Asini
e buoi dei paesi tuoi e degli Usa
Quando si tratta di buoi,
cervi, renne, rinoceronti, che danno del cornuto all’asino, gli
Stati Uniti d’America sono, al solito, maestri e noi, al solito, i
ragazzi e (non se l’abbiano a male le femministe) le ragazze di
bottega: gli sguatteri che arrivano dopo, trafelati e ai piedi del
podio. Negli Usa è successa una cosa che rovescia tutto nel suo
contrario. Il Russiagate è svaporato e trasfigurato nel ridicolo. Il
grande accusatore di un’elezione americana decisa da hacker russi,
è il procuratore Robert Mueller, già capo dell’FBI, la più
grande associazione a delinquere mai apparsa sul pianeta, fondata nel
1924 e retta fino al 1972 dal capo gangster Edgar Hoover che, a
forza di spionaggio e ricatti, ha tenuto al guinzaglio tutti i
presidenti della sua epoca (salvo Kennedy e Nixon e s’è visto). Di
fronte alla clamorosa assenza della benché minima prova a supporto
dell’assunto, in pieno affanno l’aspirante boia dello sventurato
Donald Trump s’è inventato 13 blogger russi che, da un antro in
San Pietroburgo, avrebbero diffuso notizie talmente malvage su
Hillary Clinton da convincere 62,3 milioni di fessacchiotti tra
Manhattan e Beverly Hills a votare il suo avversario. Talmente
boccaloni da non aver avuto nemmeno bisogno, come gli italiani, dei
pacchi-dono Usa per votare democristiano, o di una scarpa su due per
votare Lauro.
Crolla
il Russiagate, emerge l’FBIgate
A
seppellire definitivamente la panzana Russiagate, con tanto
entusiasmo spappagallata anche da noi nelle larghe intese tra
“manifesto”, “Repubblica” e tutti gli altri fakenewisti dei
massmedia atlantisti, è arrivata la deflagrazione di una bomba a
talmente alto potenziale che... non ne ha parlato nessuno. Né i
paladini della libera stampa come Washington Post, New York Times,
CNN, CBS, BBC, nè quei ragazzi della bottega di Soros, del
“manifesto”, del “Corriere”, devi vari canali tv. Un esercito
di “tre scimmiette”. Eppure l’affare è gigantesco, tanto
grosso quanto le corna sull’ungulato del Russiagate. Vale per la
mandria taurina dello Stato Profondo Usa, con dentro tutta
l’intelligence, l’FBI, il ministero della Giustizia, Wall Street
e il Pentagono, che si riprometteva di avviare all’impeachment il
burattino sfuggito al controllo). Al confronto quelle di Trump sono
corna di capretto.
Un
Watergate dei Democratici
Si
chiama “Nunes Memo”,
cioè memoriale di Devin Nunes, che è il presidente della
Commissione Intelligence (Servizi Segreti) della Camera. Un rapporto
risultante da un’inchiesta della Commissione che è stato prima
secretato, poi pubblicato sotto pressione dell’opinione pubblica e
del Partito Repubblicano, felice di poter rivoltare la frittata
democratica che avrebbe dovuto incartare il presidente repubblicano e
che ora, coinvolgendo ministri e direttori dell’FBI, potrebbe
aprire le porte del carcere proprio a chi pensava di sotterrare la
capa di pannocchia.
Conviene
approfondire l’argomento andando su internet. Qui si dica solo che
tranne silenzi, borborigmi imbarazzati, risolini e balbettii,
l’establishment politico e mediatico non ha saputo contrapporre una
cippa. L’inchiesta ha appurato che FBI e Ministero della Giustizia
avevano cospirato per incastrare Trump nella fandonia di un suo ruolo
di agente di Putin e traditore della patria. Utilizzando un noto
pendaglio da forca ed ex-spia britannica, Christopher Steele, pagato
per la bisogna da FBI e Ministero della Giustizia, ma
anche dal partito Democratico, avevano
fabbricato un dossier che pretendeva di provare che Carter Page,
consigliere di Trump nella campagna elettorale, era in mano a Putin e
ai suoi ordini rovinava la vita a Hillary.. Sulla base di questa
bufala si erano fatti, illegalmente, assegnare dal Tribunale per la
Sicurezza dell’Intelligenc (FISC), ricorrendo, abusivamente, alla
Legge sulla Sicurezza dell’Intelligence (FISA), il mandato per
spiare Trump e tutto il suo staff nel corso della campagna
elettorale. In piena collaborazione con la CIA.
Niente
di meno che un altro Watergate, ancora più sporco, da porre,
oltrettutto, accanto al sabotaggio, effettuato dal Comitato Nazionale
Democratico, dell’altro candidato del partito alla presidenza,
Bernie Sanders, in forte ascesa. Un’ondata di calunnie tese anche
a distrarre dall’immane scandalo (subito seppellito dall’FBI)
delle mail riservate di Stato che l’allora Segretaria di Stato
scambiava sul suo account privato addirittura con Anthony Weiner,
marito della sua più stretta collaboratrice, Abedin, e pedopornomane
scoperto e condannato. Era questa la candidata alla presidenza degli
Usa pompata dalla “sinistra” italiana e, con particolare
passione, dal “manifesto”.
Fulvio Grimaldi - news@ fulviogrimaldicontroblog.info
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