sabato 21 marzo 2015

Il miracolo greco - La lacrimazione del Cristo di Asprokambos



La coincidenza non può sfuggire: nel Peloponneso l’icona del Cristo crocifisso, esposta nella chiesa di San Nicola a Aspokambos, ha iniziato misteriosamente a “lacrimare” il 25 gennaio 2015, giorno del trionfo elettorale di Alexis Tsipras. Stando alla testimonianza del metropolita di Corinto Dionysios Mantalos, l’icona, che risale ai primi anni del Novecento, ha cominciato ad essudare proprio quella domenica, emettendo un liquido oleoso, inodore e incolore.


Benché non fosse chiaro da quale punto della sacra immagine fuoriuscisse la sostanza, si è parlato subito di “lacrime” e di “miracolo”. Pareva un episodio passeggero, legato a variazioni del meteo, ma da allora l’icona non ha smesso di piangere. 

La lacrimazione di Aspokambos è stata definita il “miracolo di Tsipras” o “miracolo di Syriza”, ma con ermeneutiche contrastanti: suggello divino sulla vittoria politica o dolore lancinante del Cristo crocifisso per una leadership che potrebbe portare la Grecia sull’orlo del precipizio? Nel frattempo la piccola chiesa del villaggio greco nei pressi di Corinto continua ad attrarre fedeli e curiosi: tutti vogliono vedere Cristo che piange e adorare la sua immagine. Dionysos preferirebbe evitare di dare troppa pubblicità alla vicenda, ma ne ha informato il Sacro Sinodo – massima autorità della Chiesa ortodossa greca – e si è impegnato a invitare degli esperti per svolgere un esame accurato dell’icona. In materia di fede, ha affermato in un’intervista, occorre essere sempre molto cauti.

Altri sono più preoccupati. Le manifestazioni occidentali di statue che versano lacrime d’acqua o di sangue, o di icone orientali che piangono lacrime oleose sprigionando spesso soavi profumi, sono legate a situazioni percepite come drammatiche e si accompagnano ad appelli alla conversione e alla penitenza.

Il messaggio del Cristo lacrimante di Aspokambos, però, non è ancora chiaro. Tecnicamente, è stato osservato, si tratta con ogni probabilità di alterazioni delle vernici presenti sull’immagine sacra. Gli esperti ne sapranno presto dire di più. Nel frattempo, per decifrare il “miracolo di Tsipras”, la Chiesa ortodossa greca avrà altri elementi da valutare. Certo è che, almeno sul piano simbolico, le decisioni iniziali del giovane primo ministro sono state nel segno della discontinuità.

All’indomani della vittoria elettorale, Alexis Tsipras ha infatti rifiutato di diventare capo del governo giurando con il rito religioso davanti all’arcivescovo di Grecia Ieronimos II, interrompendo con ciò una tradizione in vigore dalla nascita dello Stato ellenico nel 1830: niente bacio alla Sacra Bibbia, nessun segno della croce con tre dita, come vuole la tradizione cristiana ortodossa, ma solo un pronunciamento laico davanti al presidente della Repubblica Karolos Papoúlias. Tsipras ha ricondotto questa scelta alla propria storia personale (non è sposato con la sua compagna Peristera, non ha battezzato i suoi due figli), tant’è che ha lasciato i ministri del suo governo liberi di giurare fedeltà alla Chiesa oltre che alla patria.

Su altri fronti sta prevalendo un sostanziale pragmatismo. Gli impegni a rimuovere i privilegi della Chiesa ortodossa, tema che incontra la sensibilità della base di Syriza, sono andati progressivamente sfumando. Qualche malumore era già emerso lo scorso mese di agosto, quando Tsipras si è recato in visita ai monasteri del Monte Athos e ha incontrato abati e teologi. La polemica è però scoppiata il 6 marzo, giorno in cui il governo greco ha annunciato che avrebbe continuato a pagare lo stipendio di diecimila preti ortodossi. Il segretario nazionale per gli affari religiosi Giorgos Kalantzis ha ricondotto la decisione alla crisi economica che ha investito i sacerdoti come gli altri lavoratori ellenici. A più riprese, inoltre, Tsipras ha affermato di tenere nella massima considerazione la collaborazione che le Ong laiche hanno avuto con la Chiesa in questi anni di crisi, con l’apertura di mense per i nuovi poveri e per gli immigrati in ogni angolo del paese. La Chiesa – ha spiegato infine Kalantzis – paga le tasse su tutte le sue entrate a scopo di lucro e sugli immobili non strumentali al culto.

Il pragmatismo che tutti riconoscono a Tsipras è una chiave di lettura essenziale per comprendere la politica ecclesiastica appena avviata dal suo governo. Alexis non intende lasciare il blasone di difensore della Chiesa all’attuale ministro della difesa Panos Kammenos, leader della destra nazionalista e ortodossa dei Greci indipendenti (Anel) alleata di Syriza, che nei suoi discorsi ha anche ricondotto la liaison privilegiata con il governo di Vladimir Putin e il conseguente sostegno alla politica russa in Ucraina al legame sentimentale basato sul buon cristianesimo ortodosso. Al punto da affermare, meno di un anno fa: “Noi appoggiamo pubblicamente il presidente Putin e il governo russo, che hanno protetto i nostri fratelli ortodossi in Crimea”.

D’altra parte nella storia greca l’intreccio tra Stato e Chiesa risulta una componente essenziale dell’identità nazionale, che risale ai quattro secoli del dominio ottomano su Atene. La rivoluzione per l’indipendenza della Grecia dalla Sublime Porta, ricordata nei banchi di scuola soprattutto per la romantica partecipazione di Lord Byron, risale solo al 1821 e fu sostenuta dalla gerarchia ecclesiastica greca, impegnata, nel decennio rivoluzionario, in diverse attività di assistenza degli insorti. Nei secoli della dominazione ottomana, inoltre, furono proprio i pope a tramandare la lingua ellenica e il suo studio da parte della popolazione.

Non dovrebbe dunque stupire che i greci, almeno fino al 26 gennaio di quest’anno, abbiano accettato di buon grado che i loro governi giurassero alla presenza del primate della Chiesa ortodossa. Ma non solo. Fino al 2012 la cerimonia di consegna del documento di laurea prevedeva, oltre alla stretta di mano ai professori dell’università, il bacio della mano a un alto prelato e il giuramento di fedeltà alla Bibbia. E quando, undici anni prima, il premier socialista Costas Simitis aveva avuto l’ardire di emanare carte di identità da cui si espungeva, come richiesto dall’Unione europea, il riferimento alla fede religiosa del titolare, ne nacque una crociata capeggiata dall’allora primate Christodoulos: i suoi comizi riempirono le piazze di Atene e Salonicco e furono raccolte tre milioni di firme (su una popolazione di circa undici milioni di abitanti) per un referendum che avrebbe dovuto ripristinare la dicitura “cristiano ortodosso” sui documenti di identità.

Quaranta giorni sono pochi per giudicare il “miracolo di Tsipras”. Ma anche nella politica ecclesiastica l’esecutivo più smart d’Europa sembra elegantemente impegnato a tenere insieme strappi formali e realpolitik

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