La ricerca sui fatti ci ha insegnato
alcune cose che è opportuno consigliare a chi si dedica alle
ricerche storiche. La
prima cosa è quella di controllare sempre alla fonte le
documentazioni che vengono fornite dai servizi e scoop giornalistici,
interviste comprese. Non è infrequente il caso che certe notizie
sono distorte, certe interviste sono manipolate, certi dati che
sembrano scontati non sono invece veritieri.
Nelle
grandi questioni che interessano anche il pubblico, infatti, agiscono
sempre delle componenti che sono interessate alla manipolazione, al
falso, al perseguimento di altri scopi che non la verità.
In
genere i due elementi più ricorrenti che alterano il quadro delle
rivelazioni storiche possono essere gli interessi di carriera di chi
fa gli scoop o quelli economici delle case editrici, oppure interessi
di natura politica o di Intelligence (la disinformazione come arma).
Non è raro il caso che spesso questi interessi vanno a coincidere.
In
alcuni casi poi, che sono di natura “scottante” per il sistema di
potere nel suo insieme, può anche accadere che vengono appositamente
veicolate informazioni o clamorose rivelazioni, che poi, venendo
smentite, dimostrate false, inquinano la ricerca della verità e
negli anni rendono tutto fumoso e imperscrutabile: proprio quello che
certi poteri si prefiggono con questa specie di “facite ammuina”.
Questo
in linea di massima, senza togliere autorevolezza e dignità, a
possibili informazioni e servizi che invece sono veritieri e genuini.
Comunque
sia, nel dubbio: sempre meglio diffidare.
La
moto Honda in via Fani
Tutta questa premessa per
introdurre la recente rivelazione sul caso Moro e l’agguato di via
Fani, con la quale si dice che la moto Honda, vista sul posto da
alcuni testimoni e assurta a verità processuale dopo dibattimenti in
tribunale, avrebbe avuto a bordo due agenti dei Servizi segreti
incaricati di proteggere la fuga dei brigatisti.
Oltretutto
si affermerebbe anche che i due agenti dei Servizi erano alle
dipendenze del colonnello Camillo Guglielmi del Sismi, effettivamente
presente quel giorno e a quell’ora nei pressi di via Fani.
La
rivelazione sarebbe contenuta in una lettera arrivata, dapprima alla
stampa e infine, tempo dopo e in modo informale, nelle mani di Enrico
Rossi, un ispettore di polizia. Questa lettera era scritta da uno dei
due presunti uomini dei Servizi sulla moto, coì almeno si
qualificava, il quale essendo affetto da un cancro e sapendo di
morire, ad oltre 30 anni di distanza, intendeva liberarsi la
coscienza.
L’ispettore
Rossi, messosi in pensione, sembra anche a causa di certi boicottaggi
subiti nell’espletamento di queste indagini, sarebbe riuscito a
risalire alla identità di uno di questi “ex agenti”, tale
Antonio Fissore residente a Torino che poi è deceduto. L’ex moglie
di questo presunto “agente”, ancora vivente e rintracciata,
smentiva però che il marito sia mai stato nei Servizi segreti,
essendo un fotografo e regista TV. La signora nega anche che a marzo
1978, al tempo del rapimento, il marito potesse trovarsi a Roma.
Resta
il fatto che nel corso di una perquisizione, il Rossi rinveniva in
cantina una pistola cecoslovacca avvolta proprio nel famoso numero
del giornale La Repubblica del 16 marzo 1978 che annunciava il
rapimento. Risultava anche che il Fissore aveva una pistola Berretta,
tutte armi a suo tempo denunciate.
Veniva
rinvenuta anche una busta con
un foglio dell'ex parlamentare DC Franco Mazzola, nel '78
sottosegretario alla Difesa, ritenuto uno dei depositari dei segreti
del caso Moro.
Una coincidenza? Vedremo, per dare un giudizio necessitano per prima
cosa conferme a tutte queste notizie di stampa e ovviamente ulteriori
dettagli.
Questa
rivelazione è stata diffusa dall’Ansa, dal giornalista Paolo
Cucchiarelli, e a quanto sappiamo sembra che il Rossi intenda fornire
tutti i particolari solo al magistrato.
Sarà
quindi ascoltato e solo allora potremo sapere come effettivamente
stanno le cose e che grado di attendibilità dare alla vicenda.
En
passant, dobbiamo sottolineare che alcuni ambienti, più che altro
giornalistici e di sinistra, ai quali forse scotta una verità del
genere, circa l’ingerenza e la direzione dei Servizi in quel
rapimento, reagivano gridando alla bufala.
