In questi tempi di complessità e di movimenti migratori c’è un prioritario impegno civile, che pure i processi di ricerca dovrebbero saper onorare: la salvaguardia dei “territori storici”. Questa è la condizione perché tutti (nativi e immigrati, turisti e imprenditori, cultori d’arte e promotori di tecnologie) ci rendiamo conto che – senza la scienza che renda fattibile e produttivo il continuativo e programmato controllo dei fattori ambientali – si ridurranno sempre più le condizioni della durabilità delle risorse d’arte e di storia.
A fronte di questa realtà, che investe contestualmente tutte le opere d’arte, Giovanni Urbani orientò l’ICR a collocare le prospettive della conservazione dell’arte ben al di là delle potenzialità del restauro. Il quale, come è noto (sempre e soltanto per un’opera per volta), può curare gli effetti e non le cause del degrado. Di conseguenza, Giovanni Urbani propose di privilegiare la programmazione dei processi necessari al riconoscimento e alla prevenzione delle cause che incrementano il continuo (e troppo lungo inavvertito) deterioramento della molteplicità delle opere d’arte che connotano la qualità culturale dei territori storici.Ma quanti si stanno preoccupando di promuovere, diffondere e rendere efficace la “cultura specifica” proposta da Giovanni Urbani? Cultura specifica che i processi di ricerca (umanistica e scientifica) dovrebbero saper orientare pure alla ridefinizione dei compiti dell’urbanistica e, contestualmente, delle competenze e delle funzioni delle strutture della tutela. Strutture tra le quali Giovanni Urbani ne postulò una specificatamente qualificata per la salvaguardia e la cura della complessità delle risorse d’arte nei diversi ambienti di collocazione. In tale prospettiva, non sarebbe da incrementare la collaborazione tra Soprintendenze e Università e Istituti di ricerca? L’Istituto Mnemosyne per la salvaguardia del Patrimonio Storico sapientemente e meritoriamente promuove la diffusione della conoscenza su Giovanni Urbani.
(Fonte: A.K. Informa)
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