sabato 18 maggio 2019

Siri ed il test elettorale del governo boccheggiante... secondo Michele Rallo



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Caso Siri: ovvero, come perdersi in un bicchiere d’acqua. Non mi riferisco all’indagine in sé, avviata d’ufficio perché terze persone parlavano tra loro di una “dazione” che con ogni probabilità non c’è mai stata. Mi riferisco invece al caso politico che ne è derivato. I fatti sono noti, e non starò qui a riassumerli.
Dirò soltanto che un Di Maio boccheggiante si è aggrappato disperatamente a quella vicenda per tentare di limitare i danni del disastro annunciato per le prossime elezioni europee. Giggino o’ Guaglione aveva già virato in direzione pro-migranti per contendere alle altre sigle della sinistra un pugno di voti buonisti. E, adesso, sul caso Siri si é avventato in nome della lotta ad una del tutto ipotetica corruzione, speranzoso di poter così rinverdire i fasti delle origini “viola” del movimento, quando si raccoglievano vagonate di voti semplicemente invocando l’onestà.
Nel caso in specie, con molta probabilitá, l’onestá non c’entra. C’entra soltanto il fatto che Armando Siri sia “indagato”, non “imputato”. Come tanti altri, cui nessuno si sogna di far fare “un passo indietro”. Come – per esempio – la sindaco grillina di Roma, Virginia Raggi, che di indagini dovrebbe averne collezionate piú d’una. Se ben ricordo: per una consulenza sulla ASL di Civitavecchia, per i canili municipali, per il famoso “caso Marra” e – ultimo in ordine di tempo – per lo stadio della Roma.
Non voglio mettere in dubbio la personale onestá del sindaco di Roma. Molto probabilmente, gran parte di quelle indagini si sono giá concluse con un nulla di fatto. Come, con buona probabilitá, si concluderá l’indagine sul caso Siri. Il punto é un altro: perché per Siri i grillini hanno chiesto le dimissioni e per la Raggi no?
Salvini, che come Ministro dell’Interno certamente conosce la reale portata dell’affare Siri, si é lanciato nella difesa a spada tratta del suo sottosegretario, mentre il Guaglione continuava a chiederne con crescente petulanza le dimissioni. Alla fine, l’indecorosa conclusione: il premier Conte ha avocato a sé la questione, ed ha revocato la nomina di Siri. Fin qui, tutto normale (si fa per dire).
Quella che non é normale, che non é neppure concepibile, é la mancata reazione di Salvini: solo un garbato disappunto, e l’immediata assicurazione che “il governo va avanti”.
Una cosa inaudita, incredibile, inconcepibile. Viene da chiedersi perché mai il Capitano abbia fatto tanto casino per ritirarsi poi in buon ordine, per fare questa figura del piffero, per dare modo di parlare a qualcuno che non avrebbe niente da dire. Un braccio di ferro (quello su Siri come prima quello sul deficit al 2,40%) si fa solo se si é sicuri di avere la forza di reggere all’urto dell’avversario.
Ma l’aspetto piú grave é ancora un altro. É che, avendo avuto offerta su un piatto d’argento la scusa migliore per far saltare il governo, il leader leghista l’abbia lasciata cadere. Anzi, sembra che la sua preoccupazione principale sia stata quella di mantenere in vita questo governo. Cosa assolutamente inspiegabile, se si ha ben presente che il governo “del cambiamento” è destinato comunque a naufragare nell’arco di pochi mesi, a causa della sua strampalata gestione dell’economia nazionale. Salvini aveva l’occasione buona per tirarsene elegantemente fuori, per presentarsi all’opinione pubblica con il suo bilancio – estremamente positivo – in materia di ordine pubblico e lotta all’immigrazione, e lasciando ai soli grillini il peso di una indifendibile politica economica. Non l’ha fatto, commettendo – a mio avviso – il suo primo clamoroso errore.
Nulla di irrimediabile, intendiamoci, nulla che possa scuotere il primo posto della Lega e la frana dei Cinque Stelle alle prossime europee. Ma quanto basta per spostare dalla Lega a Fratelli d’Italia le simpatie di una aliquota – non so quanto robusta – dell’elettorato nazionalista e sovranista.

Michele Rallo - ralmiche@gmail.com

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