Se
sia una bufala o meno, allo stato attuale non è possibile dare una
risposta concreta, ma circa le tardive argomentazioni, oggi addotte,
che i due in moto in via Fani al momento del massacro e del
rapimento, fossero un compagno dell’area della sinistra, che
lavorava in un garage paterno da quelle parti, e quindi passato di lì
per caso in moto con la sua ragazza, non reggono.
Ci
si fa anche sapere che questi due compagni, avrebbero riconosciuto
Morucci e il Casimirri, due brigatisti, e avendo capito cosa stava
per accadere, se ne andarono facendo persino un cenno di saluto. Loro
comunque, con le BR, non c’entravano nulla.
Dunque,
dopo che i brigatisti stessi hanno negato che ci fosse una loro moto
Honda, dopo aver dato poi per possibile che una moto del genere, ma
sconosciuta, sia passata da quelle parti, oggi si fa anche una mezza
ammissione, ma riferendola ad un episodio del tutto marginale. Ma
anche questa versione non convince.
Intanto,
nessuna testimonianza ha indicato come passeggero posteriore della
moto, una donna, secondo poi la moto venne segnalata soprattutto ad
agguato concluso e quindi era ancora lì durante i tre minuti di
fuoco, non se ne era di certo andata, oppure, il che non cambia, era
arrivata a strage compiuta cooperando nella fuga delle macchine.
Questa
storia dell’ispettore Rossi, comunque, potrebbe benissimo essere
una delle tante bufale, ma la presenza di una moto Honda, a lungo
negata dai brigatisti e poi accettata con la supposizione che forse
erano due compagni passati da quelle parti per caso, è comunque una
verità processuale. Questo non vuol dire che sia veritiera al cento
per cento, ma di certo è una attestazione molto più attendibile di
tante altre fatte a voce.
Quella
moto, infatti, quel 16 marzo 1978, alle 9 circa in via Fani, la
notarono alcuni testimoni al momento dell’agguato, anzi uno la vide
ferma nei pressi un attimo prima, ed un altro testimone, Giovanni
Intravado, un agente della stradale fuori servizio che passava da
quelle parti, la vide parcheggiata sul lato destro di via Fani e poi
ne venne sfiorato, essendogli passata vicino, quando le macchine dei
brigatisti con il rapito a bordo se ne stavano andando via.
Ma
una moto venne anche segnalata via radio alle volanti, pochi minuti
dopo l’agguato, indicandola come una moto in fuga con le macchine
dei brigatisti.
La
deposizione però più concreta e pertinente è quella dell’ing.
Alessandro Marini, che arrivato all’incrocio tra via Fani e via
Stresa, proprio al momento dell’agguato assistette a tutta la
scena. Quando le macchine se la filarono con l’ostaggio, spuntò la
moto dietro di loro. Il Marini nel corso di tre deposizioni, una
subito dopo i fatti, alle 15,15 di quel 16 marzo, un'altra ad aprile
e una a giugno, specificò che a bordo vi erano due uomini: il
guidatore con una specie di passamontagna e quello dietro armato con
una specie di mitraglietta, la cui siluette del viso assomigliava a
quella di Edoardo De Filippo.
Proprio
quest’ultimo, per intimidire il Marini e non farlo muovere con il
motorino, ebbe a sparagli dei colpi, di cui uno forse attinse il
parabrezza del motorino e il Marini, per non essere colpito, lo fece
cadere a terra determinandone la rottura.
Il
Marini disse anche che all’uomo sulla moto, cadde in terra un
caricatore e diede indicazioni per repertarlo. Ancor più, questa
testimonianza, il Marini la ripetè poi in tribunale, dove venne
creduto tanto che i brigatisti furono condannati anche per tentato
omicidio di un comune cittadino.
Orbene,
già dalla sera della prima deposizione, il Marini venne fatto
oggetto di telefonate minacciose, tanto che gli venne accordata una
sorveglianza sotto casa, ma mesi dopo preferì andarsene a lavorare
in Svizzera.
Strana
vicenda questa delle minacce telefoniche, visto che non si capisce:
né come le BR avessero potuto avere subito notizia della sua
deposizione, della sua utenza telefonica e soprattutto non si capisce
perché avrebbero dovuto intimidire uno dei tanti testi presenti
quel giorno a via Fani che furono ascoltati.
