Recentemente un sindaco PD è stato pizzicato ad acquistare cocaina. Nessun reato: uso personale. Per questo non ha sentito il bisogno di dimettersi, redigendo un lungo pistolotto in stile progressista, con tanto di rivendicazione degli obiettivi della sua amministrazione. Probabilmente ha bisogno di “tirarsi un po’ su” con la polverina per meglio servire i concittadini. In ossequio alla trasversalità, Gianfranco Miccichè, storico esponente siciliano di Forza Italia, ha ammesso di continuare a fare uso di coca. Era stato fotografato in atteggiamento da acquirente nel corso di un’indagine antinarcotici.
L’Italia è solo una remota periferia dell’impero: di recente è stata scoperta cocaina alla Casa Bianca. Non è dato sapere – l’invocata trasparenza non vale nella capitale d’ Occidente – chi l’abbia introdotta e chi la usi, nell’entourage della presidenza americana. Numerose ammissioni di personaggi di primo piano dicono che Silicon Valley, sede dei giganti fintech, è un santuario della dipendenza da stupefacenti.
In Italia, la vicenda delle accuse di violenza sessuale al figlio di Ignazio La Russa, come quelle a un rampollo di Beppe Grillo, è legata a festini a base di pasticche e polverine. Meraviglie della classe dirigente. Esiste addirittura la “droga dello stupro” ed è notorio che molti luoghi di raduno giovanile – discoteche, locali notturni, pub – sono ambiti privilegiati di spaccio e consumo di stupefacenti. Non diversa è la situazione nei ritrovi delle classi dirigenti. Pastiglie, droghe chimiche, cocaina sono il comune denominatore di tanta, troppa gente. Le droghe sono un simbolo della contemporaneità. Nessuno stupore: sono lontani i tempi in cui chi scrive, all’ultimo anno di liceo, rimase sbalordito, come tutti gli studenti e i docenti, per l’arresto per droga di una compagna di classe di ottima famiglia.
La produzione, raffinazione e vendita di sostanze stupefacenti genera un giro d’affari enorme. Nell’era del mercato misura di tutte le cose, il calcolo del PIL ingloba i proventi stimati della criminalità e della droga. Rispetto ai decenni passati, il dibattito sull’argomento si è inaridito; si prende atto, ci si stringe nelle spalle come se una generazione – e una classe dirigente – di sballati sia un fatto normale, inevitabile, un prezzo da pagare al progresso, a un’idea malata di libertà, all’individualismo tossico. Pare una prevaricazione educare, sconsigliare, mostrare le conseguenze delle droghe: la sacra libertà individuale.
Tutto sommato, è un invito al consumo anche la liberalizzazione dell’uso personale. È reato produrre e vendere (“spacciare”), non lo è acquistare. Ma se il prodotto fa male, perché esentare da sanzioni chi compra? Misteri del migliore dei sistemi possibili, l’unico.
Stralcio di un articolo di Roberto Pecchioli
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