lunedì 4 marzo 2019

Caracas, marzo 2019: "Scene di vita ordinaria camminando qua e là..." di Marinella Correggia



Senza pretese di esaustività, ecco situazioni e persone incrociate per strada, in metrò, sui bus, casualmente, senza filtri né accompagnatori.


Scacco matto sotto il cavalcavia

Ruggisce il traffico sul tratto del cavalcavia prossimo alla fermata Socorro del Bus Caracas: solo la mancanza di pezzi di ricambio può fermare le auto, non certo il costo della benzina visto che, anche al tempo dell’iperinflazione, 30 litri costano 2 bolivares (un euro è 3.700 bolivares). Se insegna un po’ di parsimonia il razionamento dell’acqua, certo questo incentivo al consumo dell’oro nero, benché redistribuito gratuitamente (solo a vantaggio di chi ha l’auto, però), è qualcosa di fossile. Ma chi siamo noi consumatori occidentali per eccepire?

Sotto il cavalcavia è tutt’altra vita. Lungo i due cammini pedonali in basso, oltre ai chioschi di libri usati («I prezzi variano da 200 a 1.000» risponde gentilmente il venditore, dolce volto scuro tipicamente caraibico), si apre una piazzetta dove la mattina vengono distribuite scope e sacchi agli spazzini, ma il pomeriggio, su tavoli spartani, coppie di assorti giocatori di scacchi si sfidano. Sullo sfondo di un murale con la frase di Simón Bolívar: «Gli scacchi, un gioco utile, onesto e indispensabile nell’educazione della gioventù». Ma naturalmente gli scacchisti sono tutti piuttosto in là con gli anni, tranne uno. Fra gli spettatori, il signor Angel Morillo.


Angel spiega la Misión Negra Hipólita

Accanto al murale scacchistico-educativo, la scritta Mercal. Spiega Angel: «E’ uno dei sistemi di vendita di alimenti a prezzo basso. Due litri di olio, farina di mais, lenticchie per 200 bolivares, quando un solo litro di olio di soia sul mercato costa 2.000». Guardando i giocatori, dice: «Questo è anche uno spazio per passare il tempo insieme, mi sembra di aver visto tempo fa in un film con Stallone che anche in Italia giocano a scacchi in piazza». Veramente là sotto i cavalcavia dimorano senzatetto… «Sì, ma qui il presidente Hugo Chávez lanciò nel 2006 la Misión Negra Hipólita per la riabilitazione delle persone della strada, soprattutto tossicodipendenti, malati psichici, disabili.»

Appartiene di certo alla categoria degli svantaggiati totali l’uomo male in arnese e scuro per il sole e la mancanza di sapone che però è ben accolto al banchetto dove per 100 bolivares una coppia vende ogni giorno il caffè, sempre a ridosso del cavalcavia, fra le bancarelle di ortofruta - le banane oggi sono a 1.000 bolivares al chilo. L’uomo si siede sulla panchetta, tira fuori il pane da un sacchetto e lo inzuppa nel caffè, più buono di quello degli hotel, chissà perché.

Il pensatore antimperialista che vende caffè su un tavolino per strada

Il venditore di caffè e piccoli panini dolci vive nel sobborgo Pastora: «là sono rimaste le case antiche, non hanno costruito grattacieli». E’ contento di chi si porta da casa la tazzina durevole e parla volentieri commentando il giornale che ha in mano: «L’azienda petrolifera del Venezuela trasferisce la sede europea dal Portogallo a Mosca: fanno bene. E hanno concluso un altro contratto per la fornitura dei farmaci. Qui poi leggo che l’Unione europea potrà consegnare materiali al Venezuela attraverso la Croce rossa internazionale ma in condizioni di neutralità. E qui, ecco, il sindaco di Cucuta in Colombia che chiede aiuto umanitario...» «Stanno molto peggio di qua”», esclama la moglie.

Poi il marito si lancia in alcune osservazioni su quel che ci sarebbe da imparare perfino dall’Italia: «Il nostro presidente sta cercando di introdurre i distretti industriali, anche agroalimentari, ma i popoli caraibici sono un po’ pigri… voi avete avuto due guerre mondiali con una distruzione totale; darvi da fare è stato obbligatorio. In compenso, certo, noi siamo stati colonizzati, con la distruzione dei popoli originari. E ci provano ancora. Un paese come il nostro che da un lato è ricchissimo di risorse, non solo petrolio, ma oro, coltan, acqua, e dall’altro le vuole gestire per conto proprio nel cambiamento politico è nel mirino, minacce di invasione e guerra economica, sanzioni e tutto».

Ma è ottimista anche perché «il presidente Chávez ha aiutato tanti paesi, tanti popoli, tanti qui trovavano anche da ridire, ma adesso la gratitudine si vede». Legge molti libri (usati), non ha accesso a Internet né il cellulare. Ricorda che ricorre il ventesimo anniversario della guerra del Kosovo «sempre per aiutare i popoli» ed è molto interessato a conoscere dettagli dell’operazione Nato in Libia nel 2011.

Non c’è crisi, ragazza?

«Cafè, cafè» è l’universale cantilena di un ennesimo ambulante che fa avanti e indietro con due grandi thermos. Molto spiccia una ragazza che nei paraggi vende sigarette singole. Quanto costa una sigaretta? «500». Cinque volte un caffè. Allora non fuma più nessuno? «Poco, ma fumano». E come fanno con la crisi? «Quale crisi? Non c’è crisi». Ironica o che?