Lascia
poi perplessi il fatto che dei brigatisti abbiano sparato contro un
comune e inerme cittadino. Qualsiasi cosa si possa dire di questi
“comunisti combattenti”, della loro ferocia, ecc., non è
credibile che sparassero addosso a dei civili, rischiando di
ammazzarli, solo per intimidirli.
Anche per questo, ambienti
di sinistra, forse cercano di negare che venne veramente sparato
contro il Marini. Come noto le perizie, agli atti dei processi, sono
spesso incomplete, per il caos o la mancanza dei reperti, oppure
sono state spesso anche riviste e modificate.
Ma
del resto che gli abbiano sparato, oppure il Marini se lo sia solo
immaginato in quei momenti di tensione e paura, è del tutto
secondario rispetto alla effettiva presenza sul posto di quella moto
Honda. E in merito alla presenza della moto una ipotesi sembra
alquanto verosimile, quella che questa moto non poteva essere
totalmente sconosciuta ai brigatisti, altrimenti dovremmo pensare che
i due guidatori avevano voglia di suicidarsi, presentandosi nel pieno
dell’azione operativa dei brigatisti i quali, sicuramente, gli
avrebbero sparato addosso.
In
tutta questa vicenda della lettera di “pentimento” con la
rivelazione, bufala o meno che sia, un'altra cosa è certa, anche per
stessa ammissione degli interessati.
Li
a poca distanza dal luogo di quell’agguato era presente, un
colonello del Sismi, tale Camillo Guglielmi (vedremo più avanti come
si cercò poi di mitigare questa presenza asserendo che il Guglielmi
quel 16 marzo 1978, non era ancora entrato nel Sismi).
Costui, chiamato in causa
ben tredici anni dopo i fatti, ammise di essere passato da quelle
parti per recarsi a casa di un amico, nella adiacente via Stresa n.
117, che lo aveva invitato a pranzo. Presenza accertata quindi, ma
motivazione molto dubbia, se non assurda, visto che l’amico, anzi
il collega colonnello Armando D’Ambrosio, confermava la presenza,
ma non ricordava l’invito a pranzo ed oltretutto, appare singolare,
se non assurdo, il presentarsi in casa, invitati per pranzo, verso le
9,30 di mattina!
Singolare poi anche il fatto
che questo Guglielmi, non certo uno sprovveduto, non abbia avuto
sentore della tragica sparatoria di pochi minuti prima a poco più
di un centinaio di metri (per la verità l’amico del Guglielmi
riferì anche che questi si trattenne solo qualche minuto, perché
disse che voleva andare a vedere cosa era successo lì vicino, di cui
aveva percepito qualcosa).
Ma chi era il
colonnello Camillo
Guglielmi, che
la mattina del 16
marzo 1978 si
trovò, in ogni caso, prossimo all’incrocio tra via Fani e via
Stresa, proprio mentre le Brigate
Rosse rapivano
o avevano appena rapito, Aldo
Moro?
Notizie su la carriera di
Guglielmi, soprannominato “Papà”, emergono dal resoconto di
un’audizione in
Commissione
stragi dell’ex
ministro della Difesa, Cesare
Previti: nel
’78 l’ufficiale era in forza alla Legione
Carabinieri di Parma
dalla quale venne posto in congedo il 15 aprile 1978, dunque durante
il sequestro Moro.
Dal 1 luglio 1978 Guglielmi,
a detta di Previti, prestò servizio presso il Sismi come
consulente “esperto”, fino alla sua assunzione nel Servizio
segreto militare, avvenuta il 22 gennaio 1979. Subì trasferimenti,
ma collaborò con il controspionaggio militare fino al 30 novembre
1981. E’ deceduto nel gennaio 1992 all’età di 68 anni, non molto
tempo dopo che venne fatto il suo nome quale presenza in via Fani,
rivelazione che, si dice, con tutto il chiasso che se ne fece gli
procurò del crepacuore.
Interessante il fatto che
l’ufficio sicurezza, di cui Guglielmi era uno dei direttori di
Sezione, fu costituito dal generale Giuseppe
Santovito, a
capo del Sismi dal gennaio ’78, e affidato a Pietro
Musumeci e a
Giuseppe
Belmonte,
questi ultimi, entrambi iscritti alla Loggia
P2
e condannati per i depistaggi sulla strage
di Bologna
del 1980.
La versione, minimizzante di
questa storia e a difesa della buona fede del Guglielmi, si basa
sulle date ufficiali per le quali quell’Ufficio venne istituito
dopo il caso Moro, ma è intuibile e le inchieste lo confermano,
che era già attivo nei 55 giorni del sequestro. Del resto le
date “ufficiali” riguardanti i ruolini degli agenti in servizio
segreto, lasciano spesso il tempo che trovano.
