli USA, della EU e di Israele,
nell’analisi di alcuni importanti studiosi occidentali della
regione. Alcuni di essi si pongono la domanda se il caos raggiunto
negli ultimi anni è frutto di politiche incoerenti o
contraddittorie, di strategie fallimentari9.
O a chi avrebbe potuto giovare10.
Da una analisi attenta prodotta dagli stessi ambienti militari e
politici vicini all’amministrazione USA emerge che questo caos
rappresenta invece il successo delle politiche annunciate e
programmate11.
Dopo il crollo dell’URSS nel 1989-90 l’opinione pubblica
occidentale era portata a pensare alla fine della guerra fredda, del
militarismo e di un ri-orientamento delle politiche delle maggiori
potenze verso esigenze sociali e non militari.
Così non è
per i maggiori beneficiari della guerra: il complesso
militare-industriale-securitario e di intelligence e le lobby
sioniste che proponevano il Grande Israele. La maggiore minaccia era
proprio la pace, così gli ‘attivisti’ di questo complesso
avevano iniziato, già nell’amministrazione Reagan degli anni ’80,
e poi nel mondo multipolare degli anni ’90-2000, a individuare i
possibili nuovi nemici: gli “stati canaglia”, l’Islam radicale
e il terrorismo globale. “Prima di tutto
dobbiamo buttar giù i tre big del terrore, Iran, Iraq e Siria. La
stabilità è una missione americana poco utile, un concetto
fuorviante da cacciare a pedate. Noi non vogliamo stabilità in Iran,
Iran, Siria, Libano e persino in Arabia Saudita. Noi vogliamo il
cambiamento. Il tema reale non è se, ma come destabilizzare”12.
Come ha scritto Chalmers Johnson, occorre fabbricare nuovi nemici,
classificando alcuni paesi come sostenitori di terrorismo o come
ironizzava Gore Vidal occorre ”creare un club del “nemico del
mese”13.
Questi
“attivisti”, quasi sempre repubblicani nazionalisti,
cristiani-sionisti, fanatici di estrema destra, fondamentalisti,
hanno rapporti con il Pentagono, con i maggiori contractor, con lo
Stato maggiore militare. Sono legati agli interessi delle maggiori
industrie della Difesa (come ad es. Raytheon (missili balistici e
sensori elettro-ottici), Boeing, General Dynamics, Lockeed Martin,
Northrop Grumman, Palantir Technologies, e in parte appartengono alla
lobby sionista, sono organizzatori e aderenti ai più noti think
tank14.
Hanno un accesso privilegiato ai media in modo da convincere una
opinione pubblica disorientata.
Hanno
conflitti d’interesse vistosi, in una commistione di impieghi
pubblici e privati, si distribuiscono fra loro le nomine incrociate
negli uffici del potere istituzionale statunitense e insieme nei
Centri studi, nei Comitati, nelle organizzazioni di estrema destra15.
Sono consulenti ed esperti che spesso saranno coinvolti in scandali
come, ad esempio, quello del trasferimento di documenti segreti sui
prototipi anti missile agli israeliani, che questi venderanno poi
alla Cina o lo scandalo Iran-Contras che li vede coinvolti nella
vendita di armi all’Iran, tramite Israele (S. Peres), in cambio del
rilascio di ostaggi americani nelle mani di Hezbollah, e per il
successivo sostegno finanziario alla contro guerriglia contro il
governo sandinista in Nicaragua 85-86, (sono coinvolti con altri,
Richard Perle, Elliot Abrams, nominato assistente speciale del
presidente Bush nel National Security Council (NSC), il 2 dicembre
200216,
Michael Ledeen, che
nel 1980 è in Italia per il SISMI, e sarà consulente
nell’amministrazione USA per il terrorismo (NSC), ma anche agente
di Israele, aveva anche cercato di vendere a prezzo minore a Israele
i missili anticarro TOW nel 1985-8617.
