Senza
pretese di esaustività, ecco situazioni e persone incrociate per
strada, in metrò, sui bus, casualmente, senza filtri né
accompagnatori.
Scacco
matto sotto il cavalcavia
Ruggisce
il traffico sul tratto del cavalcavia prossimo alla fermata Socorro
del Bus Caracas: solo la mancanza di pezzi di ricambio può fermare le
auto, non certo il costo della benzina visto che, anche al tempo
dell’iperinflazione, 30 litri costano 2 bolivares (un euro è 3.700
bolivares). Se insegna un po’ di parsimonia il razionamento
dell’acqua, certo questo incentivo al consumo dell’oro nero,
benché redistribuito gratuitamente (solo a vantaggio di chi ha
l’auto, però), è qualcosa di fossile. Ma chi siamo noi
consumatori occidentali per eccepire?
Sotto
il cavalcavia è tutt’altra vita. Lungo i due cammini pedonali in
basso, oltre ai chioschi di libri usati («I
prezzi variano da 200 a 1.000»
risponde gentilmente il venditore, dolce volto scuro tipicamente
caraibico),
si apre una piazzetta dove la mattina vengono distribuite scope e
sacchi agli spazzini, ma il pomeriggio, su tavoli spartani, coppie di
assorti giocatori di scacchi si sfidano. Sullo sfondo di un murale
con la frase di Simón
Bolívar: «Gli
scacchi, un gioco utile, onesto e indispensabile nell’educazione
della gioventù».
Ma naturalmente gli scacchisti sono tutti piuttosto in là con gli
anni, tranne uno. Fra gli spettatori, il signor Angel Morillo.
Angel
spiega la Misión Negra Hipólita
Accanto
al murale scacchistico-educativo, la scritta Mercal. Spiega Angel:
«E’
uno dei sistemi di vendita di alimenti a prezzo basso. Due litri di
olio, farina di mais, lenticchie per 200 bolivares, quando un solo
litro di olio di soia sul mercato costa 2.000».
Guardando i giocatori, dice: «Questo
è anche uno spazio per passare il tempo insieme, mi sembra di aver
visto tempo fa in un film con Stallone che anche in Italia giocano a
scacchi in piazza».
Veramente là sotto i cavalcavia dimorano senzatetto… «Sì,
ma qui il presidente Hugo Chávez lanciò nel 2006 la Misión Negra
Hipólita per la riabilitazione delle persone della strada,
soprattutto tossicodipendenti, malati psichici, disabili.»
Appartiene
di certo alla categoria degli svantaggiati totali l’uomo male in
arnese e scuro per il sole e la mancanza di sapone che però è ben
accolto al banchetto dove per 100
bolivares una coppia vende ogni giorno il caffè, sempre a ridosso
del cavalcavia, fra le bancarelle di ortofruta - le banane oggi sono
a 1.000 bolivares al chilo. L’uomo si siede sulla panchetta, tira
fuori il pane da un sacchetto e lo inzuppa nel caffè, più buono di
quello degli hotel, chissà perché.
Il
pensatore antimperialista che vende caffè su un tavolino per strada
Il
venditore di caffè e piccoli panini dolci vive nel sobborgo Pastora:
«là
sono rimaste le case antiche, non hanno costruito grattacieli».
E’ contento di chi si porta da casa la
tazzina durevole e parla volentieri commentando il giornale che ha in
mano:
«L’azienda
petrolifera del Venezuela trasferisce la sede europea dal Portogallo
a Mosca: fanno bene. E hanno concluso un altro contratto per la
fornitura dei farmaci. Qui poi leggo che l’Unione europea potrà
consegnare materiali al Venezuela attraverso la Croce rossa
internazionale ma in condizioni di neutralità. E qui, ecco, il
sindaco di Cucuta in Colombia che chiede aiuto umanitario...»
«Stanno
molto peggio di qua”»,
esclama la moglie.
Poi
il marito si lancia in alcune osservazioni su quel che ci sarebbe da
imparare perfino dall’Italia: «Il
nostro presidente sta cercando di introdurre i distretti industriali,
anche agroalimentari, ma i popoli caraibici sono un po’ pigri…
voi avete avuto due guerre mondiali con una distruzione totale; darvi
da fare è stato obbligatorio. In compenso, certo, noi siamo stati
colonizzati, con la distruzione dei popoli originari. E ci provano
ancora. Un paese come il nostro che da un lato è ricchissimo di
risorse, non solo petrolio, ma oro, coltan, acqua, e dall’altro le
vuole gestire per conto proprio nel cambiamento politico è nel
mirino, minacce di invasione e guerra economica, sanzioni e tutto».
Ma
è ottimista anche perché «il
presidente Chávez
ha aiutato tanti paesi, tanti popoli, tanti qui trovavano anche da
ridire, ma adesso la gratitudine si vede».
Legge molti libri (usati), non ha accesso a Internet né il
cellulare. Ricorda che ricorre il ventesimo anniversario della guerra
del Kosovo «sempre
per aiutare i popoli»
ed è molto interessato a conoscere dettagli dell’operazione Nato
in Libia nel 2011.
Non
c’è crisi, ragazza?
«Cafè,
cafè»
è l’universale cantilena di un ennesimo ambulante che fa avanti e
indietro con due grandi thermos. Molto spiccia una ragazza che nei
paraggi vende sigarette singole. Quanto
costa una sigaretta?
«500».
Cinque volte un caffè. Allora non fuma più nessuno? «Poco,
ma fumano».
E come fanno con la crisi? «Quale
crisi? Non c’è crisi».
Ironica o che?
