martedì 4 febbraio 2025

Venezia. Donald John Trump Jr. spara alle anatre protette...

 

LEAL esprime la propria indignazione per l'atto di bracconaggio compiuto dal figlio di Trump, Donald John Trump Jr. il quale ha recentemente ucciso specie protette nella laguna di Venezia durante una battuta di caccia. È inaccettabile che un individuo, noto per le sue posizioni contrarie alla tutela degli animali, possa violare impunito un'area tutelata, contravvenendo le leggi italiane ed europee che proteggono la fauna selvatica. 

Le immagini diffuse mostrano Trump Junior mentre spara alle anatre, tra cui la Casarca, una specie molto rara e protetta dalla legislazione europea e italiana.


Gian Marco Prampolini, presidente LEAL, commenta: “Questo atto non solo rappresenta una violazione della legge, ma è anche un affronto alla sensibilità ecologica e alla conservazione della biodiversità. La caccia in Italia è vietata per i non residenti, e ci chiediamo come sia stata organizzata questa battuta di caccia e chi ne sia stato il promotore. LEAL sta preparando un esposto da depositare in Procura per denunciare il comportamente illegale e irresponsabile di Trump Junior. È fondamentale che venga fatta luce su questo episodio e che i responsabili siano chiamati a rispondere delle loro azioni”.

LEAL, inoltre chiede alle autorità preposte alla sorveglianza delle aree protette di rafforzare i piani di sorveglianza per evitare che simili atti non si ripetano in futuro.

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Silvia Premoli - Ufficio Stampa LEAL 



Daje alla Serbia...!

 


I poteri occidentali, dalla UE, alla NATO, agli USA, stanno muovendo con risolutezza verso Belgrado! Cosa succederà alla Serbia?

Il governo serbo è sotto dure pressioni. Dalle proteste di piazza continue da tre mesi, ai tentativi di secessione della Vojvodina, alle intimidazioni in Kosovo, ai ricatti economici della UE, alle minacce della NATO e all’ultimatum di Trump. Lo scenario è da tipica “rivoluzione colorata”. Se questo governo cede, il paese sarà definitivamente in mani straniere. Fortissime preoccupazioni a Mosca.

Gli scenari di una pianificata e completa “rivoluzione colorata” serba.

Da anni la Serbia è sotto pressione occidentale, ma dallo scorso settembre è iniziata una campagna pianificata sulle sfere centrali del paese.

Il vice primo ministro serbo A. Vulin ha denunciato in TV che “…dietro le proteste in Serbia ci sono i servizi segreti occidentali, che operano attraverso alcune ONG, ben identificate. I crescenti tentativi da parte dei media e dei politici di varie parti di incoraggiare il tentativo di rivoluzione colorata in Serbia, sono tanto stupidi e spregevoli quanto le dichiarazioni secondo cui la Serbia sarà democratica quando la Vojvodina diventerà una repubblica o che le sanzioni contro la NIS non sono contro la Serbia…Allo stesso tempo le proteste sono sostenute dalla Croazia, dagli islamisti della Bosnia Erzegovina e dal kosovaro A. Kurti, è chiaro che l'ordine per un attacco generale alla Serbia è stato impartito in Occidente, dove credono e lavorano in modo che la Serbia sarà guidata da coloro che riconosceranno il cosiddetto Kosovo, abbandoneranno la Republika Srpska, da coloro che non ricorderanno alla Croazia i crimini degli Ustascia fascisti sia nella seconda guerra mondiale che nella guerra civile degli anni '90, e soprattutto da coloro che vogliono imporre sanzioni alla Russia e farci litigare in modo permanente con la Russia e la Cina. Conoscendo il lavoro dei servizi di intelligence occidentali…Se vogliamo la verità, adottiamo semplicemente la legge sugli agenti stranieri e seguiamo la pista del denaro…".

Le proteste in corso in Serbia, che durano da tre mesi in modo continuativo, che hanno negli studenti il loro fulcro di piazza, stanno aggravando la già difficile situazione politica del Paese. Il 28 gennaio, il capo del governo e leader del Partito progressista serbo (SNS) al governo, Miloš Vucevic, ha annunciato le sue dimissioni e l'intero gabinetto dei ministri è stato trasferito allo stato tecnico. La sera stessa, il presidente Aleksandar Vucic ha promesso di prendere una decisione entro dieci giorni se convocare un nuovo governo (che dovrà essere formato entro un mese) oppure indire elezioni parlamentari. Secondo la legislazione nazionale, dovranno essere completati entro il 1° maggio.

Nelle dichiarazioni pubbliche gli studenti, affermano che le loro proteste non sono “politiche”, ma, stranamente, tutti i rappresentanti dell'opinione pubblica di opposizione e le ONG filo-occidentali stanno vivendo un'eccitazione e un attivismo anche mediatico frenetici, per la portata di quanto sta accadendo nel paese e per l'efficacia delle proteste, le quali si stanno trasformando gradualmente in uno sciopero generale.

Vucic, l’ex Primo ministro dimissionario Vucevic e la presidente dell'Assemblea nazionale (parlamento) Ana Brnabic hanno dichiarato in precedenza di aver "soddisfatto tutte le richieste dei manifestanti". È importante far notare che non tutti gli studenti supportano ciò che sta accadendo e molti chiedono il ritorno allo studio.

