venerdì 15 novembre 2019

Il caos sistemico e la guerra d'Europa


Il macello che è iniziato nel 1914 - è veramente finito? Qualcosa è cambiato? L'UE sopravviverà? E se non sopravviverà, cosa succederà?
George Friedman, discorso alla conferenza del Chicago Council of Global Affairs, intitolata «Europa: destinata alla guerra?» (marzo 2015)
E io Tiresia ho presofferto tutto
Ciò che si compie su questo stesso divano o questo letto;
lo che sedei presso Tebe sotto le mura
E camminai fra i morti che più stanno in basso

T. S. Eliot, “La Terra Desolata”

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...qui si parla di fascismo, di guerra in Europa e di una decisione che dovrà essere presa a Bruxelles il mese venturo. Una decisione che ci riguarda molto da vicino e che il mainstrem cercherà di dipingere come un altro passo verso l'unione dell'Europa, ma potrebbe essere un altro, e più grave, passo fatale.

Giampaolo Galli è vice direttore dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, è docente di Economia Politica, si è laureato alla Bocconi e ha preso il PhD in Economia al MIT. Ha fatto il ricercatore presso il FMI ed è stato responsabile della Direzione Internazionale del Servizio Studi della Banca d’Italia, occupandosi di relazioni monetarie internazionali. E' stato anche Capo Economista di Confindustria e poi suo Direttore Generale, consulente della Commissione Affari Monetari e Finanziari del Parlamento Europeo e ha insegnato alla Bocconi, alla Sapienza, alla Luiss e infine alla Cattolica di Milano.

Come si capisce da questo curriculum, il professor Galli non è né un “sovranista,” né un “complottista” e nemmeno un “odiatore”. Men che meno potrebbe essere un “euroscettico” (quante pseudo-categorie imbecilli ha inventato il mainstream per non discutere, tagliar corto e censurare, pseudo-categorie che servono solo a creare un clima di isteria collettiva e di questo - cioè di una sinistra liberal ormai preda di un'isteria collettiva – dovremo tornare a parlare).

Infatti il professor Galli non è niente di tutto ciò, non è affetto da quelle orrende e tremende tare. Anzi, è un convintissimo europeista. In un suo libro dell'anno scorso ha affermato che «uscire dall’euro significa caos economico e finanziario, fallimenti a catena, sofferenze sociali senza precedenti, austerità estrema, disoccupazione di massa e distruzione del risparmio».

Ma a quanto pare il suo entusiasmo europeista in questi giorni è messo a dura prova.
Lo vedremo alla fine (e vi prego di pazientare perché quel che dice - e in una sede politica ufficiale - è veramente molto allarmante; e il professore non è un catastrofista).
Prima però vale la pena di ricordare che non passa giorno che qualcuno non si scocci della UE, per non dire dell'Euro. E lo fa vedere in varie forme, con varie modalità e vari intendimenti.

Molti Nobel per l'Economia hanno denunciato la “follia dell'Euro”. A parte i noti Stiglitz o Krugman, vale la pena citare l'articolo di Milton Friedman (sì, proprio lui, proprio il vate del neo-liberismo!) intitolato “The euro: monetary unity to political disunity”. (https://economia.icaew.com/opinion/global-review-2015/the-euro-monetary-unity-to-political-disunity). Siamo nel 1997, alla vigilia dell'introduzione della moneta unica. Ecco cosa diceva il nostro Nobel (traduzione mia):
«La spinta per l'Euro era motivata dalla politica, non dall'economia. Lo scopo era quello di tenere così strette tra loro la Germania e la Francia da rendere impossibile una futura guerra europea e per preparare il terreno a degli Stati Uniti d'Europa federali. Ma io credo che l'adozione dell'Euro potrebbe avere l'effetto opposto. Potrebbe esacerbare le tensioni politiche convertendo shock divergenti, che potrebbero essere prontamente assorbiti con aggiustamenti nei cambi, in questioni politiche divisive. L'unità politica può preparare la strada all'unità monetaria. L'unità monetaria imposta sotto condizioni non favorevoli si dimostrerà essere una barriera al raggiungimento dell'unità politica.”

