Il vertice della Nato di Washington, tenutosi tra il 9 e l’11 luglio 2024, si è concluso con un documento finale in cui i Paesi membri si impegnano, tra le altre cose, ad adottare un approccio maggiormente aggressivo nei confronti della Cina e a rendere “irreversibile” il processo di adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica – senza tuttavia specificare entro quale orizzonte temporale e in base a quali frontiere.
Simultaneamente, il governatore della Federal Reserve Jerome Powell ha annunciato il prolungamento della politica monetaria restrittiva in vigore ormai da circa due anni e mezzo, tanto penalizzante per famiglie e imprese produttive quanto funzionale a richiamare capitali e drenare risparmio dal resto del mondo.
Mantenere tassi di interesse elevati significa per un verso appesantire il servizio del debito, per l’altro rafforzare il dollaro e preservarne lo status si valuta globale.
D’altro canto, Trump ha ottenuto la nomina di un personaggio chiave quale Vance come suo vice e assunto, nel corso della convention repubblicana di Milwaukee, posizioni “clamorose” riguardo alla Cina, aprendo più o meno implicitamente alla prospettiva del ricongiungimento con Taiwan. Un pronunciamento clamoroso, che si inserisce tuttavia in un piano programmatico alquanto complesso e ambizioso di rilancio dell’economia statunitense che passa necessariamente per il raggiungimento di un “compromesso” con la Repubblica Popolare Cinese.
Esiste un filo rosso che lega le decisioni prese durante il vertice Nato di Washington, il tipo di politica monetaria che la Fed sta portando avanti e le dichiarazioni di Trump? Cerchiamo di comprenderlo assieme ad Alessandro Volpi, saggista e docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
Giacomo Gabellini
Video collegato: https://www.youtube.com/watch?v=22FNuZw3ELk
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