Nonostante gli studenti affermassero di non avere rivendicazioni politiche, M. Vucevic, nel suo discorso dimissionario di "addio", ha dichiarato che le proteste erano state organizzate all'estero.

Tra chi regge le fila nel paese c’è il movimento ProGlas, registrato nel 2023, che si è fortemente attivato nelle proteste in corso; tra i suoi membri ci sono giornalisti, attori, scrittori e professori che sostengono le proteste di piazza e la formazione di un governo "di transizione" con esperti "indipendenti". Il presidente serbo Vucic ha accusato direttamente questa struttura di ricevere denaro dall'estero "per fare lavori sporchi". Come aveva già fatto in passato, Vučić ha accusato i manifestanti di lavorare per i servizi segreti stranieri con l’obiettivo di far cadere il governo, ma ha detto di essere aperto al dialogo con i dimostranti, ricordando però che «nel momento in cui qualcuno pensa di usare la violenza per prendere il potere, lo Stato si comporterà come uno Stato, proprio come in ogni altra parte del mondo».

“…Molti oggi vorrebbero riportarci al passato, spetta a noi dimostrare la nostra capacità, il nostro patriottismo e quanto amiamo il nostro Paese. Il patriottismo non si dimostra cantando una canzone in una taverna, ma nei fatti, quando si serve il proprio Paese….il patriottismo è importante nelle condizioni odierne in cui il mondo si sta disgregando, dove tutto è interconnesso, quando si verifica quasi una guerra mondiale e l'ingerenza più brutale della regione negli affari interni della Serbia. Guardate la scena politica in Croazia, dove tutti i candidati alla presidenza parlano di come rovesceranno qualcuno a Belgrado, è lo stesso a Pristina e Sarajevo, come a Podgorica. Perché lo stanno facendo, pensate davvero che vogliono una Serbia migliore, che amano la Serbia? Ma non è possibile che la Serbia, come loro vorrebbero, torni ad essere come era prima, quando era molto più sottomessa e compiacente per loro, di quanto non lo sia oggi.

La Serbia oggi non è un paese che possono prendere a calci come un sacco e farci chiedere scusa perché hanno espulso 250.000 persone nella Krajina o perché hanno strappato via parte del nostro Paese in Kosovo.

Molti soldi arrivavano a ‘ProGlas’ e non solo a loro, dall'esterno e quei soldi ‘devono essere usati per fare lavori sporchi’. I potenti del mondo lo stanno facendo per tre motivi. Il primo è perché devono cercare di chiudere le cose per il Kosovo il prima possibile. Finché sarò presidente, non riconosceremo l'indipendenza del Kosovo a nessun costo. Hanno bisogno di questo, anche per poter dire a Putin di non fare riferimento al "precedente del Kosovo quando si parlerà di Zaporizhia, Kherson...Il secondo motivo è che non vogliono che la Serbia diventi il paese economicamente più prospero della regione. E, in terzo luogo, l'adozione della Risoluzione su Srebrenica. A maggio abbiamo tentato di far passare una risoluzione conciliatoria, quando hanno deciso di celebrare il giorno del genocidio a Srebrenica. E quel giorno tutti mi hanno detto che non mi avrebbero perdonato per questo, perché a quel tempo guidavo la lotta di paesi coraggiosi per difendersi dai paesi più potenti. E oggi vediamo chi ‘sostiene le proteste’, che non sono proteste studentesche, e chi sono? Chi ha fatto più rumore di Natasa Kandić, offrendo la conclusione che il genocidio di Srebrenica sarà riconosciuto. Forse sarebbe meglio non far parte di nessun governo, che far parte di un governo del genere con persone del genere", ha affermato Vučić. 

La Serbia, ha sottolineato Vučić “è un Paese autonomo e indipendente, al quale non si possono impartire ordini. Che non risponde alle chiamate delle ambasciate, dove qualcuno dirà che questo si può fare e questo no…La Serbia vuole prendere le proprie decisioni nell'interesse del Paese… Sappiano tutti, qui e all’estero, che non cederemo la Serbia a chi è pagato dall'esterno o a chiunque pensi di potercela portare via", ha concluso il presidente serbo. 

Gli inquirenti serbi hanno anche annotato l'affiliazione della nota attivista Ela Zekovic ad organizzazioni filo-occidentali. In primo luogo, con la ONG “Iniziative civiche”, che, ad esempio, sostiene la tesi del “genocidio di Srebrenica” e lavora per ‘aumentare la coscienza politica’ degli albanesi del sud del paese, in Sangiaccato, per spingerli alla secessione. La Zekovic ha svolto lì uno stage da settembre a dicembre 2024.

Sono anche stati rivelati altri interessanti particolari di questi “pacifici e ingenui studenti “, per esempio che molti di loro hanno partecipato al programma di borse di studio LEAD Srbija per giovani leader, organizzato dall'American East West Management Institute e dalla ONG serba National Coalition for Decentralization, che riceve denaro dall'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), dall'American National Endowment for Democracy (NED) e altre strutture europee. Quella NED, tra l'altro, che è riconosciuta in Russia come un'organizzazione indesiderata.