Quindici anni più tardi, il suo quasi omonimo George Friedman, fondatore e presidente dei think-tank Geopolitical Futures e Stratfor (consiglio di leggere di tanto in tanto i loro rapporti), che secondo il New York Times è una “autorità in materia di intelligence tattica e strategica globale”, così diceva in una conferenza al Chicago Council of Global Affairs, intitolato, pensate un po': «Europa: destinata alla guerra?» (https://www.thechicagocouncil.org/event/europe-destined-conflict):
«L’Europa subirà la stessa sorte di tutti gli altri Paesi: avranno le loro guerre. Non ci saranno centinaia di milioni di morti, ma l’idea di una esclusività europea, a mio avviso, la porterà a delle guerre. Ci saranno dei conflitti in Europa. Ce ne sono già stati, in Jugoslavia ed ora in Ucraina.» «[Nell'epoca coloniale] l'Europa ha conquistato il mondo, ma non ha mai conquistato se stessa!»

Vi consiglio vivamente di ascoltare con attenzione il suo intervento, tenendo a mente che George Friedman sta parlando pro domo sua, cioè riporta  il punto di vista di uno statunitense che è innanzitutto focalizzato sui dilemmi a stelle e strisce e le cui idee, problemi e soluzioni sono forgiati negli Stati Uniti. Esattamente come Milton Friedman, come Paul Krugman, come Joseph Stiglitz. E' in quest'ottica che dobbiamo recepire anche le cose giuste che dicono.

Passiamo ora a fatti più recenti.
Giorni fa il presidente della Banca Centrale ungherese, Gyorgy Matolcsy, ha dichiarato che l'Euro è una trappola:
È giunto il momento di svegliarsi da questo sogno dannoso e infruttuoso. Un buon punto di partenza sarebbe riconoscere che la moneta unica è una trappola praticamente per tutti i suoi membri - per ragioni diverse - e non una miniera d’oro.”.
Così Matolcsy, anche se l'Ungheria ha ancora il suo bel fiorino.
Così i mugugni in doppiopetto.

Poi però c'è anche la reazione dei sans doppiopett, come la sconvolgente manifestazione della destra radicale polacca, iper-nazionalista, xenofoba, antisemita, antirussa, anti aborto, anti LGBT, anticomunista e, last but not least, anti-UE, per l'appunto.
Guardate qui e impressionatevihttps://youtu.be/o_E5Tgv4LuE
Decine di migliaia di manifestanti (150.000 per gli organizzatori, 50.000 per la polizia), con tanto di delegazione dei nostri nazifascisti d.o.c. di Forza Nuova, gridavano slogan come “No all'Unione Europea!”, “Dio, onore e patria!”. “L'Europa sta morendo!”, “Polonia, bianca e cattolica!”.

Avete guardato il video? Vi siete impressionati? Io sì!
Io mi sono impressionato perché ho già visto tutto questo! L'ho già visto negli anni Venti e Trenta del Novecento, col terreno locale preparato dalla sinistra con la sua lotta al comunismo, col suo collaborazionismo bellico e col suo opportunismo; col terreno internazionale preparato dalla rapinosa finanza anglosassone, come aveva capito benissimo il deluso e arrabbiato Lord Keynes; col terreno globale preparato dall'ultima crisi sistemica che ha preceduto quella odierna. E infine con politici odiosi e privi di scrupoli, pronti a raccogliere quanto era stato seminato.

La lotta di classe dall'alto in mancanza di una risposta che qualcuno dirà “di sinistra” ma io preferisco chiamare “emancipativa” o “socialista”, o meglio ancora “comunista” tout court, in mancanza di questa risposta la lotta di classe dall'alto genera mostri di destra. Genera i miti dell'età dell'oro, dello stato primordiale (anche ecologicamente primordiale), della purezza (anche della razza), dell'ordine di una volta, dei valori di una volta (ma più spesso disvalori, valori stravolti), genera la richiesta pressante che lo Stato faccia gli interessi del  “popolo”, della Nazione e non più quelli di una élite cosmopolita, che la smetta di togliere ricchezza in basso per regalarla in alto là dove, ovviamente, ci stanno i “banchieri ebrei” e tutto il pacchetto del “complotto demoplutogiudaico”, Protocolli dei Savi di Sion inclusi. O sì, che ho già visto tutto questo! Sono i miti wagneriani!