1990
- Il documento del gruppo “National Security
Strategy for USA”, prodotto subito dopo il
collasso sovietico nel 1990, il “Defense
Planning Guidance o Defence Strategy for the ‘90”18
mostrava l’interesse del governo e dei militari per le “turbolenze
imprevedibili del 3° mondo” per cui gli USA dovevano essere
preparati a condurre guerre di bassa o media intensità, con
riferimento non tanto alla potenza quanto ai territori meno
interessanti, ma che potevano ‘disturbare’ il commercio
internazionale. Così veniva mantenuta stabile la spesa militare e la
loro posizione strategica nel mondo. Manlio Dinucci, in un recente
articolo19,
afferma come nel 1990 i piani USA fossero già molto chiari. Se
l’obiettivo è la conquista di territori ‘strategici’ come
quelli mediorientali, le modalità politiche e militari individuate
sono, come abbiamo visto all’inizio, quelle
di creare una instabilità permanente, un caos permanente,
organizzato.
Si può
affermare che il piano di Ynon e l’obiettivo dell’instabilità
permanente è la prima versione del pensiero dei neocon negli anni
’90 e 2000 e dell’amministrazione di George W. Bush dal 2001.
Anche se per alcuni anni queste modalità vengono poste in
discussione dalle agenzie dell’industria petrolifera che avevano il
mito della stabilità e della stabilità dei prezzi, e da alcuni
all’interno dell’amministrazione Bush.
Per i neocon
statunitensi, negli anni ’90, per la lobby sionista, come pure per
i governi israeliani, i funzionari dei servizi segreti e i militari,
come nel caso anche del generale israeliano Yitzhak Rabin, nel
199120,
“la guerra è la situazione inevitabile”
poiché “Israele è condannata a vivere in guerra o sotto minaccia
di guerra da parte dei suoi vicini arabi”21.
Il piano neocon-governo israeliano di metà e fine anni ’90
prevedeva la distruzione degli Stati maggiori produttori di petrolio
(Iran-Iraq) e il controllo dei campi petroliferi da parte di USA/UK:
il prezzo del petrolio sarebbe sceso e avrebbe indebolito Arabia
Saudita e paesi del Golfo che stavano accumulando ricchezze
finanziarie in USA e occidente comprando banche e azioni e
influenzando la politica USA contro gli interessi di Israele22
Giugno
1996. “Un taglio netto: Una nuova
strategia per dare sicurezza al regno”.
Nel giugno
1996 un gruppo di studio di neocon statunitensi con una notevole
rappresentanza di personalità della Likud lobby, coordinato da
Richard Perle, ebreo americano, consigliere politico, consigliere
nell’amministrazione Reagan, di Bush padre e figlio23,
e coordinatore in alcuni Centri di studio neocon (American Enterprise
Institute ecc), scrive un documento per Benyamin Netanyahu che aveva
vinto le elezioni ed era diventato da poco premier. Fra i firmatari,
i maggiori rappresentati del pensiero neoconservatore David Wurmser,
Meyrav Wurmser, Douglas Feith, James Colbert, Robert Lowenberg.
Il
documento, A Clean Break,
una strategia nuova per dare sicurezza al
‘regno’, sembra essere la prosecuzione e
conferma, in modo ossessivo, del piano Ynon: occorre una taglio netto
con la politica precedente di “pace onnicomprensiva”, occorre
perseguire una politica di sovranità nazionale e sovranazionale che
accolga lo slogan Un nuovo Medio Oriente con un nuovo apporto di basi
intellettuali per ridare energia e ricostruire il sionismo sulla
base di una strategia fondata sull’equilibrio di potere.
1) Occorre
rendere sicuro il confine a nord: per questo la Siria, gli Hezbollah
e l’Iran sono i principali agenti di aggressione in Libano; perciò
occorreva colpire obiettivi militari siriani in Libano e se questo
non era sufficiente colpire obiettivi selezionati anche in territorio
siriano. Anche perché la natura del regime siriano è poco
affidabile, ha violato numerosi accordi con i Turchi, ha tradito gli
USA e continua ad occupare parti del Libano, organizzando un governo
di quisling e iniziando la colonizzazione del Libano, sostiene e
finanzia anche in territorio libanese gruppi terroristi. Così è
cosa giusta e morale che Israele abbandoni la “pace onnicomprensiva
per muovere per “contenere” la Siria ponendo attenzione alle sue
“armi di distruzione di massa”.