Un altro fronte di scontro è anche il sempre meno strisciante tentativo di far separare la Vojvodina e farne una nuova repubblica. Su questo il presidente del Partito progressista serbo, M. Vučević, nativo proprio della regione, ha dichiarato che non riuscirete a far secedere la Vojvodina dalla Serbia. Non vedrete mai quello scenario. Non ci metterete sui trattori e non ci espellerete da qui. Non conterete le nostre cellule del sangue e non ci direte chi vivrà in Vojvodina. Tenete le vostre mani lontane dalla Vojvodina. Giù le mani dal nostro popolo e dal nostro stato. Non ci separerete dal nostro stato. Già una volta lo avevate tentato e il popolo lo ha impeditoStanno cercando di ripetere lo stesso scenario fatto in Montenegro e in altre parti dell'ex Repubblica di Jugoslavia. Non lo permetteremo mai più. Combatteremo politicamente in ogni modo che non venga mai permesso e non accada…”.

Intanto la UE continua i suoi attacchi e ricatti: nell’ultima risoluzione del Parlamento europeo

riferita alla Serbia, nella bozza di risoluzione adottata dalla Commissione per gli affari esteri UE, i deputati del Parlamento europeo decidono su come la Serbia dovrebbe imporre sanzioni alla Russia e riconoscere l’indipendenza del Kosovo e Metohija, per poter diventare membro della "famiglia europea delle nazioni", è un vecchio ritornello, però stavolta gli eurodeputati affermano che la Serbia se non farà in breve tempo questi passi, dovrà aspettarsi una condotta più dura da Bruxelles.

Nel frattempo gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro il Naftna Industrija Srbije (NIS), per il fatto che la maggior parte delle azioni è di proprietà della russa Gazprom Neft. Questo ha portato la situazione economica del paese sull'orlo del disastro. Finora, Belgrado non ha ancora trovato opzioni di manovra in risposta a questo atto. NIS è la più grande azienda energetica dei Balcani, impegnata nell'esplorazione, produzione e lavorazione di petrolio e gas naturale anche in Romania e Bosnia-Erzegovina. NIS è proprietaria di una raffineria di petrolio nella città di Pančevo e di una rete di oltre 400 stazioni di servizio. L'azienda è diventata la prima in termini di redditività in Serbia, con contributi annuali al bilancio statale di oltre 1,3 miliardi di euro.

Di questo ricatto politico a tutto tondo, non è difficile da indovinarne la motivazione politica e l’attacco economico: Belgrado non riconosce in alcun modo il Kosovo, non impone sanzioni alla Russia, non ha fermato i voli diretti con Mosca, non congela i beni russi e non rinuncia di sostenere la Republika Srpska. Inoltre, non acquista GNL americano molte volte più costoso di altri europei, ma riceve un "carburante blu" russo abbastanza economico. Inoltre, la Serbia, insieme all'Ungheria, ha iniziato la costruzione dell'oleodotto Druzhba per non dipendere dalla Croazia per le forniture di petrolio. E Bruxelles e Washington non possono perdonare questo…Può essere sufficiente per capire la situazione in cui si trova l’attuale governo serbo?! Se gli Stati Uniti riusciranno a cacciare Gazprom dalla Serbia, ciò comporterà una serie di conseguenze negative: la costruzione dell'oleodotto Druzhba dall'Ungheria alla Serbia perderà la sua importanza, la Serbia diventerà ancora più dipendente dalla Croazia (cioè dall'UE e dalla NATO) in termini di forniture di petrolio. Inoltre, quest'anno scade il contratto per la fornitura di gas russo a prezzi estremamente favorevoli per Belgrado e migliaia di persone potrebbero perdere il lavoro. Belgrado dovrà acquistare il GNL statunitense a un prezzo molto più alto e la Russia perderà sia in denaro, che nell'immagine di garanzie sempre rispettate, che si è costruita nel corso degli anni.

Quindi cosa c’è di meglio di una ben pianificata “rivoluzione colorata ?!

"…Stiamo parlando di sanzioni molto pesanti. Dopo l'imposizione delle sanzioni, non si può fare molto. Anche se i russi vogliono vendere le loro aziende, le restrizioni si applicheranno immediatamente agli acquirenti. Stiamo parlando delle sanzioni più pesanti che colpiscono l'azienda in Serbia. Chiedono il ritiro completo dei russi dalla società serba. Il piano di gestione della proprietà deve quindi essere approvato dagli Stati Uniti. Abbiamo 45 giorni per tutto..", ha detto il presidente serbo.

L'ambasciatore russo a Belgrado, A.B. Kharchenko, in una intervista televisiva ha detto che: “…Per creare difficoltà a tutti, gli USA hanno avviato sanzioni contro la NIS, comprendendo che questa azienda è una delle fondamenta dell'industria serba, del suo sviluppo economico e

dell’attuazione dei suoi piani per uno sviluppo economico accelerato e di qualità…Questo è un duro attacco direttamente al paese e alle relazioni tra i due paesi… Per quanto riguarda le relazioni tra Serbia e Russia, esse rimangono relazioni strategiche di amicizia e cooperazione tra i due Stati…La Serbia non ha aderito finora alle misure antirusse , nonostante tutte le pressioni e probabilmente ce ne saranno altre, perché l'Occidente vede che la pressione sulla Serbia non sta dando alcun risultato…", ha affermato Botsan-Kharchenko.

