lunedì 12 maggio 2014

1923: Kalergi e il piano PAN EUROPA


2014

Molti hanno sognato un’Europa unita, ma ben pochi sono decisi a realizzarla. Quest’idea, sterile se resta unicamente un desiderio, è fruttuosa se diviene un fine fecondato dalla volontà. La sola forza che può fare della Pan-Europa una realtà è la volontà degli Europei; la sola forza in grado di sostenere la Pan-Europa è la volontà degli Europei. Così ogni Europeo ha, nelle sue mani, una parte del destino del mondo. Mentre scrivo, si tiene in Cile la quinta Conferenza panamericana. La Russia, con tutta l’energia di cui è capace, lavora alla propria ricostruzione. L’Impero britannico ha superato la crisi post-bellica. L’Estremo-Oriente è liberato dalla Spada di Damocle del pericolo di una guerra americana. 

Nel frattempo l’Europa passa da una crisi all’altra vacillando, senza guida e senza meta. Forze armate francesi e belghe continuano ad occupare il centro industriale della Germania. Sulla Tracia pesa la minaccia quotidiana di una nuova guerra. Miseria, inquietudine, malcontento, odio e paura regnano dappertutto. Mentre nelle altre parti del mondo si fanno ogni giorno passi avanti, l’Europa affonda nella confusione giorno per giorno. Questa semplice constatazione costituisce di per sé un programma. La causa della decadenza dell’Europa è politica e non biologica. L’Europa non muore di vecchiaia; muore perché i suoi abitanti si trucidano gli uni con gli altri e corrono verso la rovina con l’ausilio di tutte le risorse della tecnica moderna. Eppure l’Europa è ancora il serbatoio umano qualitativamente più ricco del mondo. I dinamici Americani sono degli Europei trapiantati in un altro contesto politico. I popoli dell’Europa non sono affetti da senilità, lo è il loro sistema politico. 

La trasformazione radicale di questo sistema può e deve portare al risanamento totale di questo continente ammalato. Se la guerra mondiale ha modificato la carta d’Europa, non ne ha mutato il sistema politico. Oggi come ieri vi regnano l’anarchia internazionale, l’oppressione dei più deboli da parte dei più forti, la guerra allo stato latente, i compartimenti stagni economici, l’intrigo politico. La politica europea di oggi è molto più simile a quella di ieri che a quella che si avrà domani. L’Europa continua a voltarsi verso il passato invece di volgere lo sguardo all’avvenire. Il mercato librario è sommerso da "memorie" e nelle pubbliche discussioni le considerazioni sull’origine dell’ultima guerra prevalgono su quelle concernenti il modo di evitare la prossima. 

Questo perpetuo guardare al passato è la ragione prima del regresso e delle divisioni dell’Europa. Sta ai giovani Europei cambiare questo stato di fatto. Essi sono chiamati a costruire un’Europa nuova sulle rovine della vecchia Europa, ed a sostituire all’attuale anarchia un’Europa organizzata. Se gli statisti europei rifiutano di riconoscere questo obiettivo e di realizzarlo, verranno messi da parte dei popoli col cui destino stanno giocando. Due sono i problemi particolarmente scottanti che pesano sul nostro continente: la questione sociale e la questione europea: le rivalità fra le classi e le rivalità fra gli Stati.La questione sociale è, a ragione, la prima nelle discussioni pubbliche; essa forma e divide i partiti, e quotidianamente ed in mille maniere diverse attira in tutti i paesi l’attenzione dell’opinione pubblica. 

Per contro, la questione europea - che certo non le è inferiore per importanza - viene semplicemente passata sotto silenzio. Molti non sanno neppure che esiste, la si relega nella sfera della letteratura e dell’utopia e non la si prende sul serio. Eppure, il futuro della nostra cultura e l’avvenire dei nostri figli dipendono da essa. La questione europea si pone in questi termini: "L’Europa, frammentata politicamente ed economicamente divisa, può assicurare la propria pace e la propria indipendenza di fronte alle potenze mondiali extra-europee in pieno sviluppo? Oppure sarà costretta, per salvare la propria esistenza, ad organizzarsi in una federazione di Stati?" Il solo porre la domanda conduce alla risposta. 