2) Occorre
rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq, ridisegnando strategie
con Turchia e Giordania, per creare rivalità e conflitti fra i
governi mediorientali, incoraggiare una maggiore influenza
dell’economia USA in Giordania per sottrarla alla dipendenza
irakena, sostenere le minoranze di opposizione in Libano; sostegno
anche militare “alle tribù arabe che
attraversano il territorio siriano e sono ostili al regime siriano”.
Prevedere anche una possibilità di influenzare le popolazioni sciite
qualora i giordani controllassero la parte del territorio irakeno
abitato da sciiti.
3) Occorre
costruire nuovi rapporti con gli USA, fondati su una reciproca
affidabilità, maturità, una condivisa filosofia della pace basata
sulla forza, una cooperazione strategica nelle
aree di mutuo interesse: Israele non ha
bisogno di Forze armate USA per difendersi e può gestire bene i
propri affari. E’ matura abbastanza per tagliate i finanziamenti e
prestiti. Israele può diventare autonoma liberalizzando la propria
economia, tagliando le tasse, con nuove leggi su zone industriali
libere, vendita di terreni e industrie. Occorre anche cooperare “per
contenere le minacce con una strategia di prevenzione piuttosto che
soltanto con una di rappresaglia. Smettere di assorbire i colpi senza
rispondere”…”Ma è importante che il paese sia solido
economicamente, orgoglioso di sé, ricco e forte…. Queste saranno
le basi per un nuovo e pacifico Medio Oriente”.
4) Occorreva
anche cambiare la natura dei rapporti con i palestinesi, compreso il
diritto per Israele di ricerca, caccia violenta per la propria
autodifesa in tutti i territori palestinesi. Elemento chiave delle
relazioni con la leadership palestinese è la sua conformità/adesioni
puntuale agli accordi presi, ad es. formando
un Comitato congiunto Israele-Stati Uniti: “Israele
non ha nessun obbligo rispetto agli Accordi di Oslo se il PLO non
adempie i suoi obblighi. Se il PLO non adempie con questo minimo
standard allora non si sarà nessuna speranza nel futuro né un
interlocutore appropriato nel presente. Per prepararsi a questo
Israele può pensare ad alternative al
potere di Arafat”.
Il piano
Ynon come programma per il laboratorio Palestina
Già dal
1967 si era attuato un piano per indebolire la nascente leadership
politica palestinese e la popolazione nel suo insieme. Per prima cosa
erano stati imprigionati o espulsi i maggiori esponenti politici, poi
a metà degli anni ’70 si tentò di organizzare ”leghe di
villaggio” anti PLO convincendo parte della popolazione a
collaborare. Ma questo fallirà molto presto. Poi si tenta di
incoraggiare e sostenere i capi religiosi e le loro charities.
Si cerca di distruggere ogni idea di nazionalismo. Ma anche questo
fallisce. Infine si tenta con gli Accordi di Oslo, con l’isolamento
di Arafat, il suo probabile assassinio e la successione del
‘moderato’ Abu Mazen.
Il piano
di cantonizzazione
nei Territori occupati di Cisgiordania invece
funziona. Il progetto
per costruire una governo palestinese di unità nazionale fra i
maggiori partiti palestinesi sarà costantemente fatto fallire sia
con modalità politiche, di ricatto nei confronti di Fatah, sia
militari armando nuove formazioni di polizia dell’ANP contro le
milizie armate di Hamas, del Jihad e del FLPL, promuovendo lotte fra
i servizi di Fatah e Hamas, come il golpe di Mohammed Dahlan del
giugno 2007 a Gaza, o come nel giugno 2014 l’inizio delle
rappresaglie in Cisgiordania per giustificare il ‘rapimento’ dei
tre studenti israeliani e quindi la nuova aggressione a Gaza.
L’insieme
di queste politiche sarà definito dal sociologo israeliano Baruch
Kimmerling il “politicidio” della Palestina. Il progetto, che è
quello tipico di un colonialismo d’insediamento, comprenderà la
distruzione dell’economia palestinese e delle sue risorse con la
divisione della Cisgiordania in più settori, con i checkpoint, le
strade esclusive per “ebrei”, ecc., e la disgregazione
progressiva della società palestinese, del suo mondo politico, il
memoricidio della cultura, la Pax economica, neoliberista del premier
Salam Fayyad dal 200724.