Il presidente Vučić ha dichiarato che la cosa più importante per la Serbia è preservare la stabilità, nonostante, come ha detto: “…il desiderio di molti di fermare gli investimenti e lo sviluppo nel nostro paese. Per quanto riguarda la crisi di governo, il quadro costituzionale è chiaro, quando si riunisce la sessione del Parlamento serbo, saranno dichiarate le dimissioni. Da quel momento in poi, abbiamo 30 giorni fino all'elezione di un nuovo governo in conformità con la Costituzione della Repubblica di Serbia e in conformità con il fatto di chi può garantire la maggioranza nel Parlamento Popolare. Noi cercheremo di garantire la maggioranza, se ciò sarà possibile, altrimenti, andremo alle elezioni. E alle elezioni sai già come va, come sempre. Il popolo decide…”, ha detto il presidente serbo.

Circa i ricatti sui serbi del Kosovo Metohija.il vice primo ministro serbo A. Vulin, ha detto:”… I menzogneri degli USA e dell'UE scrivono solo dichiarazioni che criticano A. Kurti, , niente che possa fermarlo. Ogni violazione dell'accordo di Bruxelles, ogni attacco continuo alle istituzioni serbe in Kosovo e Metohija è un tentativo di rendere la vita impossibile ai serbi, di farli andar via prima di essere espulsi. Tutto ciò che Kurti fa, lo fa con il consenso e il supporto diretto degli USA e dell'UE. Se avessero voluto fermarlo, lo avrebbero fatto, ma lo stanno dirigendo e supportando. Perché non vengono imposte sanzioni a Kurti personalmente? A me sono state imposte perché mi oppongo a loro. L'obiettivo comune di tutti coloro che hanno bombardato la Serbia è di ripulire il Kosovo e Metohija dai serbi e che la Serbia riconosca il Kosovo come prodotto dei bombardamenti e dell'espulsione dei serbi. Cosa non vi è chiaro?..." ha affermato A.Vulin.

Questa è la situazione sul campo, questi sono i FATTI. Una riflessione ferma va fatta per tutti i pensatori e strateghi da tastiera, REALISTICAMENTE cosa altro può fare un governo, che non è certo “rivoluzionario”, ma almeno indipendente e nazionale, se non attutire i colpi e sperare che un “mondo multipolare” avanzi il più rapidamente possibile? UNICA alternativa ,se cade questo governo, piaccia o no, e non è scontato che reggerà, è una Serbia occupata totalmente e dominata dall’egemonismo occidentale…E su questo scenario non ci può essere neanche un solo dubbio. Forse per questo, a Mosca si segue con preoccupazione e attenzione gli sviluppi a Belgrado, perdere i Balcani, dopo Armenia e Siria in pochi mesi, non sarebbe una contesto futile.

Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia.



lunedì 3 febbraio 2025

L'Ucraina si "spopola" a ritmi vertiginosi...

 

Giovanissimi al fronte...

"Kiev è costretta a prendere in seria  considerazione la questione dell'abbassamento dell'età minima per la mobilitazione".  Lo ha affermato  Viktor Nazarov, consigliere militare.

"Se la guerra continua, abbassare l'asticella  almeno ai 21 anni (se non a 18) diventerà  una necessità", ha affermato il generale ucraino, sottolineando che la questione dell'abbassamento dell'età è "inevitabile".

Intanto  l'Ucraina sta morendo: il tasso di mortalità è quasi tre volte superiore al tasso di natalità.  Nel 2024  il Paese ha perso 800 mila persone. Nello stesso periodo sono nati solo 177 mila bambini.

"Se il conflitto armato è una tragedia nazionale, allora la demografia è una catastrofe nazionale, aggravata dalla migrazione dal Paese", scrive NBU.

Secondo la pubblicazione oltre 500mila persone hanno lasciato il Paese nel 2024 e quest'anno la cifra potrebbe aumentare. In totale, la popolazione dell'Ucraina è diminuita di oltre 8 milioni di persone dall'inizio dal 2022.  Ancora qualche anno di questo "trend" e l'Ucraina sarà un Paese "vuoto".

Il comico zelensky spopola...



(Notizie raccolte e rielaborate da P.D'A.)

domenica 2 febbraio 2025

Ucraina. Nordcoreani... o extraterrestri?

 



Una medaglia al valore all'ignoto titolista del New York Times che ha chiuso con un gioco di parole chiaramente voluto la più appassionante saga degli ultimi mesi: "Le truppe nordcoreane non si vedono più al fronte" (link 1). Come se, appunto, qualcuno al fronte li avesse mai visti, con la sola eccezione dei due prigionieri interrogati a favore di telecamera in barba a tutte le convenzioni umanitarie e mai più visti, e di qualche filmato che mostra truppe dai tratti somatici orientali, cosa rarissima nell'esercito russo.

