Dopo la Jugoslavia, il Kosovo, il Donbass tocca ora all’isola cinese essere usata come pedina sacrificale ai giochi geopolitici egemonici statunitensi?
La presidente taiwanese Tsai Ing-wen, con la quale l'intensificazione di tensioni con Pechino ha raggiunto il suo apice, ha già lasciato la carica di capo del partito al governo, assumendosi la responsabilità della perdita del DPP. Il principale indiretto beneficiario di questo è stata la Repubblica Popolare di Cina, che così avrebbe la possibilità di continuare una politica di unificazione pacifica con l'isola, che è la strategia che persegue da anni.
Ma questi risultati hanno provocato una reazione dura e sconsiderata da parte degli USA, che hanno incrementato provocazioni e pressioni sulle autorità del governo centrale di Taipei, incoraggiando un innalzamento delle scontro con la Cina, coscienti che questi risultati del voto popolare possono determinare non solo un nuovo assetto politico interno, ma essere anche il vettore di possibili mutamenti in politica estera e di difesa nel governo dell’isola, ridisegnando e scompaginando tutti gli scenari geostrategici dell’area.
Un dato di fatto è che queste situazioni hanno rappresentato un nuovo importante fattore destabilizzante nella politica mondiale, insieme al conflitto in Ucraina, e di fatto cambiato tutte le letture geopolitiche e strategiche dell’area dell’Estremo Oriente.
In questi mesi il presidente cinese Xi Jinping ha ripetutamente affermato che la Cina non accetterà mai “alcun processo politico che miri a raggiungere la cosiddetta indipendenza di Taiwan”.
In questo scenario pur senza intraprendere azioni militari offensive, la Cina continua a fare pressione per un abbassamento dei toni ostili, su Taipei, effettuando regolari manovre al largo delle sue coste. Ma non va dimenticato che, definendo la soluzione del problema di Taiwan una priorità assoluta, nel suo discorso al 20° Congresso del PCC tenutosi a ottobre, il presidente cinese Xi Jinping ha chiarito che non si può escludere un'azione militare, se continua questo atteggiamento aggressivo delle autorità dell’isola, spinte dagli interessi statunitensi e non dagli interessi dei cittadini taiwanesi.
Con la nuova provocazione lanciata dagli USA, avvenuta con la visita del presidente della Camera di Washington, Kevin McCarthy a Taipei, si è potuto vedere come la società taiwanese, con associazioni, partiti e media locali si siano schierati contro processi di intensificazioni di politiche volte allo scontro e non al dialogo.
Stralcio di un articolo Enrico Vigna
L'uso dell'arma del separatismo da parte degli USA è globalmente illimitato, e può essere utilizzato contro qualsiasi stato. Per la Cina, secondo gli esperti in Asia, vorrebbero la separazione in otto Stati. Ma il vento ed il mondo, dal febbraio 2022 sta cambiando e gli USA cominciano ad andare in fibrillazione, anche in quell’area.
La presidente taiwanese Tsai Ing-wen, con la quale l'intensificazione di tensioni con Pechino ha raggiunto il suo apice, ha già lasciato la carica di capo del partito al governo, assumendosi la responsabilità della perdita del DPP. Il principale indiretto beneficiario di questo è stata la Repubblica Popolare di Cina, che così avrebbe la possibilità di continuare una politica di unificazione pacifica con l'isola, che è la strategia che persegue da anni.
Ma questi risultati hanno provocato una reazione dura e sconsiderata da parte degli USA, che hanno incrementato provocazioni e pressioni sulle autorità del governo centrale di Taipei, incoraggiando un innalzamento delle scontro con la Cina, coscienti che questi risultati del voto popolare possono determinare non solo un nuovo assetto politico interno, ma essere anche il vettore di possibili mutamenti in politica estera e di difesa nel governo dell’isola, ridisegnando e scompaginando tutti gli scenari geostrategici dell’area.
Un dato di fatto è che queste situazioni hanno rappresentato un nuovo importante fattore destabilizzante nella politica mondiale, insieme al conflitto in Ucraina, e di fatto cambiato tutte le letture geopolitiche e strategiche dell’area dell’Estremo Oriente.
A confermare la tensione crescente attorno a Taiwan, ma che coinvolge anche la Corea del sud ed il Giappone, è stato l’immediato l'annuncio da parte del dipartimento della difesa dell'isola, della messa in atto di piani militari di emergenza e il dispiegamento di sistemi missilistici antiaerei, con schermaglie, all’inizio verbali e poi in questi mesi sempre più militari ed operative da entrambi i lati, con la sempre più invadente presenza di unità statunitensi.
Le due principali forze che si oppongono opposte sull'isola, il Partito Democratico Progressista al governo e il principale partito di opposizione, il Kuomintang, sono radicalmente in contrasto su una questione chiave di politica estera e strategica: le relazioni con la Cina continentale.
Il PDP, salito al potere nel 2016, guidato da Tsai Ing-wen, ha concettualmente sempre rifiutato di riconoscere il principio di "una Cina" e si è indirizzato nelle sue politiche per un crescente riduzione dei legami con la RPC. Mentre il Kuomintang che governava prima, ha cercato di costruire relazioni costruttive fondate su un realismo politico.