In generale l’ANP, dopo gli Accordi di Oslo e con la firma degli
accordi di Wye Plantation nel 1998, l’ANP dovrà acconsentire e
partecipare, in primis e soltanto, alla sicurezza di Israele con
misure antiterrorismo. La firma prevede il controllo di ogni atto di
incitamento alla violenza, il controllo e la proibizione delle armi.
Sarà istituita una Commissione USA-Israele-ANP per monitorare ogni
possibile attività di violenza. Saranno firmati accordi di
cooperazione bilaterale e trilaterale con gli Usa,
con assistenza tecnica della CIA (a Wye
Plantation sono presenti agenti della CIA25).
Ai nuovi
negoziati del ’97-98 è presente come inviato speciale26
il neocon Dennis Ross (fondatore del WINEP, Washington Institute for
Near East Policy, legato all’AIPAC) sostenitore della guerra in
Iraq, aderente al PNAC, consigliere speciale di Hillary Clinton nel
2009 (amministrazione Obama).
Come
‘Ricostruire le difese dell’America’ e pianificare il caos e
l’instabilità permanente
La
strategia delineata nel documento A Clean
Break venne precisata nuovamente, nel 1998,
in una “Open letter to the President
“(Clinton), firmata da molti neocon.
Successivamente,
nel settembre 2000, la ritroviamo nel rapporto Ricostruire
le difese dell’America, la
strategia, le forze e le risorse per un nuovo secolo”
scritto dal think thank di neocon, Project for
the New American Century, PNAC,
organizzato nel 1997 e condotto da William Kristoll, Robert Kagan,
Dick Cheney, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld e altri27.
In
esso si ribadiva, e divenne essenziale a
partire dall’11 settembre 2001, l’individuazione dell’Asse del
Male – Iran, Iraq, Siria e sud del Libano e
con esso, l’inevitabilità delle azioni militari occidentali e lo
scatenarsi del caos in Medio Oriente, sfruttando le fazioni religiose
e politico-claniche, dando sostegno militare-finanziario ai nuovi
attori sociali apparsi nella regione: i signori della guerra e i
gruppi islamici che chiedevano maggiori spazi di potere. Il progetto
confermava anche il pensiero da Z. Brzezinsky, consulente speciale
per la sicurezza nazionale del presidente Carter, 1977-1981, e tra i
fondatori della Trilateral Commission,
think thank internazionale di studi geopolitici, che già nel suo
libro del 199728,
tracciava le linee guida per la destabilizzazione dell’intera
regione mediorientale, definita i Balcani Eurosiatici.
Questa
linea di interessi convergenti, che sfrutta il discorso di
“instabilità permanente” presente all’interno del complesso
militare-industriale-securitario e di intelligence USA-NATO e lobby
israeliana, sono gli elementi scatenanti a conferma del continuo
ciclo di violenze nella regione nell’ultimo ventennio.
Dopo
l’11 settembre 2001 viene decisa la Dottrina
Bush sulla guerra preventiva unilaterale
necessaria dopo la fase di “deterrenza” e “contenimento”
della guerra fredda.
Viene
diffusa con i toni ossessivi di una Bibbia
cristiano-fondamentalista29:
si possono citare i discorsi di Bush nel settembre 2001, e nel giugno
2002 ai cadetti di West Point sulla lunga durata della “guerra al
terrore”, una missione
del Bene assoluto contro il Male assoluto per difendere i valori
democratici degli USA e della società occidentale e sfidare il
pericolo che proviene anche da Stati minori canaglia e da gruppi
fondamentalisti terroristi, che detengono armi di distruzione di
massa (WMD)30.
Ma
non manca un accenno alla necessità di espandere il “Free Market”.
Il
pensiero mainstream
diffuso dai neocon e dalla lobby sionista lo ritroviamo nei
documenti dello JINSA (Jewish Institute for National Security
Affairs) per chiedere il regime change in vari paesi del M.O,
“espandere il cambiamento a partire da IRAK, Siria e Iran”.