Guardatela bene: questa polacca è un'ultra-destra esattamente simile a quella che prese il potere a Kiev nel 2014 organizzata, armata e finanziata dagli USA sotto la supervisione di Victoria Fuck the EU Nuland.

Hanno sentimenti fotocopia. Facce fotocopia. Forse per ora ai nazi polacchi manca l'estro sloganistico dei “campioni della libertà” ucraini, del tipo “Liberiamoci dal giogo ebraico-moscovita!”.

E poi contraddizioni. L'anno scorso in questa ricorrenza polacca (l'indipendenza) la destra estrema e il governo sfilarono assieme. Quest'anno no. Opportunità politica. Così alcuni settori del corteo se la sono potuta prendere liberamente anche con gli USA e Israele. Ma evidentemente sono solo modeste contraddizioni in seno ai giochi geopolitici, se l'oligarca ebreo ucraino-cipriota-israeliano Igor Kolomoisky è potuto essere il primo e maggior finanziatore del Battaglione Azov che si fregia di svastiche e di simboli nazisti. O se Moammad bin Salmān Āl Saʿūd, difensore della Fede e dei Luoghi Santi, chiama “fratello maggiore” il primo ministro indiano Narendra Modi, il fascistoide nazionalista indù che rivendicò il famigerato pogrom antimusulmano nel Gujarat del 2002 (qui raccontato da Arundhati Roy: https://www.internazionale.it/opinione/arundhati-roy/2002/10/10/la-notte-dellindia).

Questa ultra-destra polacca non rovescerà il governo di Varsavia, lo contesterà se del caso qui e là, lo incalzerà, ma non lo rovescerà perché il governo di Varsavia è già del tutto infeudato agli USA, perché il governo sta già dalla sua parte. Non farà come le bande fasciste e razziste del milionario cristiano fondamentalista Luis Fernando Camacho che in Bolivia coi militari hanno deposto un presidente eletto con più del 47% dei voti (incontestabili: http://cepr.net/press-center/press-releases/no-evidence-that-bolivian-election-results-were-affected-by-irregularities-or-fraud-statistical-analysis-shows), per mettere al suo posto una Jeanine Añez gradita solo all'1.7% dei votanti. No, non c'è bisogno che faccia come il fascista Camacho, “evangelical”, ma detestato dai pastori protestanti latino-americani: “Non userai la Bibbia come arma!” (https://noticias.perfil.com/noticias/informacion-general/pastores-rebeldes-repudiaron-el-golpe-no-usaras-la-biblia-como-arma.phtmlhttps://www.infobae.com/politica/2019/11/13/evangelicos-de-argentina-la-iglesia-no-puede-ser-utilizada-como-recurso-politico-para-enfrentar-a-ciudadanos-de-una-misma-nacion/).

Noi che agiamo su un altro piano, il piano, ma dai!, su! coraggio! chiamiamolo “di classe” che male non fa, noi che possiamo agire solo su questo piano, dobbiamo invece indignarci. Dobbiamo - e non solo “possiamo” - indignarci proprio perché questo piano ce lo consente. Possiamo e dobbiamo chiamare le cose col loro nome e non con quello della diplomazia e degli “interessi superiori”.

dobbiamo reagire, altrimenti resteremo attoniti a contemplare una destra estrema che ci sequestra i nostri slogan mischiandoli ai suoi turpi miti, ci rapina le piazze, deforma i nostri obiettivi, così come è già successo negli anni Venti del secolo scorso, così come lucidamente denunciava allora Antonio Gramsci.