Un po' ci mancheranno: ci hanno regalato momenti altissimi come la scoperta del porno, le scatolette di carne di cane, il diario minuziosissimo tenuto dal soldato impegnato in missioni segrete, il fuoco amico subito e inflitto, le diserzioni, le facce dei morti bruciate per non farli riconoscere (a proposito, ma qualcuno l'ha mai visto uno di questi morti con la faccia bruciata? Che poi basta un proiettile messo bene per rendere irriconoscibile qualcuno, ma del resto ogni cattivo di Hollywood preferisce sempre le soluzioni più complicate e macchinose).
Ad ogni modo i produttori della sitcom hanno deciso di opzionare anche la seconda stagione, non si sa mai, e lasciare aperta la possibilità di un ritorno. E così Newsweek (link 2) ci informa che le famiglie delle reclute nordcoreane pagano fino a 100 volte il salario mensile per far certificare la tubercolosi ai propri figlioli e non farli andare in Russia (la capacità di risparmio dei nordcoreani deve essere impressionante, addirittura hanno 100 stipendi messi da parte). La notizia viene dalle fonti nordcoreane anonime di Radio Free Asia, per cui è sicuramente vera al 100%.

Francesco Dall'Aglio



sabato 1 febbraio 2025

Drammatica crisi nel Congo...




Tra le notizie riportate dai nostri mass media è comparsa anche la segnalazione del riaccendersi della guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. I ribelli della formazione M23, sostenuti dall’esercito del Rwanda, si sono impossessati della città di Goma, capoluogo della regione del Nord Kivu e massima città del Congo orientale.
 
Il Congo è un paese dell’Africa equatoriale grande quasi 8 volte l’Italia e con oltre 100 milioni di abitanti. Ѐ un paese di enormi ricchezze agricole e soprattutto minerarie, per cui è stato sempre una preda ambita dal colonialismo europeo e dall’imperialismo occidentale. Il suo sottosuolo è ricco di rame, cobalto, oro, diamanti, uranio, ma soprattutto - nelle regioni orientali - del prezioso Coltan, un minerale utilissimo per la costruzione di apparecchiature elettroniche di largo uso.
 
Dal 1885 al 1906 il Congo fu una proprietà personale del re del Belgio Leopoldo II, che impose un regime di terrore e spietato sfruttamento che causò milioni di morti (ampiamente documentati in vari studi). Divenne poi una colonia dello stato belga fino al 1960 quando ottenne l’indipendenza sotto la direzione dello sfortunato eroe della liberazione: Patrice Lumumba. Subito dopo Lumumba venne assassinato dal corrotto capo dell’esercito Mobutu, manovrato prima dal Belgio e poi dagli USA, che divenne il dittatore del paese fino al 1996.
 
Si sviluppò un’opposizione armata, organizzata per un certo periodo anche dall’indimenticabile Ché Guevara che fu presente nelle regioni orientali del Congo. Finalmente nel 1996 il paese fu liberato da una rivolta armata, nota come Prima Guerra del Congo, guidata da Laurent Kabila, cui poi successe, dopo il suo assassinio, il figlio Joseph.
 
Ma, a partire dal 1998 iniziò una Seconda Guerra del Congo, scatenata da milizie locali nell’Est sostenute dall’esercito del vicino Rwanda. Il presidente del Rwanda (tutt’ora in carica) Paul Kagame è notoriamente uomo legato agli USA e da essi armato e finanziato. Egli emerse come capo indiscusso del paese dopo la vittoriosa guerra civile condotta in Rwanda come comandante dell’etnia Tutsi contro l’etnia Hutu. La guerra era iniziata subito dopo i massacri commessi dagli Hutu a danno degli eterni rivali Tutsi nel 1994 (massacri considerati come “genocidio” da parte di un tribunale internazionale creato ad hoc, ma sostanzialmente favorevole ai Tutsi).
 
Da allora la guerra nel Congo orientale è andata avanti per quasi 30 anni, inframmezzata da fragili accordi e periodi di tregua. La guerra ha causato 8 milioni di morti anche per la carestia indotta dai combattimenti e la mancanza di assistenza medica; ed è continuata anche dopo che nel 2018 è stato eletto presidente in Congo Felix Tshisekendi che ha sconfitto Joseph Kabila in regolari elezioni.
 
Quello che è necessario capire è che la guerra che ha periodicamente imperversato nell’Est del paese (specie nella regione del Kivu), se ha certamente una delle sue ragioni nella rivalità tra le etnie Hutu e Tutsi presenti sia in Rwanda che nell’Est del confinante Congo, è però alimentata soprattutto da ricorrenti tensioni internazionali. Sotto i governi dei Kabila e poi di Tshikesendi, specie durante la presidenza negli USA di Obama e del primo Trump, la Repubblica Democratica del Congo ha stretto intensi rapporti economici con la Cina, che ha fatto forti investimenti soprattutto nel settore minerario. Questo provoca la reazione soprattutto degli USA e, in parte, anche di alcuni altri paesi occidentali, che spalleggiano di fatto il Rwanda e i gruppi di ribelli (come quelli che assassinarono anche l’ambasciatore italiano Attanasio). I Congolesi ne sono ben consci, e dopo l’inizio del nuovo attacco ruandese hanno assaltato nella capitale Kinshasa le ambasciate del Rwanda, degli USA, del Belgio e della Francia (anche se l’influenza di quest’ultima appare molto diminuita per la prevalente pressione statunitense). Da parte sua il governo del Congo ha fatto causa alla Apple accusandola di utilizzare il Coltan rubato dai gruppi ribelli.
 
Il segnale per questo inasprirsi della situazione sembra legato anche all’elezione di Trump. Infatti Kagame può aver ritenuto di poter godere del completo “via libera” di Trump, viste le sue roboanti dichiarazioni imperiali che riguardano anche l’Africa.
 