Altre informazioni attestano
poi che a Roma, presso la direzione di sicurezza, erano in servizio
anche agenti di Gladio sotto
la supervisione della VII
Divisione del
Sismi, in cui anche il Guglielmi vi aveva fatto il supervisore.
Se quanto poi affermato
dall’on. Sergio
Flamigni,
membro delle Commissioni d’inchiesta sul caso Moro e sulla P2, cioè
che il Guglielmi era «uno
dei migliori addestratori di Gladio, esperto di tecniche di
imboscata, che lui stesso insegnava nella base sarda di Capo
Marrargiu
dove si esercitavano anche gli uomini di Stay
Behind»,
tutta la faccenda assumerebbe aspetti inquietanti perché, in tal
caso, questo genere di specializzazioni non si conseguono dall’oggi
al domani e quindi si porrebbero dubbi e domande, divenendo anche
relativo, sapere in forza a quale apparato o servizio era il
Guglielmi il 16 marzo 1978.
Questo, grosso modo, il
riassunto su queste notizie e rivelazioni, così come appaiono allo
stato attuale.
Ma è anche interessante
conoscere come venne fuori il nome del Guglielmi e la sua
collocazione nei pressi di via Fani.
La
“soffiata” venne da un certo Pierluigi Ravasio, bergamasco, ex
carabiniere paracadutista congedatosi nel 1982, passato alla
professione di guardia giurata, e residente in Cremona. Nel 1978 il
Ravasio era entrato nel Sismi, e fu assegnato all'ufficio sicurezza
interna nella VII sezione dell'ufficio R di Roma, dove Musumeci e
Belmonte erano i capi dell'ufficio e i suoi diretti superiori erano
il colonnello Guglielmi ed il colonnello Cenicola.
Orbene nel Natale 1990, in
un ristorante di Cremona, l'ex agente del Sismi, confermò al
deputato di Democrazia Proletaria Luigi Cipriani che alcune
confidenze, riguardanti anche la presenza del Guglielmi nei pressi di
Via Fani, che già aveva fatto ad altra persona.
Scrive la giornalista Rita
Di Giovacchino
in “Il
libro nero della Prima Repubblica”,
che il Guglielmi confidò poi al Ravasio di essere arrivato in via
Fani a strage consumata e ne restò sconvolto.
Ravasio, che mostrò al
Cipriani e ad un giornalista di Panorama, varie documentazioni
attestanti le sue passate qualifiche, disse che quella mattina il
Guglielmi era arrivato in via Fani dopo aver ricevuto una telefonata
di Musumeci: «Vai
subito lì, un informatore mi ha detto che succederà qualcosa di
grosso, forse rapiscono Moro».
Lo sfogo del Ravasio derivava
da delusioni avute in servizio, sia dalla destra politica che dai
servizi segreti.
L’autorevolezza dell’on.
Luigi Cipriani, la sua serietà, provocarono tutta una serie di
interrogazioni e accertamenti, dai quali poi, come abbiamo visto, ci
fu anche la conferma, sia pure con altra motivazione, del Guglielmi
quella mattina in via Fani.
In ogni caso che il
Guglielmi fosse andato in via Fani a carattere preventivo e
osservativo, come da confidenze fatte dallo stesso colonnello al
Ravasio, o ci sia andato per supervisionare il rapimento, come
asserito dal presunto centauro della moto in via Fani, resta il fatto
che questo colonnello, quel giorno a quell’ora, era in quei
paraggi, così come c’era la moto Honda che i brigatisti negano
decisamente sia dei loro.
Possono benissimo essere due
fatti sconnessi tra loro, ma restano sempre due fatti.
Quello che qui ci preme
sottolineare è il fatto che queste rivelazioni, quella
dell’ispettore Rossi, ancora da valutare e accertare e quella del
Ravasio poi confermata, vengono in qualche modo da persone interne
agli apparati di sicurezza.
A queste se ne potrebbe poi
aggiungere un'altra, questa però a quanto sembra rivelatasi una vera
e propria bufala: quella della famosa confidenza fatta all’ex
magistrato Ferdinando Imposimato, a quanto oggi si dice, dall’ex
brigadiere della Guardia di finanza in pensione Giovanni Ladu, 57
anni, cagliaritano residente a Novara, che con il magistrato si
sarebbe definito un ufficiale di Gladio nomato Oscar Puddu.