Ma attenzione! Reagire non significa appoggiare chi questa situazione l'ha creata e ora cerca riparo nello scongiuro, nel talismano del politicamente corretto, nella censura, nell'avvilimento della democrazia, nell'isteria collettiva e la confusione che essa crea! Non significa appoggiare i maggiordomi della finanza cosmopolita, i devastatori dei diritti del lavoro, i neo-schiavisti, quelli che falsamente equiparano nazismo e comunismo perché di fatto (vedi Honduras, vedi Bolivia, vedi Ucraina) i nazisti li appoggiano, quelli che hanno già distrutto tutti in valori e tutti i vincoli, anche i propri, lasciando al “pubblico” solo i loro simulacri perché attorno ad essi si svolgano battaglie di ombre cinesi così che “i vecchi sentimenti”, dei difensori e degli avversari, lì si possano “smaltire accademicamente” e il vero piano reazionario di dominio possa “adempiersi al riparo della lotta diretta di classe” (Pasolini).

Eccoci allora ai mal di pancia di un europeista convinto come il professor Giampaolo Galli.

Ci dicono che il problema è che c'è “poca Europa”, che ci vuole “più Europa” e che è in questo senso che bisogna riformarla. E' lo scopo del Piano Junker, nel quale spicca la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), riforma avviata dall’Eurogruppo nello scorso giugno e che dovrebbe essere approvata il prossimo dicembre.

Ma questa riforma, per l'europeista convinto Gianpaolo Galli, può trasformarsi in un incubo. Ecco cosa ha detto nella sua audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati, lo scorso 6 novembre (https://www.giampaologalli.it/2019/11/il-meccanismo-europeo-di-stabilita-funzionamento-e-prospettive-di-riforma-audizione-presso-le-commssioni-riunite-v-e-xiv-della-camera-dei-deputati-6-novembre-2019/?fbclid=IwAR3_8DoYqFihekimmQWryOs5HFCpmBNXGqW9XQzt2WJr0wM_0wHyIFWNDRo):

Riporto solo alcuni passaggi:
La riforma in itinere sposta decisamente l’asse del potere economico nell’Eurozona dalla Commissione Europea al MES. Non a caso, nei suoi interventi al Parlamento Europeo, la nuova Presidente della Commissione ha sostanzialmente evitato di parlare della governance dell’Eurozona.[…]
Un passaggio essenziale di questa strategia consiste nello spostare l’asse del potere in materia economica dalla Commissione Europea, considerata troppo politicizzata, ad un organismo intergovernativo e teoricamente più tecnico quale il MES. [...]

Quanto agli aspetti critici, il punto fondamentale è che nella riforma che viene proposta emerge, in modo implicito ma abbastanza chiaro, l’idea che un paese che chiede aiuto al MES debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso MES. […]
È evidente che la riforma riguarda in particolare l’Italia che è il paese con lo spread più alto e che non ha creato le condizioni, né dal lato della finanza pubblica né dal lato delle riforme per la crescita, per mettere il debito su un trend discendente in rapporto al Pil. […]
La nostra opinione su questo punto è che l’idea di una ristrutturazione “early and deep” non avesse senso nella Grecia del 2010 e, a maggior ragione, non abbia senso nell’Italia di oggi. In particolare, occorre considerare che l’Italia ha risparmio di massa e che il 70% del debito è detenuto da operatori residenti, tramite le banche e i fondi di investimento. In queste condizioni, una ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra.
Questo è quanto.
Dobbiamo agire, si diceva e dobbiamo farlo in fretta. Ma dobbiamo capire bene in quale direzione. In una crisi sistemica i parametri e le dinamiche da considerare sono molti, sono intrecciati e, soprattutto, sono globali. L'Euro è una trappola. E'  una trappola per i popoli europei ed è una trappola mortale per lo stesso progetto europeo. Lo si è visto, lo sappiamo e ogni medicazione delle sue difficoltà peggiora la situazione.

Non c'è da meravigliarsi visto che sebbene la spinta per l'Euro fosse motivata dalla politica e non dall'economia, come affermava Milton Friedman, la sua gestione è tuttavia stata affidata a funzionari che, per dirla con Giovanni Arrighi, devono curare gli interessi di «comunità di proprietari, la cui preoccupazione principale riguarda il valore monetario dei loro patrimoni piuttosto che il potere autonomo dei loro governanti» così come è sempre stato a partire dai sollevamenti rivoluzionari del 1776-1848, cioè dalla imposizione della borghesia come classe dominante.