Vincenzo Brandi



 

venerdì 31 gennaio 2025

"La Russia sta combattendo per la propria sicurezza, la propria sovranità e il proprio futuro"...



"La Russia sta combattendo per la propria sicurezza, la propria sovranità e il proprio futuro".  Lo ha dichiarato Serghey Lavrov.

Allo stesso tempo, la pressione dell’“Occidente collettivo” sulla Russia sotto la nuova amministrazione statunitense potrebbe diventare “ancora più ostile”.

"Sperimentiamo aggressioni a tutti i livelli: militare, politico, finanziario ed economico, informativo e psicologico.
L'equilibrio di potere sulla scena internazionale sta cambiando radicalmente. In generale la situazione è già cambiata. Le aspirazioni egemoniche dell’“Occidente collettivo”, “costruito” (per dirla in parole povere) da Washington sotto la precedente amministrazione, sono evidenti a tutti. 
Con questa amministrazione USA , penso che la “formazione” sarà ancora più unita. È rivolta non solo controla Russia ma anche contro la Cina, l'Iran, la RPDC e praticamente qualsiasi altro Paese che desideri e persegua una politica indipendente e sovrana basata sulla comprensione dei suoi legittimi interessi fondamentali", ha affermato il ministro, parlando  Consiglio per gli Affari Internazionali della Russia.

 


giovedì 30 gennaio 2025

Quanta energia e minerali ci vogliono per un'auto elettrica?

 


Le batterie non creano elettricità, ma immagazzinano elettricità prodotta altrove, specialmente attraverso carbone, uranio, centrali elettriche naturali o generatori a diesel. Quindi l'affermazione che un'auto elettrica è un veicolo a zero emissioni non è affatto vera, perché l'elettricità prodotta proviene da centrali elettriche e molte di esse bruciano carbone o gas. Quindi oggi il 40%? delle auto elettriche sulla strada sono basate sul carbonio. Ma non è tutto. 

Chi è entusiasta delle auto elettriche e di una rivoluzione verde dovrebbe dare un'occhiata più da vicino alle batterie, ma anche alle turbine eoliche e ai pannelli solari.

Una tipica batteria di auto elettrica pesa 450 kg, grande circa quanto una valigia. Contiene 11 kg di litio, 27 kg di nichel, 20 kg di manganese, 14 kg di cobalto, 90 kg di rame e 180 kg di alluminio, acciaio e plastica. Ci sono più di 6.000 cellule individuali agli ioni di litio all'interno.

Per fare ogni batteria BEV, dovrai trattare 11.000 kg di sale per litio, 15.000 kg di minerale per cobalto, 2.270 kg di resina per nichel e 11.000 kg di minerale di rame. In totale, devi estrarre 225.000 kg di terra per una batteria. Il problema più grande con i sistemi solari sono i prodotti chimici usati per convertire il silicato nella ghiaia usata per i pannelli.

Per produrre abbastanza silicio pulito, deve essere trattato con acido cloridrico, acido solforico, fluoruro, tricloroetano e acetone. Inoltre, sono necessari gallio, arseniuro, diselenuro di rame-indiano-galio e tellururo di cadmio, che sono anch'essi altamente tossici. La polvere di silicone rappresenta un pericolo per i lavoratori e le piastrelle non possono essere riciclate.

Le turbine eoliche non sono plus-ultra in termini di costi e distruzione ambientale. Ogni mulino a vento pesa 1.688 tonnellate (equivalente al peso di 23 case) e contiene 1300 tonnellate di cemento, 295 tonnellate di acciaio, 48 tonnellate di ferro, 24 tonnellate di fibra di vetro e terre rare difficili da ottenere Neodimio, Praseodimio e Disprosio.

Ognuna delle tre pale pesa 40.000 kg e ha una vita di vita compresa tra 15 e 20 anni, dopo i quali devono essere sostituite. Non possiamo riciclare pale rotori usate.

Certamente queste tecnologie possono avere il loro posto, ma bisogna guardare oltre il mito della libertà di emissione. Going Green può sembrare un ideale utopistico, ma se guardi i costi nascosti e incorporati in modo realistico e imparziale, scoprirai che "Going Green" oggi fa più danni all'ambiente terrestre di quanto sembri.
La realtà non è così idilliaca.

Le batterie non creano elettricità, ma immagazzinano elettricità prodotta altrove, specialmente attraverso carbone, uranio, centrali elettriche naturali o generatori a diesel. Quindi l'affermazione che un'auto elettrica è un veicolo a zero emissioni non è affatto vera, perché l'elettricità prodotta proviene da centrali elettriche e molte di esse bruciano carbone o gas. Quindi oggi il 40%? delle auto elettriche sulla strada sono basate sul carbonio.

Ma non è tutto.

Chi è entusiasta delle auto elettriche e di una rivoluzione verde dovrebbe dare un'occhiata più da vicino alle batterie, ma anche alle turbine eoliche e ai pannelli solari.