Ecco perché la questione non è neppure posta, ma evitata. Nelle discussioni pubbliche si parla spesso - indubbiamente - di questioni europee, ma mai della Questione europea, da cui tutte le altre traggono origine, così come l’insieme delle questioni sociali si riconduce alla Questione sociale generale. Così come oggigiorno ogni Europeo è costretto, in politica interna, a pronunciarsi sulla Questione sociale, in futuro sarà costretto in politica estera a prendere posizione sulla Questione europea. 

Sarà allora suo compito accollarsi la responsabilità dell’unione o della frantumazione dell’Europa, della sua organizzazione o della sua anarchia, della sua rinascita o della sua decadenza. Una sola cosa non deve più accadere, e cioè che una questione vitale per 300 milioni di uomini venga del tutto trascurata dai leaders responsabili. In breve, la Questione Europea dev’essere evocata in tutta la sua ampiezza, davanti all’opinione pubblica del continente, nella stampa e nella letteratura politica, nel corso delle riunioni pubbliche, nei Parlamenti e nei ministeri. Il tempo stringe. Domani sarà forse troppo tardi per risolvere la questione europea: ecco perché è preferibile mettersi subito al lavoro. 

Gli Europei, che hanno perso quasi completamente la fiducia in se stessi, aspettano aiuto dall’esterno: gli uni dalla Russia, gli altri dall’America. Queste due speranze rappresentano un pericolo mortale per l’Europa. Né l’Est né l’Ovest vogliono salvarla: la Russia vuole conquistarla, l’America vuole comprarla. Fra Scilla e Cariddi, ossia fra la dittatura militare russa e la dittatura finanziaria americana, solo uno stretto passaggio conduce ad un avvenire migliore. 

Esso si chiama Pan-Europa, e significa che l’Europa deve aiutare se stessa costituendo, come obiettivo pratico, una unione politico-economica. Si rimprovererà a questa unione d’essere un’utopia. L’obiezione non regge. Nessuna legge naturale s’oppone alla sua realizzazione. Questa proposta corrisponde agli interessi della schiacciante maggioranza degli Europei e non arreca pregiudizio che ad una minoranza sempre più ristretta. Tale minoranza, piccola ma potente, e che oggi regge i destini dell’Europa, vorrà bollare l’ideale Pan-Europeo col marchio dell’utopia. A questa accusa si dovrà ribattere che ogni evento storico è nato come utopia per finire come realtà. 

Nel 1913, le Repubbliche polacca e cecoslovacca erano utopie: nel 1918 sono diventate realtà. Nel 1916, la vittoria del comunismo in Russia era un’utopia, nel 1917 era realtà. Più un politico manca d’immaginazione, più vasto gli appare il campo dell’utopia e limitato quello del possibile. La storia del mondo ha più immaginazione delle marionette che in esso si muovono: essa è fatta da tutta una serie di sorprese e di utopie divenute realtà. Il fatto che un’idea si trasformi in realtà o resti allo stadio d’utopia non dipende di solito che dall’impegno e dal numero di coloro che la sostengono. 

Finché solo qualche migliaio di sostenitori crederà nella Pan-Europa essa sarà un’utopia; quando saranno milioni, allora diventerà un programma politico; quando saranno cento milioni, diverrà realtà. L’avvenire dell’unione dell’Europa dipende pertanto dalla fede e dal dinamismo dei suoi primi mille aderenti, fede e dinamismo che li renda capaci di convincere quei milioni che trasformeranno l’utopia di ieri nella realtà di domani.

Faccio appello ai giovani d’Europa per realizzare quest’opera

Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi

1923

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