È stato detto e scritto più volte. Se tutta la superficie coltivabile della Terra fosse divisa fra gli 8 miliardi di persone che la abitano a ciascuno spetterebbe un fazzoletto che dovrebbe rappresentare la superficie dalla quale ottenere le risorse per vivere. Però anziché puntare solo ad aumentare la quantità di risorse ottenibili dal proprio fazzoletto gli uomini dei Paesi più forti hanno deciso di appropriarsi dei fazzoletti dei cittadini dei Paesi più deboli. Così la società globale si è indirizzata verso una visione polarizzata in cui coesistono cittadini che dispongono di 8 fazzoletti e cittadini che possono usufruire solo di frazioni del proprio fazzoletto.
Ora però una nuova denuncia si aggiunge a creare allarme: l'agricoltura 2.0 e 4.0 potrebbe con le innovazioni tecniche e scientifiche che la caratterizzano contribuire ad una nuova fase dello sviluppo agricolo con ovvie ricadute anche sul problema alimentare. Cementificazione e abbandono della terra costringono l'Italia ad acquisire all'estero il 40% di mais, soia e grano; ed ora si aggiunge il problema dei dazi americani.
I terreni agricoli persi in Italia nell'ultimo secolo ammontano al 33% con valori delle % importate dei prodotti consumati che per il grano raggiungono il 60%. Le ragioni di questo abbandono sono molteplici a partire dall'emergenza siccità dovuta ai cambiamenti climatici ed alla irrazionale gestione degli invasi per la raccolta dell'acqua piovana. Altre ragioni vanno ricercate nella diffusione di specie selvatiche, nelle difficoltà gestionali in relazione ai limiti burocratici europei, nella concorrenza da parte delle importazioni da Paesi come Turchia e Canada dove si coltiva con tecniche non consentite in Italia per l'uso indiscriminato del glifosato.
A questo quadro negativo fanno riscontro alcune situazioni favorevoli come il nuovo approccio dell'agricoltura rigenerativa. Questa sfrutta la presenza nel terreno dei microorganismi preziosi per la sua qualità. Così il suolo viene continuamente rigenerato acquisendo resilienza e fertilità, sostituendo l'aratura tradizionale, che con la grande profondità coinvolta, comporta una modificazione strutturale del terreno che finisce per nuocere alla resa del terreno rispetto alle colture su di esso impiantate.
Prof. Luigi Campanella
Stralcio di un articolo tratto da "Fondazione Acqua"
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.