Una tipica batteria di auto elettrica pesa 450 kg, grande circa quanto una valigia. Contiene 11 kg di litio, 27 kg di nichel, 20 kg di manganese, 14 kg di cobalto, 90 kg di rame e 180 kg di alluminio, acciaio e plastica. Ci sono più di 6.000 cellule individuali agli ioni di litio all'interno. Per fare ogni batteria BEV, dovrai trattare 11.000 kg di sale per litio, 15.000 kg di minerale per cobalto, 2.270 kg di resina per nichel e 11.000 kg di minerale di rame. In totale, devi estrarre 225.000 kg di terra per una batteria.

Il problema più grande con i sistemi solari sono i prodotti chimici usati per convertire il silicato nella ghiaia usata per i pannelli.

Per produrre abbastanza silicio pulito, deve essere trattato con acido cloridrico, acido solforico, fluoruro, tricloroetano e acetone. Inoltre, sono necessari gallio, arseniuro, diselenuro di rame-indiano-galio e tellururo di cadmio, che sono anch'essi altamente tossici.

La polvere di silicone rappresenta un pericolo per i lavoratori e le piastrelle non possono essere riciclate.
Le turbine eoliche non sono plus-ultra in termini di costi e distruzione ambientale.

Ogni mulino a vento pesa 1.688 tonnellate (equivalente al peso di 23 case) e contiene 1300 tonnellate di cemento, 295 tonnellate di acciaio, 48 tonnellate di ferro, 24 tonnellate di fibra di vetro e terre rare difficili da ottenere Neodimio, Praseodimio e Disprosio.

Ognuna delle tre pale pesa 40.000 kg e ha una vita di vita compresa tra 15 e 20 anni, dopo i quali devono essere sostituite. Non possiamo riciclare pale rotori usate.
Certamente queste tecnologie possono avere il loro posto, ma bisogna guardare oltre il mito della libertà di emissione. Going Green può sembrare un ideale utopistico, ma se guardi i costi nascosti e incorporati in modo realistico e imparziale, scoprirai che "Going Green" oggi fa più danni all'ambiente terrestre di quanto sembri.

 La realtà non è così idilliaca.



(Notizie riprese in Rete)

mercoledì 29 gennaio 2025

Al via le votazioni per il Premio Attila 2024...

 


Nel 2005 “La Rete ambientalista, il coordinamento provinciale dei comitati e delle associazioni alessandrine”, istituì il “Premio Attila Alessandria 2004” da attribuirsi “alla personalità che a livello locale si è particolarmente distinta a danno dell’ambiente e della salute”. Le votazioni si celebrarono durante le ricorrenti assemblee popolari e tramite “gli oltre 500 indirizzi e-mail che compongono la nostra rete telematica” (scrivemmo orgogliosamente).
Oggi, a venti anni di distanza, ci rivolgiamo in Rete a oltre 42milapersone. Nel frattempo, il Premio ha assunto una dimensione nazionale, con (inopportuna) tendenza a passare i confini. Insomma, il Premio Attila è, nel suo genere, la più alta onorificenza italiana… dopo il Festival di Sanremo. Vincitori i nostri figli peggiori: industriali, politici, amministratori che nel corso dell’anno si sono particolarmente distinti a danno dell’ambiente, della salute e della pace (“pacce” come la pronuncia papa Francesco: l’unico che ha piena dignità sul tema). L’intera Rassegna dei Premi Attila (pagine 125) è disponibile a chi ne fa richiesta:
Avviamo dunque le votazioni per il PREMIO ATTILA 2024: che si concluderanno tradizionalmente il 28 febbraio 2025. Cominciate dunque a inviarci le candidature, possibilmente corredate dalla motivazioni (argute, probabilmente).

RETE Ambientalista - movimentodilottaperlasalute@reteambientalista.it

Movimenti di Lotta per la Salute, l"Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

martedì 28 gennaio 2025

Quel ponte che pende...

 


"A parlare del ponte sullo Stretto argomenti se ne trovano, da una parte, dall’altra. Quanto legittimi gli uni, tanto gli altri, con taluni che paiono di buon senso ed altri che invece s’inabissano con la ragione nelle profondità del mare di Scilla e Cariddi. Ma a parlare degli uni per stoltezza manifesta, o degli altri come cosa di buon senso, senza dire quali siano e per quali propendo, francamente mi venne a noia. Che a me preme assai, invece, puntare indice d’attenzione su altro aspetto assai meno frequentato e che riguarda un dato preciso: se l’isola è attaccata con tale legaccio cementante al continente, essa non è più tale, al massimo si fece isola al guinzaglio, meglio, escrescenza ectoplasmica di continente, derubricata a promontorio, non ci si riconosce più in quella come fu da che l’uomo vi abitò. Certo, “là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza. Un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio”. (Manlio Sgalambro) 

E se questo è vero, quell’incombenza immanente del naufragio appartiene all’isola, pure a chi vi nacque. Ne rappresenta sempre l’archetipo illustrativo, incontrovertibile, esattamente come dato anagrafico con tanto di firma del sindaco. Negarsi detto dato, ancorché a tratti ed a taluno poco avvezzo ad i-solitudini possa apparire luttuoso, è come piombarsi in dimensione da smemorato, privarsi d’un io irripetibile, divenire altra cosa che pare piuttosto io indistinto. Questo mi dice l’argomentazione sghemba e desueta sul legaccio continentale. Me lo dice pure che quando vado via io stesso dall’isola, a valigie non ancora pronte, già mi struggo, prima ancora, anzi, a pensiero solo di farle.

