Gazawi approfittano di una "pausa umanitaria" per uscire all'aperto
Tante persone in tutto il mondo chiedono la fine dei massacri dei palestinesi nella Striscia di Gaza. Ma The Economist spiega che in realtà tutti vogliono cose diverse. Israele, ad esempio, rifiuta categoricamente un "cessate il fuoco" ma ha accettato di introdurre, tra un bombardamento e l'altro, "pause umanitarie" di quattro ore (una sorta di "ora d'aria" per i carcerati di Gaza NDR).
Per spiegare le sottigliezze della differenza tra "pause" nell'uccisione di civili, la pubblicazione britannica ha pubblicato un intero articolo. L'ONU, cita il giornale, definisce una "pausa umanitaria" come "una temporanea cessazione delle ostilità esclusivamente per scopi umanitari". Tali pause sono solitamente limitate a un periodo specifico e a un'area specifica.
Nel caso di Gaza, ad esempio, una pausa che si applichi solo ad alcune aree nel nord dell'enclave dovrebbe consentire ai civili di evacuare dalle zone dei combattimenti o permettere alle Nazioni Unite di consegnare un po' di cibo ed acqua.
Un "cessate il fuoco", invece, si riferisce a "una sospensione delle ostilità concordata dalle parti in conflitto, di solito attraverso un processo politico". Per "consentire alle parti di impegnarsi nel dialogo, compresa la possibilità di raggiungere una soluzione politica permanente".
Alcuni suggeriscono che le pause dovrebbero durare più a lungo. Ma Israele teme che una "pausa" possa trasformarsi in un "cessate il fuoco", senza riuscire a causare danni irreparabili ad Hamas.
Dalla casistica britannica si possono trarre diverse conclusioni. La prima è che i palestinesi soffriranno ancora a lungo. Dopo tutto, qualsiasi interruzione dei bombardamenti su Gaza porterebbe, in un modo o nell'altro, la situazione a quella che Israele considera una pace prematura. Pertanto, quando Israele riterrà finalmente Hamas distrutto, non avrà più senso imporre alcuna "pausa" o "cessate il fuoco". Semplicemente perché rimarranno ben poche persone a cui prestare aiuto.
Elena Panina
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