In
Venezuela una grande fetta del lavoro è informale. Il guadagno è
sempre superiore al salario minimo di 18.000 bolivares al mese. Molti
riescono anche a comprare prodotti a prezzi regolati che poi
rivendono a prezzi maggiorati. Intervengono inoltre il sussidio detto
carnet della patria che arriva tutti i mesi alle famiglie, le
distribuzioni di cibo a prezzi sovvenzionati, e i servizi sociali
gratuiti.
Orrendi
costosi biscotti privati, ma un farmaco che non si trova
Finché
non ci si ammala di qualche malattia per la quale i farmaci non
arrivano o comunque non sono disponibili: all’angolo, sempre il
cavalcavia come riferimento, un venditore portoghese di cosucce
inutili, dalle caramelle ai biscotti: i più economici, una porzione
di quattro – quattro - biscotti incellofanati della multinazionale
Puig, costano 650 bolivares (il doppio di una cassa di prodotti
sovvenzionati) e sono disgustosi (c’è gente che se li fa in casa
ormai). Lui ha il Parkinson e da molti mesi non trova il farmaco che
prendeva per contenerlo. La sua scorta si sta esaurendo, mostra le
scatole vuote di Sinemet. Sarà fra quei farmaci che dovevano essere
trasportati da Iberia ma, già pagati, sono stati bloccati in Spagna?
E il Venezuela non li produce? «Prima
c’era un laboratorio farmaceutico, mi sembra, ma era di proprietà
straniera, ha chiuso da tre anni, sono andati via».
Nuovi
fornitori con nuove alleanze internazionali
La
scarsità di medicine (quelle che non arrivano da paesi che non
partecipano alle sanzioni) è un capitolo tutto da comprendere. A Las
Acacias, in uno dei Centri diagnostici integrali (Cdi) gestiti dai
cubani in virtù dello scambio petrolio contro servizi medici, una
paramedica conferma: «No,
certi tipi di medicine non arrivano proprio».
Non sa dire perché e siccome è sera inoltrata, non ci sono medici
ai quali chiedere.
Comunque
il governo venezuelano ha spiegato che vari paesi attraverso l’Onu
forniranno farmaci, principi attivi e materie prime. Curiosamente lo
chiamano «aiuto
umanitario»,
benché Caracas paghi tutto. «Non
chiediamo regali a nessuno»,
ha ripetuto il presidente anche durante la marcia del 23 febbraio.
I
ragazzi nel metrò e l’educazione alla parsimonia
Nella
metropolitana, affollata o meno, nessuno usa il cellulare (paura di
furti? indisponibilità di smart-phone? voglia di socialità? Un po’
di tutto questo), così basta una parola per suscitare un colloquio.
Tre ragazzi vicino alla porta, il pretesto è chiedere il senso di
un’espressione locale. «Ne
abbiamo molte, ad esempio mono
è sia un primate che un debito!»
Da lì a parlare dei prezzi dei prodotti il passo è breve. Una
sigaretta costa tantissimo, in proporzione al potere d’acquisto,
non pensate che sia meglio? Così non si fuma!
«Ah
se è per quello anche le bibite gassate e zuccherate e varie altre
cose...Però può sorgere, anziché l’educazione a farne a meno,
un’ansia di consumo...la voglia che ti consuma».
Quindi pensate che non appena l’iperinflazione che frena gli
acquisti si calmerà, non si saranno acquisite le sane abitudini?
«Succede
già così, non appena una merce si trova si precipitano».
Ahi.
Gli
abitanti di un palazzo di classe media: Clap sì, partecipazione no
Racconta
un amico: «Noi
che viviamo negli edifici residenziali, anche se adesso il potere
d’acquisto in euro è bassissimo, siamo dei privilegiati. E quindi
quando al consejo
comunal, l’istanza
partecipativa, proposero di fare agricoltura urbana in grandi vasi e
li fornirono pure, tutti si sono rifiutati di piantare. E all’inizio
nessuno si iscrisse nel consejo comunal, adesso sono 35-40 che si
sono iscritti per ricevere il pacco di alimentari a prezzo
sovvenzionato, il cosiddetto Clap. Prima parlavano male del governo,
poi hanno fatto perfino imbrogli per averlo. Squallidi! Pensa che il
camion con i pacchi arriva all’edificio a lato. Poi dei volontari
portano i 40 pacchi all’edificio con carriole. Ogni volta era
difficile trovare volontari per questa minima cosa, tutti avevano
sempre da fare...»
Mani
artigiane e un passato da dimenticare
Non
lontano da un hotel dove è presumibile soggiornino persone con
denaro a disposizione, bancarelle di artigiani che fanno bijoux con
materiali poveri, poverissimi. Fil di ferro, perline finte,
rivestimenti di fili della luce, conchigliette. Non cercano di
richiamare i passanti. Aspettano. L’acquisto di un paio di
orecchini da un artigiano dalle mani sporche per aiutare la
sopravvivenza è un obbligo. Ma
riesce a vendere di questi tempi? «Faccio anche queste cose più
luccicanti per matrimoni e simili...Italia? Ho lavorato con italiani
in Colombia...» Droga? «Mmm...no… ma era un periodo nel quale mi
ero perso». L’importante è ritrovarsi. Lancia un sorriso male in
arnese. Vive nel barrio Catia,
«venga a visitarlo».
Marinella Correggia
Post Scriptum: "Ecco qua, cose minime, un piccolissimo spaccato della realtà locale. E alcune foto, ma non oso fotografare i protagonisti di queste piccole storie, cambierebbe tutto a fotografarli mentre parlavamo cortesemente fra estranei Capisco che possano parere insulse. Ne manderò altre, spero da quartieri più significativi e ho varie interviste da sbobinare..."
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