Da molti anni la borghesia dominante cerca di spacciare l'immagine di un "pensiero unico", veicolato dal mito della globalizzazione "neoliberista" proiettato nel progetto del "grande secolo americano" (che si è avviato al declino prima ancora di iniziare). Il "mercato" è l'idolo metafisico di questa sorta di religione totalitaria.
In realtà, si tratta solo di mediocre propaganda, visibilmente irrealistica.
Al di là dell'idolatria comune per il profitto non vi è alcuna unicità di pensiero nell'economia borghese, attraversata da infinite contraddizioni interne spesso inconciliabili, come nell'ovvio esempio del venditore ed acquirente della medesima merce, i quali hanno interessi diametralmente opposti riguardo il suo prezzo. Nell'ultimo anno molte contraddizioni sono emerse allo scoperto, producendo l'ondata montante degli euroscettici, delle aspirazioni alle autonomie e indipendenze locali rispetto ai poteri centrali, nonché lo scontro isterico ma disperato della politica euroamericana contro la Russia e i Brics, potenze ascendenti ormai non più frenabili nella contesa mondiale per le risorse e i mercati.
Tuttavia, l'intera società nel suo complesso è attraversata da una contraddizione fondamentale ben più radicale: quella tra capitale e lavoro.
E questa, che è la vera contraddizione in cui i lavoratori debbono prendere posizione, non si dipana certo nei macabri teatrini parlamentari nazionali e sovranazionali, bensì nel paese reale, nei suoi luoghi di produzione: è quello il luogo in cui si deve gestire il vero scontro, con coscienza e determinazione.
Finora la scarsa adesione agli scioperi ed alle lotte di classe non ha ancora mostrato una classe lavoratrice organizzata e compatta.
Ma non c'è altra via di liberazione.
Noi non siamo vivi perché esiste il capitale, bensì perché esiste il lavoro, che produce e rende disponibili le merci di cui abbiamo bisogno. Il capitale senza il lavoro è sterile, il lavoro è tutto, anche senza il capitale. Lo scontro nella lotta contro lo sfruttamento, contro la rapina di plusvalore, deve diventare continuo, quotidiano: la rivoluzione o è permanente o non è.
La crisi la finzione teatrale con cui i governi rapinano i poveri e si fanno pagare dai ricchi per averlo fatto: contro questa truffa fraudolenta, non un passo indietro !
Vincenzo Zamboni
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