Il Kuomintang, negli ultimi decenni, ha sempre cercato di facilitare un riavvicinamento con la Repubblica popolare cinese e il PCC, con la politica realista di tre negazioni: nessuna indipendenza, nessuna unificazione e nessun uso della forza. Questa gestione ha permesso di costruire una sorta di tregua basata sulla non aggressione e sul progresso nello sviluppo di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa che aveva persino portato il presidente Xi Jinping a incontrare nel novembre 2015 a Singapore Ma Ying-yeou, capo supremo di Taiwan e leader del Kuomintang all'epoca.
Nella logica delle amministrazioni statunitensi, fondata su una politica strategica di contenimento della Cina, Taiwan è considerata una risorsa fondamentale e preziosa per Washington, su cui l'attuale amministrazione dell'isola degli ultimi anni ha cercato di trarre profitto, ricevendo un crescente sostegno politico, economico e un imponente assistenza militare dagli Stati Uniti. Il culmine di questa integrazione completa di interessi tra Washington e Taipei, ha avuto la sua consacrazione politica e pubblica, con la visita sull'isola della presidente della Camera USA, Nancy Pelosi nell’agosto dello scorso anno.
E questo fa capire la fibrillazione degli USA e il costante innalzamento del livello di provocazioni e la ricerca di alzare la tensione, coinvolgendo Corea del Sud e Giappone, per far scoppiare una nuova area conflittuale e poter poi intervenire “a supporto” delle autorità locali, ma se le autorità locali non sono ad essi assoggettate ecco che l’unica possibilità e la ricerca di un conflitto, per “difendere la democrazia taiwanese” o affermare l’indipendenza di Taiwan. La stessa strategia adottata in Kosovo per la Serbia (RFJ) e poi per il Donbass in Ucraina, costringendo così l’altra parte a intervenire.
Le due principali forze che si oppongono opposte sull'isola, il Partito Democratico Progressista al governo e il principale partito di opposizione, il Kuomintang, sono radicalmente in contrasto su una questione chiave di politica estera e strategica: le relazioni con la Cina continentale.
Il PDP, salito al potere nel 2016, guidato da Tsai Ing-wen, ha concettualmente sempre rifiutato di riconoscere il principio di "una Cina" e si è indirizzato nelle sue politiche per un crescente riduzione dei legami con la RPC. Mentre il Kuomintang che governava prima, ha cercato di costruire relazioni costruttive fondate su un realismo politico.
Il Kuomintang, negli ultimi decenni, ha sempre cercato di facilitare un riavvicinamento con la Repubblica popolare cinese e il PCC, con la politica realista di tre negazioni: nessuna indipendenza, nessuna unificazione e nessun uso della forza. Questa gestione ha permesso di costruire una sorta di tregua basata sulla non aggressione e sul progresso nello sviluppo di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa che aveva persino portato il presidente Xi Jinping a incontrare nel novembre 2015 a Singapore Ma Ying-yeou, capo supremo di Taiwan e leader del Kuomintang all'epoca.
Nella logica delle amministrazioni statunitensi, fondata su una politica strategica di contenimento della Cina, Taiwan è considerata una risorsa fondamentale e preziosa per Washington, su cui l'attuale amministrazione dell'isola degli ultimi anni ha cercato di trarre profitto, ricevendo un crescente sostegno politico, economico e un imponente assistenza militare dagli Stati Uniti. Il culmine di questa integrazione completa di interessi tra Washington e Taipei, ha avuto la sua consacrazione politica e pubblica, con la visita sull'isola della presidente della Camera USA, Nancy Pelosi nell’agosto dello scorso anno.
E questo fa capire la fibrillazione degli USA e il costante innalzamento del livello di provocazioni e la ricerca di alzare la tensione, coinvolgendo Corea del Sud e Giappone, per far scoppiare una nuova area conflittuale e poter poi intervenire “a supporto” delle autorità locali, ma se le autorità locali non sono ad essi assoggettate ecco che l’unica possibilità e la ricerca di un conflitto, per “difendere la democrazia taiwanese” o affermare l’indipendenza di Taiwan. La stessa strategia adottata in Kosovo per la Serbia (RFJ) e poi per il Donbass in Ucraina, costringendo così l’altra parte a intervenire.
In questi mesi il presidente cinese Xi Jinping ha ripetutamente affermato che la Cina non accetterà mai “alcun processo politico che miri a raggiungere la cosiddetta indipendenza di Taiwan”.
In questo scenario pur senza intraprendere azioni militari offensive, la Cina continua a fare pressione per un abbassamento dei toni ostili, su Taipei, effettuando regolari manovre al largo delle sue coste. Ma non va dimenticato che, definendo la soluzione del problema di Taiwan una priorità assoluta, nel suo discorso al 20° Congresso del PCC tenutosi a ottobre, il presidente cinese Xi Jinping ha chiarito che non si può escludere un'azione militare, se continua questo atteggiamento aggressivo delle autorità dell’isola, spinte dagli interessi statunitensi e non dagli interessi dei cittadini taiwanesi.
Con la nuova provocazione lanciata dagli USA, avvenuta con la visita del presidente della Camera di Washington, Kevin McCarthy a Taipei, si è potuto vedere come la società taiwanese, con associazioni, partiti e media locali si siano schierati contro processi di intensificazioni di politiche volte allo scontro e non al dialogo.
Stralcio di un articolo Enrico Vigna
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.