In Venezuela una grande fetta del lavoro è informale. Il guadagno è sempre superiore al salario minimo di 18.000 bolivares al mese. Molti riescono anche a comprare prodotti a prezzi regolati che poi rivendono a prezzi maggiorati. Intervengono inoltre il sussidio detto carnet della patria che arriva tutti i mesi alle famiglie, le distribuzioni di cibo a prezzi sovvenzionati, e i servizi sociali gratuiti.

Orrendi costosi biscotti privati, ma un farmaco che non si trova

Finché non ci si ammala di qualche malattia per la quale i farmaci non arrivano o comunque non sono disponibili: all’angolo, sempre il cavalcavia come riferimento, un venditore portoghese di cosucce inutili, dalle caramelle ai biscotti: i più economici, una porzione di quattro – quattro - biscotti incellofanati della multinazionale Puig, costano 650 bolivares (il doppio di una cassa di prodotti sovvenzionati) e sono disgustosi (c’è gente che se li fa in casa ormai). Lui ha il Parkinson e da molti mesi non trova il farmaco che prendeva per contenerlo. La sua scorta si sta esaurendo, mostra le scatole vuote di Sinemet. Sarà fra quei farmaci che dovevano essere trasportati da Iberia ma, già pagati, sono stati bloccati in Spagna? E il Venezuela non li produce? «Prima c’era un laboratorio farmaceutico, mi sembra, ma era di proprietà straniera, ha chiuso da tre anni, sono andati via».


Nuovi fornitori con nuove alleanze internazionali

La scarsità di medicine (quelle che non arrivano da paesi che non partecipano alle sanzioni) è un capitolo tutto da comprendere. A Las Acacias, in uno dei Centri diagnostici integrali (Cdi) gestiti dai cubani in virtù dello scambio petrolio contro servizi medici, una paramedica conferma: «No, certi tipi di medicine non arrivano proprio». Non sa dire perché e siccome è sera inoltrata, non ci sono medici ai quali chiedere.

Comunque il governo venezuelano ha spiegato che vari paesi attraverso l’Onu forniranno farmaci, principi attivi e materie prime. Curiosamente lo chiamano «aiuto umanitario», benché Caracas paghi tutto. «Non chiediamo regali a nessuno», ha ripetuto il presidente anche durante la marcia del 23 febbraio.

I ragazzi nel metrò e l’educazione alla parsimonia

Nella metropolitana, affollata o meno, nessuno usa il cellulare (paura di furti? indisponibilità di smart-phone? voglia di socialità? Un po’ di tutto questo), così basta una parola per suscitare un colloquio. Tre ragazzi vicino alla porta, il pretesto è chiedere il senso di un’espressione locale. «Ne abbiamo molte, ad esempio mono è sia un primate che un debito!» Da lì a parlare dei prezzi dei prodotti il passo è breve. Una sigaretta costa tantissimo, in proporzione al potere d’acquisto, non pensate che sia meglio? Così non si fuma! «Ah se è per quello anche le bibite gassate e zuccherate e varie altre cose...Però può sorgere, anziché l’educazione a farne a meno, un’ansia di consumo...la voglia che ti consuma». Quindi pensate che non appena l’iperinflazione che frena gli acquisti si calmerà, non si saranno acquisite le sane abitudini? «Succede già così, non appena una merce si trova si precipitano». Ahi.

Gli abitanti di un palazzo di classe media: Clap sì, partecipazione no

Racconta un amico: «Noi che viviamo negli edifici residenziali, anche se adesso il potere d’acquisto in euro è bassissimo, siamo dei privilegiati. E quindi quando al consejo comunal, l’istanza partecipativa, proposero di fare agricoltura urbana in grandi vasi e li fornirono pure, tutti si sono rifiutati di piantare. E all’inizio nessuno si iscrisse nel consejo comunal, adesso sono 35-40 che si sono iscritti per ricevere il pacco di alimentari a prezzo sovvenzionato, il cosiddetto Clap. Prima parlavano male del governo, poi hanno fatto perfino imbrogli per averlo. Squallidi! Pensa che il camion con i pacchi arriva all’edificio a lato. Poi dei volontari portano i 40 pacchi all’edificio con carriole. Ogni volta era difficile trovare volontari per questa minima cosa, tutti avevano sempre da fare...»

Mani artigiane e un passato da dimenticare
Non lontano da un hotel dove è presumibile soggiornino persone con denaro a disposizione, bancarelle di artigiani che fanno bijoux con materiali poveri, poverissimi. Fil di ferro, perline finte, rivestimenti di fili della luce, conchigliette. Non cercano di richiamare i passanti. Aspettano. L’acquisto di un paio di orecchini da un artigiano dalle mani sporche per aiutare la sopravvivenza è un obbligo. Ma riesce a vendere di questi tempi? «Faccio anche queste cose più luccicanti per matrimoni e simili...Italia? Ho lavorato con italiani in Colombia...» Droga? «Mmm...no… ma era un periodo nel quale mi ero perso». L’importante è ritrovarsi. Lancia un sorriso male in arnese. Vive nel barrio Catia, «venga a visitarlo».

Marinella Correggia


1 commento:

  1. Post Scriptum: "Ecco qua, cose minime, un piccolissimo spaccato della realtà locale. E alcune foto, ma non oso fotografare i protagonisti di queste piccole storie, cambierebbe tutto a fotografarli mentre parlavamo cortesemente fra estranei   Capisco che possano parere insulse. Ne manderò altre, spero da quartieri più significativi e ho varie interviste da sbobinare..."

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