Come
pure in Michael Ledeen, teorico neocon e consigliere di George W.
Bush, che già nel settembre 2001, e nel suo libro del 2002 The
War Against the Terror Masters parlava di
“Creative Destruction. How to wage a
revolutionary war”31contro
gli islamofascisti e sosteneva che occorreva un metodo e nuovi
strumenti per abbattere Saddam Hussein, nuove strategie per spezzare
la dittatura della famiglia Assad, un diverso approccio per porre
fine alla tirannia religiosa in Iran e persino tagliare il sostegno
dell’Arabia Saudita ai fondamentalisti islamici. Sosteneva inoltre
che per portare la democrazia in questi paesi, occorreva portare il
pieno appoggio ai
movimenti democratici di resistenza nei paesi terroristi e, in
mancanza di questi, sostenere le forze più moderate pro occidentali.
Ledeen è stato anche membro di Centri per il
sostegno degli oppositori iraniani e di Ahmed Chalabi, leader
irakeno, rifugiato in USA; parla anche di “storica missione” e di
“fardello rivoluzionario” degli USA32.
Nel
marzo 2003, all’inizio dell’aggressione all’Iraq, James
Woolsey, ex direttore CIA sotto l’Amministrazione Clinton, in un
incontro con studenti dell’Università di California, organizzato
dai repubblicani, durante una serie di viaggi di propaganda e forum
di discussione in altre parti del paese parla di IV guerra mondiale
che durerà a lungo. Afferma che la nuova guerra è condotta da tre
nemici: i capi religiosi dell’Iran, i “fascisti” di Iraq e
Siria e gli estremisti islamici come Al Qaeda. Questi tre nemici
“hanno portato guerra agli Stati Uniti per anni, ma ora gli USA
hanno finalmente “reagito”. Ci sarà un sostegno dell’America
ai movimenti democratici [sic] in tutto il Medio Oriente. Scegliendo
(come controparte) Mubarak e i leaders dell’Arabia Saudita afferma:
“Vi vogliamo nervosi. Vogliamo farvi sapere
che questo paese e i suoi alleati si stanno muovendo e noi siamo
dalla parte che voi temete. Noi siamo dalla parte del vostro
popolo”33.
Ritroviamo
questi discorsi, ripetitivi sino alla ossessione, in successivi
scritti tra il 2002 e il 2004 di Norman Podhoretz, ebreo americano,
nella rivista «Commentary Magazine», da lui diretta da oltre 35
anni34.
Nella parte seconda, settembre 2004, nelle Note
al lettore scriveva «Siamo
soltanto nella prima fase di quella che promette di essere una
lunghissima guerra e l’Iraq è soltanto il secondo fronte aperto in
questa guerra: la seconda scena, se così si può dire, del primo
atto di un testo teatrale in cinque atti»35.
Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo la Guerra fredda contro il
comunismo, «noi ora ci troviamo di fronte una
forza senza dubbio maligna, l’islamismo radicale e gli Stati che lo
sostengono».
Nel
2005 un documento del Pentagono, presentato dal segretario alla
Difesa Donald Rumsfeld, e pubblicato dal Wall Street Journal, ma non
da altri media, l’11 marzo 2005, Rumsfeld affermava che gli USA,
come potenza con un mandato militare globale, devono passare “da
una guerra preventiva a una guerra più proattiva, cioè ad attacchi
anche contro paesi che non sono ritenuti nemici ma che sono
considerati strategici dal punto di vista degli interessi degli USA”.
Le operazioni militari prevedevano non più eserciti convenzionali ma
l’invio in tutte le parti del mondo di piccoli gruppi di soldati
“culturalmente pragmatici per addestrare e
consigliare le forze indigene”, gruppi
mascherati (disguised)
sotto la forma del peacekeeping e dell’addestramento. Erano
previste anche milizie mercenarie private sotto contratto del
Pentagono e della NATO o dell’ONU36.
