La Libia, fino all’aggressione USA-NATO, tramite mercenariato islamista e bombardamenti atlantici, della primavera 2011, è stata nostro vicino e partner privilegiato, essenzialmente nel nostro interesse grazie all’approvvigionamento di idrocarburi e ai reciproci investimenti. In compenso, da classici badogliani, con il regime Berlusconi abbiamo poi partecipato all’aggressione, iniziata dalla Francia e poi risolta in totale distruzione da USA e NATO, dandoci la classica martellata sui santissimi, proprio come nostra abitudine nell’ambito dell’euro-atlantismo, ribadita in occasione dell’Ucraina e delle sanzioni alla Russia.
Con il regimetto installato, nelle sue varie formulazioni, dall’Occidente militarizzato a Tripoli, si è fatto in modo che, non potendo essere garantito, grazie alla renitenza sociale del popolo libico, il controllo totale del paese, la Libia finisse nel classico caos endemico, soluzione B dell’imperialismo.
Il regime fantoccio di Tripoli, che controlla appena la parte nord, mediterranea, della Tripolitania è, sì, riconosciuto dall’ONU, ormai dependance dell’Impero, e, di conseguenza dalla “comunità internazionale” (leggi NATO), ma è illegittimo. L’ultimo parlamento eletto, che ha espresso il proprio governo, è stato cacciato da Tripoli dalle milizie islamiste di matrice Fratelli Musulmani, e si è dovuto insediare a Tobruk, in Cirenaica. Da lì controlla i tre quarti del paese: Cirenaica, Fezzan al Sud e il centro della Tripolitania.
Elezioni, previste per Natale sono saltate, grazie alle turbolenze scatenate dalle milizie islamiste e sollecitate dalla prospettiva certa che la vittoria sarebbe arrisa ai cirenaici, tanto più che tra i loro candidati figurava anche il popolarissimo figlio di Gheddafi Saif. Anche le successive esplorazioni diplomatiche si sono infrante contro il blocco turco-islamista (sostenuto dai Fratelli Musulmani del Qatar). Poco tempo dopo la caduta di Gheddafi e della fine dell’unità e libertà di questo popolo, già prospero e autodeterminato, il presidente turco Erdogan ha esteso il suo controllo geopolitico e militare su Tripoli, vi ha installato sue forze ufficiali e parte delle milizie ISIS coltivate in Siria e, da allora, sabota ogni tentativo di normalizzazione e riunificazione.
Da qui la scelta di Tobruk-Bengasi, il cui esercito è comandato da Haftar e che gode del sostegno dell’Egitto e di buoni rapporti con la Russia, di ricorrere all’ultima misura a disposizione. La liberazione delle parti della Tripolitania soggette al regime neocoloniale del “premier” fantoccio Dbeida. Vantando questo, con la Turchia, il pieno appoggio di un potente membro della NATO, una soluzione positiva non pare in vista.
Fulvio Grimaldi - https://fulviogrimaldi.blogspot.com/
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