Ma se l'Euro è una trappola, al suo esterno, come una matriosca di trappole, c'è quella del Dollaro e gli USA non ci aiuteranno di certo a uscire dalla trappola dell'Euro se non sono sicuri di farci acchiappare da quella del Dollaro, di un Dollaro che ha prospettive inquietanti e si sostiene sulla minaccia di fare stragi nel mondo.
Attenzione quando dall'altra parte dell'Atlantico astrologano sul futuro dell'Europa. Quello non è un astrologare, quelle non sono possibili previsioni. Sono piani di battaglia, o meglio, sintetizzano umori, idee, un clima comune e un sentire diffuso di battaglia.

Così ci troviamo in mezzo a correnti che si contrastano e si incrociano: di qua un malessere popolare e un rancore verso l'Europa (giustificatissimi) che in mancanza di proposte alternative di emancipazione, si stanno fascistizzando; di là gli Stati Uniti, sempre più occupati a leccarsi le proprie ferite e le proprie lacerazioni interne e che non hanno mai accettato l'UE come un'entità politica («Abbiamo rapporti con la Romania, ne abbiamo con la Francia. Non esiste una ’Europa’ con cui gli Stati Uniti hanno rapporti», sempre George Friedman) e come entità politica non la tollererebbero; infine un'Europa che vuole e non vuole, che vorrebbe ma non può, che non sa se mantenersi come struttura semi-politica e burocratica a favore di una più ampia e conflittuale “comunità di proprietari” o rischiare seriamente di frantumarsi per privilegiare i settori di proprietari che fanno capo a un nucleo ristretto di entità statali, cosa che non dovrebbe sorprendere perché l'autonomia dei proprietari finisce laddove devono farsi proteggere da uno Stato, come sapevano benissimo Braudel e Schumpeter. Entità statali nazionali e non “europee” (la famosa “Europa germanizzata” contrapposta all'impossibile - a quel che sembra - “Germania europizzata”). Ognuna con la sua logica nazionale particolare, “sovranista” anche quando sbandiera ideali globalisti.

E, al di fuori, la Cina con la sua Belt and Road Initiative, l'enorme Russia con la sua coraggiosa e intelligente politica internazionale, l'Iran che può essere un punto di equilibrio o di squilibrio mondiale (così come il Pakistan), il Sud Africa che sorregge, non solo figuratamente, l'intero continente africano, l'India che sta diventando il Paese più popoloso del mondo e infine un Brasile potenza continentale in preda a lacerazioni, tirato per la cavezza dagli USA da una parte ma con l'occhio e il portafogli che guardano dalla parte opposta.
Il caos sistemico.
Di fronte alla complessità di questo senario non sono ammesse soluzioni semplici. E, purtroppo, non è possibile occuparsi degli umiliati e offesi, ormai espansi a dismisura a un nuovo Quarto Stato, senza incappare immediatamente in questa complessità. Un Quarto Stato, noi, che in quella complessità e nei suoi conflitti incrociati è considerato dalle varie élite come semplice carne da cannone sociale e bellica.

Deplorable and disposable.

Piero Pagliani
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1 commento:

  1. Commento di Fulvio Grimaldi:

    "Molte cose condivisibili, altre meno. Drammatizzi il pericolo fascista, un po’ come, ipocritamente, quelli di Liliana Segre, ma trascuri il pericolo mortale vero: le piattaforme digitali dei Google & co., rispetto alle quali i destri polacchi sono come una zanzara rispetto a un avvoltoio. E’ una dimenticanza di molti. E prima dei fascisti polacchi, come arma-fine-del-mondo, ci sono il Partito Democratico e il Deep State. Negli anni venti e trenta era tutto diverso: non si aveva di fronte una tecnologia annientatrice e neppure una UE con euro, che sono molto peggio. Ma complimenti per lo sforzo..." (Fulvio Grimaldi)

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