Nel
gennaio 2012 la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland,
moglie del noto neocon Robert Kagan, (PNAC) ribadiva in un briefing
dell’11 gennaio 2012 la necessità di una accorta strategia per la
situazione siriana tesa comunque a costringere Assad ad andarsene37.
La
«guerra globale permanente» degli Stati Uniti e dei suoi alleati,
«ha ucciso direttamente o
indirettamente circa un milione di persone in Iraq, 220.000 in
Afghanistan e 80.000 in Pakistan, un totale di circa 1 milione e 300
mila persone», sopratutto
civili. È questa la conclusione alla quale giungono gli autori di
“Body Count. Casualty Figures
After 10 Years of the War on Terror”,
un rapporto redatto da tre gruppi di scienziati attivi nella causa
del pacifismo e del disarmo nucleare38.
Dal
2011-12 la “guerra umanitaria contro il terrore e per la
democrazia”, in realtà guerra di conquista, sfruttando anche le
cosiddette “primavere arabe”, contro i nuovi e vecchi
competitori per l’egemonia mondiale (Russia e Cina),39
è proseguita in Libia, in Siria, nel Kurdistan, nello Yemen.
Prosegue e si diffonde in Africa. Ha provocato centinaia di migliaia
di morti, milioni di profughi e dislocati. Mediante i miti del
“libero mercato”, delle “riforme” e dell’austerità sono
cresciute miseria e disoccupazione. Nel 2015,
alcuni analisti, percepivano un conflitto fra due settori della
politica USA: i conservatori tradizionali e i neocon che non hanno
mai ammesso un fallimento40.
Forse perché il loro successo, in questa fase della crisi
capitalistica, sta proprio, come dicono altri analisti già
analizzati, nello scatenamento dell’instabilità permanente.
Il
piano USA/Nato/Israele (insieme all’Arabia Saudita, ai paesi del
Golfo e alla Turchia), comprende una agenda controterrorista che ha
alimentato e finanziato il terrorismo dei gruppi islamici; sta
provocando gravi tensioni economiche e militari con la Cina (v. TTIP
e TTP contro SCO), anche se si notano da tempo scambi economici e
militari di hightech di Israele con la Cina.41
Altri analisti, come Pepe Escobar42,
riflettono ad un aumento degli attacchi terroristici in Europa nei
prossimi mesi del 2016, e, di conseguenza, un aumento di caos, di
islamofobia e dello stabilirsi dello stato di eccezione e di
repressione in vari paesi europei, come sta già accadendo in
Francia.
In
Italia c’è una tendenza in parte della cosiddetta sinistra
radicale, nelle discussioni sulla politica internazionale, a
considerare le persone “o da una parte o dall’altra”. Altri
sono convinti di essere “né, né”.
Io penso che vivendo in una certa parte
del mondo ciascun* di noi dovrebbe innanzitutto porsi il
diritto/dovere di denunciare i crimini dei propri governanti,
smontare la propaganda dei media mainstream,
denunciare le complicità delle istituzioni, di intellettuali e
accademici nei propri paesi e operare, per quanto possibile, dalla
parte degli strati oppressi delle popolazioni colpite da guerre,
guerre civili e occupazioni. Ma cercando sempre di comprendere quale
sia la posta in gioco a livello globale e quali gli attori più
aggressivi e pericolosi nel mondo43.
Convegno organizzato da Fronte Palestina, Roma, 23 gennaio 2016
Intervento di Diana Carminati, ISM-Italia
1
M. D. Nazemroaya, Plans
for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle
East”, in Global
Research, 18.11.2006, ripubblicato il 12 novembre 2012.
2
Così lo riporta M. D. Nazemroaya, Plans
for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle
East”, cit.
3
Vedi I. Shahak, publisher, The
Zionist Plan for the Middle East,
pubblicato dalla Association of Arab-American University Graduates
Inc, Belmont, Mass. 1982.
4
G. Valabrega, La
rivoluzione araba,
Dall’Oglio, 1967.
5
Professore di chimica organica alla Hebrew University di Gerusalemme
e presidente della Lega israeliana dei diritti umani e civili.
6
Lorenzo Veracini, docente allo
Swinburne Institute for Social Research, Melbourne.
