In questi tempi in cui si susseguono situazioni di emergenza (calamità naturali, aumento delle povertà, problematiche legate all'immigrazione) diviene centrale la questione della solidarietà e del modo in cui ci si pone nel prestare aiuto agli altri. L'atto di assistere o offrire aiuto mette in campo dinamiche che vanno a mutare i rapporti interpersonali e tende a incapsulare le persone in ruoli ben definiti che creano una separazione netta tra chi assiste e chi viene assistito. La cultura di stampo cattolico, in cui siamo profondamente inseriti, ci presenta l'atto di aiuto come un gesto naturale che agisce sospinto da un impulso di amore proveniente dal cuore.
Vale a dire che chi ama il prossimo è spontaneamente ben disposto verso gli altri e si adopererà in ogni modo per andare incontro a ciò di cui ha bisogno. Ma l'approccio amorevole che sottende queste azioni (ormai sviluppate al punto di divenire potenti istituzioni, basti pensare a tutto il settore della cura, dell'assistenza ai bisognosi, gestiti con denari pubblici dalla Chiesa), è solo apparente. In realtà chi aiuta si pone a un livello tutt'altro che paritario con chi viene assistito.
Viene invece a trovarsi in una posizione di superiorità e di possibili manipolazioni. E chi si trova, suo malgrado, nella posizione di “ ricevente” vive una situazione di disagio.
Citando Nietzsche “Non sappia la mano destra quello che fa la sinistra”, l'atto dell'aiutare dovrebbe essere tenuto nascosto, in quanto pone il ricevente in una situazione di umiliante inferiorità. Egli vorrebbe al più presto contraccambiare ma è costretto al mero ringraziamento. Invece, all'opposto, colui che dona, il benefattore, può lucidare il proprio ego e farsi pubblicamente vanto della propria generosità (quante sono le aziende che devolvono una minima parte delle loro entrate a scopo pubblicitario e di immagine ... ?).
Tutto considerato, il rapporto donatore/ricevente porta in sé una forma perversa e andrebbe immediatamente trasformato o comunque compensato.
Poveri, handicappati, immigrati vengono oggi giocoforza costretti nel ruolo di emarginati e assistiti, quasi fossero una classe sociale inferiore.
Per fare un esempio quotidiano ma significativo, basta osservare come è avvenuta la progettazione e la costruzione dei bagni pubblici. Questi non sono stati ideati con alla base l'idea di un formato unico accessibile a tutti e dotato di ausili tecnici per essere fruibile anche da chi ha limitazioni fisiche.
No, ai diversi viene assegnati un proprio bagno, inaccessibile ai “normali”, con tanto di etichettatura sulla porta che certifica la loro diversità (o meglio dire inferiorità...). A vederla bene si tratta in realtà di una soluzione razzista e punitiva verso i diversi che tra l'altro conferisce agli ideatori un'aura di progressisti e benefattori. Questo è solo un esempio, ma forse occorrerebbe ripensare in generale tutte le forme che prendono l'aiuto, l'assistenza, la solidarietà e coniugarli in modi e azioni di “reale” amore e di rispetto per la dignità delle persone.
Jalsha Claudio
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