venerdì 24 ottobre 2014

Teologia neoliberista ed il "mercato", idolo metafisico di questa nuova religione



Da molti anni la borghesia dominante cerca di spacciare l'immagine di un "pensiero unico", veicolato dal mito della globalizzazione "neoliberista" proiettato nel progetto del "grande secolo americano" (che si è avviato al declino prima ancora di iniziare). Il "mercato" è l'idolo metafisico di questa sorta di religione totalitaria.

In realtà, si tratta solo di mediocre propaganda, visibilmente irrealistica.


Al di là dell'idolatria comune per il profitto non vi è alcuna unicità di pensiero nell'economia borghese, attraversata da infinite contraddizioni interne spesso inconciliabili, come nell'ovvio esempio del venditore ed acquirente della medesima merce, i quali hanno interessi diametralmente opposti riguardo il suo prezzo. Nell'ultimo anno molte contraddizioni sono emerse allo scoperto, producendo l'ondata montante degli euroscettici, delle aspirazioni alle autonomie e indipendenze locali rispetto ai poteri centrali, nonché lo scontro isterico ma disperato della politica euroamericana contro la Russia e i Brics, potenze ascendenti ormai non più frenabili nella contesa mondiale per le risorse e i mercati.


Tuttavia, l'intera società nel suo complesso è attraversata da una contraddizione fondamentale ben più radicale: quella tra capitale e lavoro.


E questa, che è la vera contraddizione in cui i lavoratori debbono prendere posizione, non si dipana certo nei macabri teatrini parlamentari nazionali e sovranazionali, bensì nel paese reale, nei suoi luoghi di produzione: è quello il luogo in cui si deve gestire il vero scontro, con coscienza e determinazione.


Finora la scarsa adesione agli scioperi ed alle lotte di classe non ha ancora mostrato una classe lavoratrice organizzata e compatta.


Ma non c'è altra via di liberazione.


Noi non siamo vivi perché esiste il capitale, bensì perché esiste il lavoro, che produce e rende disponibili le merci di cui abbiamo bisogno. Il capitale senza il lavoro è sterile, il lavoro è tutto, anche senza il capitale. Lo scontro nella lotta contro lo sfruttamento, contro la rapina di plusvalore, deve diventare continuo, quotidiano: la rivoluzione o è permanente o non è.


La crisi la finzione teatrale con cui i governi rapinano i poveri e si fanno pagare dai ricchi per averlo fatto: contro questa truffa fraudolenta, non un passo indietro !

Vincenzo Zamboni

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