L. Veracini, What
Settler Colonial Studies offer to an interpretation of the Conflict
in Israel-Palestine? In Settler Colonial Studies, May 6, 2015 e
Id.,The Settler Colonial Present, Palgrave, Mac Millan 2015;
Id. , L’altro «cambiamento». Il colonialismo di insediamento,
Israele e l’occupazione, in Historia Magistra, 2013;
v. anche suo intervento Facing the Settler Colonial Present,
paper discusso presso l’Istituto di studi europei di Firenze il 2
giugno 2015 (e poi il 4 giugno a Torino, su invito di ISM-Italia)
7
N.Chomsky, The
Fateful Triangle, The US, Israel and the Palestinians”,
Pluto Press, 1999, citato anche in J. Cook, Israel
and the Clash of
Civilisations. Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East
(Pluto 2008), p. 114.
8
V. Piano Ynon, cit., punto 23.
9
I. Hossein-Zadeh,
Planned Chaos in the middle-East- and Beyond,
Counterpunch, Weekly Edition, July 18-20, 2014.
10
J. Cook, op. cit. 120-121.
11
I. Hossein-Zadeh,
Planned Chaos in the middle-East- and Beyond,
Counterpunch, Weekly Edition, July 18-20, 2014, cit.
12
J. Cook, op. cit. p. 118-119.
13
Gore Vidal, intervista di Doug Henwood per WBAI,
6.5.2002
http://www.leftbusinessobserver.com/VidalTranscript.html
14
Fra i think thank presenti nel progetto complessivo, vedi lo Hudson
Institute, fondato nel 1961 da Herman Kahn, organizzazione non
profit, che promuove «sicurezza globale, prosperità e libertà»,
al quale hanno aderito, tra gli altri, Dan Quayle, ex vicepresidente
degli USA, Richard Perle, PNAC, Douglas Feith, sottosegretario alla
Difesa sotto George W. Bush, Donald Kagan, storico alla Università
di Yale e padre di Robert Kagan, PNAC. Nel suo sito si legge che è
sponsorizzato da decine di multinazionali come American Cyanamid,
Ciba-Geigy, Cargill, ConAgra Foods, DuPont, EliLilli&Company,
Exxon Mobil, IBM, Mc Donald’s, Microsoft, Monsanto, Novartis,
PayPal, Procter&Gamble, Price, Waterhouse&Coopers ecc.,
www.hudson.org.
15
Per l’elenco completo di aderenti alle varie think tank v. J. J.
Mearsheimer, S.M. Walt, La
Israel Lobby e la politica estera americana,
Mondadori, 2007, p.162.163; W.Yax, G.Armstrong,K.Connor,
Conflict Of Interest in Syria Debate and News Commentary. Link sto
US defense Contractors. An Analysis of the Defense Industry and
think tanks who commented on military intervention, Global
Research, December 12, 2015.
16
Molti sono gli articoli su
Elliot Abrams, fra i quali citiamo J. Lobe, Neoconservatives
Consolidate Control over US Mideast Policy,
December 6, 2002, in documenti Archivio G. Frankel.
17
Stephen Green, Serving Two Flags. Neocons, Israel and the Bush
Administration, Counterpunch Special Report, February 28-29
2004; v. anche J. Laughland, Flirting with Fascism, Neocon
theorist Michael Leeden draws more from Italian fascism than from
the American Right, June 30 2003, The American Conservative,
www.amconmag.com
18
I. Hossein-Zadeh,
Planned Chaos in the middle-East- and Beyond,
Counterpunch, Weekly Edition, July 18-20, 2014, cit.
19
M. Dinucci, La
guerra dei venticinque anni,
il Manifesto, 16.1. 2016.
20
V. commento di Israel Shahak su Rabin in J. Cook, op. cit., nota
2, p. 179.
21
Ivi.
23
Richard Perle nel 1981 è assistente segretario per la politica di
sicurezza internazionale nel Dipartimento della Difesa nel governo
Reagan
(1981-87)
e poi nel Comitato di consulenza della Difesa (amministrazione di
Bush padre) 1987-2004. Nel 2001 assistente al Segretario alla Difesa
sotto Bush junior, ma infine si dimette nel 2003 per conflitto di
interessi.