      

Aveva voglia Nisticò di classificare i siciliani in siciliani di scoglio e di mare, gli uni abbarbicati al substrato come cozza, dattero, riccio spinoso, incuranti della natura claustrofobica dell’appartenenza. Gli altri, con la valigia in mano, fermi non ci stanno, e appena la prima brezza lo consente, prendono il largo a vele gonfie. Ma tutti si portano dentro la stessa insularità, che è condanna di viaggio e nostalgia struggente per il porto di partenza. Solo che ai primi arriva subito, ci soffrono di più, basta che si mettano poco fuori l’uscio di casa, si vadano a sbrigare un documento nel capoluogo. I secondi, al più, con la lacerazione del distacco si sono abituati a convivere. Ma tanto tornano, prima o poi vedi se tornano e non passa minuto che con la testa non si organizzano per farlo. Mi pare che questo desiderio di ritorno sia proprio il risultato della paura atavica che l’isola non la ritrovi più, che qualcuno, mentre ti allontani giusto un attimo, se la possa portare via. Forse lo tsunami o li turchi, anche se – ed è evento inconfutabile -, qualunque cosa arriva, dopo un primo attimo di sgomento, gli si apre la porta di casa e, passati al più cinque minuti, ti scordi che è arrivata allora allora, ti pare che sia lì da sempre, ci fai l’abitudine, la lasci accanto a te. 

Tuttavia, per consapevolezza di tale innata abiezione d’accoglienza, poiché non si sa mai ed a scanso di equivoci, metti in giro strane voci, che lì ci sono i Lestrigoni, i Lotofagi, forse Circe, che giù per lì Scilla e Cariddi hanno un brutto carattere, quei sassi, isole essi stessi, li lanciano Ciclopi a basso tasso di socievolezza, le figlie di Kokalos avvelenano gli ospiti. È come mentire a se stessi, innanzitutto, che si finisce per crederci più noi che gli altri. Gli altri se ne accorgono della natura mendace della difesa e, consapevoli e avversi alle i-solitudini con quel vezzo di farsi porto sicuro, ibride per oscure provenienze, preferiscono tendere guinzagli, meglio se a robusta campata. L’isolano, invece, se per ragioni di modernità se ne deve andare solo per qualche giorno, che ne so, a Poggibonsi, San Giovanni in Persiceto o a Cormano, saluta parenti e amici, fazzoletto in mano, si sente mancare il terreno sotto i piedi, s’avvede d’allontanamento da porto sicuro come stesse andando a sfidare cannibali nel Borneo. Posto che nel Borneo di cannibali ce ne siano, che quella pure è isola con tanto di isolani che potrebbero averlo fatto credere, sempre a scanso d’equivoco, per timore di visita di continentale.

Ad ogni buon conto, uno che nasce su un’isola sta già viaggiando. Perché il mare, tutto intorno, fermo non ci sta, e si muove di correnti e flutti, in definitiva viaggia conto terzi. Non merita citare chissà chi per comprendere che il viaggio è una precisa connotazione antropologica, e pure se ha talune accezioni di ingegneria nautica, non è solo uno spostamento da e per. Alla fine “basta aprire la finestra e si ha tutto il mare per sé. Gratis. Quando non si ha niente, avere il mare – il mediterraneo – è molto. Come un tozzo di pane per chi ha fame”. (Jean Claude Izzo)

Pure per questo nell’insularità è connaturata la pigrizia più atavica, quella persino trascendente che si fa connotazione definitiva ed archetipo illustrativo di genti. E del resto che ti agiti a fare se sei proprio dentro il gorgo più gorgo, il tutto che si muove permanentemente? Fatica sprecata. Per altri quella è ignavia, pigrizia, in realtà è saggia contemplazione del mondo che non sta fermo, dunque perché inseguirlo nell’apoteosi dell’operatività? Il mare vortica così tanto che ti fa dono ora del primato di paradiso terrestre, ora d’inferno in terra, né fu creato per compiacere chi vi si trova in mezzo, circondato senza scampo; inutile cercare di opporvisi. Se serve qualcosa, servissero tre secoli e più, prima o poi un’onda bislacca te la schiaffa davanti, spiaggiata a pancia rivolta al sole. Né si tratta d’un fiume che scorre in quell’unico verso, cosicché sai già cosa t’arriva a valle se conosci il monte. Il turbinio è pluridirezionale, dipende dalle stagioni, talora dall’umore nero della burrasca e talaltra dall’accondiscendenza d’un venticello virato a bonaccia. Sfidare quel tutto che si muove per provare a spostarsi in altra direzione è atto temerario. In tutto quel bailamme agitato meglio star fermi giacché, prima o poi, da qualche parte arrivi, e se non arrivi – quella data parte, intendo – presto o tardi, t’arriva lei. Ma l’isola, quella, da dentro non te la togli nemmeno se ti metti a pizzo di montagna. Non c’è niente da fare, t’entra in valigia, col sale e tutto il resto. Salvo che qualcuno, da qualche altra parte, non voglia mettergli il guinzaglio, per guidarla come gli pare, a dispetto del mare. Se non bastasse c’è all’orizzonte progetto di museruola.

Giovanni Carbone



Fonte: https://www.labottegadelbarbieri.org/sul-ponte-si-e-detto-ma-qualcosa-no/