Le elezioni del 9 aprile 2019 in Israele,
per Benjamin Netanyahu, non sono certo prive di rischi. Sul consenso
al suo governo pesano cause per frode e corruzione e gli avversari
del premier alzano i toni sulle ossessioni di sempre: le presunte
trame contro la sicurezza dello Stato ebraico.
È dunque il tempo di
farla finita con le minacce terroristiche che covano nel rancore di
Gaza e di riprendere (come se non si uccidesse ogni giorno) alla
scala opportuna le punizioni esemplari nei confronti di chi resiste
attentando, con la sua sola esistenza, alla tranquillità del solo
Stato “democratico” del Medioriente. I due razzi lanciati (senza
conseguenze) giovedì scorso su Tel Aviv sono a dir poco
provvidenziali, tanto puntuali quanto stranamente non rivendicati.
Impossibile non nutrire seri dubbi su chi abbia deciso di lanciarli
proprio ora, ma il premier del Likud non ha dubbi: i responsabili
sono i nemici di sempre, l’Iran e l’islam. Un’intera notte (per
ora) di bombardamenti sulla Striscia s’imponeva, le postazioni
nemiche (cioè tutto il territorio) vanno debellate. Un bombardamento
molto “elettorale” che difficilmente si
fermerà...
Patrizia Cecconi
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