24
V.
il saggio di Jamil Hilal, M.O.:
il processo di pace perché è fallito,
La Rivista del Manifesto, 11.11.2000; v. J. Hilal (a cura di),
Palestina,
quale futuro. La fine della soluzione dei due stati,
Jaca Book, 2007; di economisti palestinesi come Adam Haniyeh, Leila
Farsakh, Raja Khalidi e le riflessioni di alcuni studiosi e analisti
palestinesi in una tavola rotonda di al Shabaka,
La
rivolta dei giovani palestinesi - Quale ruolo per i partiti
politici?, novembre
2015, in italiano nel sito di ForumPalestina,
www.forumpalestina.it.
25
v. George Corm, Le
Proche Orient éclaté (1956-2003),
Gallimard, 2003, p. 729 sgg.
26
V. intervista di Ugo Tramballi a Ross, “Le
occasioni di pace perdute di Israele”,
in Il Sole 24 ore, domenica 17 gennaio 2016.
27
V. fra altri articoli, T.
Barry, J. Lobe, The
Men who Stole the Show,
Special Report, October 2002, in Archivio G. Frankel presso
ISM-Italia.
28 Z. Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geo-strategic Imperatives, Basic Books, 1997, nella trad. it., Id, La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell'era della supremazia americana, Longanesi 1998.
29
V. Juan Stam, Il
linguaggio religioso di Bush,
Conferenza 2003 e S. Fath, Militants
de la Bible aux Etats-Unis,
autrement, 2004.
30
National Security Agency of the United States of America,
32
Michael Ledeen, Creative
Destruction, How to wage a revolutionary war,
September 20, 2001.
33
http://cnn.usnews.printthis.clickability.com/pt/cpt?action=cpt&title=CNN.com+-+Ex-CIA+director%3.
34
N. Podhoretz, World
War IV: How it Started, What It Means and Why We have to Win,
«commentarymagazine.com».
35
Ibidem.
36
M. Chossudovsky, Classified
Pentagon Document. New Undeclared Arms Race: America’s Agenda for
Global Military Domination,
Global Research, March 17 2005.
37
Rick Gladstone, As Syria Wobbles Under Pressure, Iran Feels the
Weight of an Alliance, New York Times, January, 31, 2012. V.
briefing di Victoria Nuland, portavoce del Segretario di Stato
Hillary Clinton, del 11 dicembre 2012: “Noi abbiamo
chiarito che crediamo che qualcosa deve essere fatto per molti mesi
da ora, che è da tempo che lui se ne deve andare e che tutti noi
abbiamo bisogno di aumentare la pressione sul regime per cambiare
corso[mia traduzione letterale] ” in
http://www.state.gov/r/pa/prs/dpb/2012/01/180454.htmMS.
38
Physicians for Social Responsability, Physicians for Global
Survival, International Physicians for the Prevention of Nuclear
War,
Body
Count. Casualty Figures After 10 Years of the War on Terror, First
international edition, March 2015; v. G. Battiston, L’ecatombe
della «guerra al terrore»,
«il Manifesto», 4 aprile 2015.
39
M.D. Nazemroaya,
Preparing the Chessboard for the “Clash of Civilisation”:
Divide, Conquer and Rule the “New Middle East”,
Global Research, November 26 , 2011.
40
V. articolo Western Conservatism: The War Within, Conflicts
Forum’s Weekly Comment, 6-13 March 2015; e R. Parry,
Neocons Ukraina-Siria-Iran Gambit, www.consortiumnews.com,
March 19,2014.
41
M.D.Cabras
e G.Dentice ,
Il
Dragone nel Negev: vent’anni di cooperazione sino-israeliana,
5 marzo 2012
http://www.bloglobal.net/2012/03/il-dragone-nel-negev-ventanni-di-cooperazione-sino-israeliana.html.
42
P. Escobar, Empire of
Chaos Preparing for More Fireworks in 2016,
Global Research, December 26, 2015
43
V. D. Carminati, Un
nuovo lessico per il nostro Che fare? sulla questione
israelo-palestinese,
18 novembre 2015, in www.ism-italia.it.
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