Secondo
questo Puddu/Ladu, che aveva contattato Imposimato, la Gladio
sorvegliava da vicino e continuamente il covo delle Br con Moro
prigioniero, in via Montalcini, tanto da poterlo liberare facilmente,
ma all’ultimo momento venne l’ordine di smantellare tutto e
andarsene. Questo presunto “gladiatore” aveva già contattato per
email il giudice Imposimato nel 2008 dopo averne letto il libro
“Doveva morire” nel quale si adombravano pesanti sospetti su
Cossiga ed Andreotti quali responsabili della morte di Moro. Anni
dopo poi era tornato alla carica, fornendo altri e più dettagliati
particolari.
Ma il
tutto a quanto sembra sarebbe una bufala.
A
questo punto tiriamo le conclusioni, affermando comunque che
personalmente non ci fidiamo mai delle informazioni che vengono
dall’interno del Sistema.
Certo,
possono esserci benissimo dei casi di coscienza e crisi di pentimento
dopo anni, ci sono certamente persone che adempiono il loro dovere
istituzionale con coscienza, scrupolo e serietà e quindi, quando
hanno percezione di delicati intrallazzi hanno anche il coraggio di
denunciarli. Ma in genere siamo diffidenti, queste “rivelazioni”
sia che fossero veritiere, come nel caso del Ravasio o fossero false,
come nel caso delle informazioni date al giudice Imposimato, sono
sempre da prendere con le molle, perché spesso, hanno qualche scopo
nascosto.
Ad
esempio, facciamo una nostra ipotesi: la rivelazione di Ravasio,
risultata fondata, avvenne poco tempo prima che esplodesse lo
scandalo di mani pulite, uno scandalo che coinvolse il mondo politico
e i suoi riferimenti nelle Intelligence. Chi ci dice che facendo
sorgere il mezzo scandalo della presenza del Guglielmi in via Fani,
in realtà si voleva indebolire qualche settore dei Servizi che
doveva essere poi spazzare via? Non ce lo dice nessuno, ma a noi,
vecchi sospettosi, il dubbio resta.
E la
rivelazione, risultata invece falsa, fatta a Imposimato, sulla
prigionia di Moro, a cosa poteva servire?
Altra
nostra ipotesi: non potrebbe essere intenzione di chi sa chì, di
confondere le idee circa il fatto che Moro si ha interesse ad
attestare, sia pure indirettamente, che restò sempre nella prigionie
di via Montalcini, quando invece appare poco probabile?
Anche
qui non lo sappiamo, ma di certo questa bufala non è uscita fuori a
caso, a meno che non siamo in presenza di veri e propri mitomani.
E così
abbiamo adesso una rivelazione dell’ultim’ora, quella dell’Ansa
e dell’ispettore Rossi, che deve essere ancora vagliata e valutata.
Vedremo come finirà, ma se dovesse essere una bufala, resta da
chiedersi, perché, a chi giovava, quale ruolo questa bufala deve
svolgere?
E se
invece dovesse rivelarsi vera e quindi far esplodere un vero e
proprio scandalo, circa le BR aiutate dai Servizi, è tutto così
limpido come ci è stato raccontato, dando all’ispettore Rossi, il
giusto merito della sua dedizione e serietà, oppure anche qui,
dall’interno del Sistema e da dietro le quinte, “qualcuno”,
nell’ombra, vuole anche raggiungere qualche altro scopo?
Ergo
il consiglio che diamo a tutti è sempre quello di attenersi solo ai
fatti, anzi di cercare persino di appurare la verità dei fatti
stessi e di diffidare sempre soprattutto di quello che esce dalle
stanze del Sistema.
Maurizio Barozzi
......................................
Commento di Giorgio Vitali:
......................................
Commento di Giorgio Vitali:
"LA PRIMA COSA RIGUARDA TUTTA LA QUESTIONE IN SE'. E' infatti noto che moro fu assassinato in conto e per conto di interessi atlantici. Che questi interessi avevano, come hanno oggi ( vedi visite di "cortesia" della Dama d'Inghilterra al Papa ed al Neapolitano e poco prima la visita di O'Banana. Ambedue CON LO STESSO SCOPO (indovina indovinello....) lo scopo primario di NEUTRALIZZARE un personaggio come il MORO ( di Venezia???? attenti alle assonanze!) che intendeva portare alle estreme conseguenze una PRASSI, questo è il bello....sempre attuata con il silenzio/assenso di Lorsignori. (VEDI il libro VODKA KOLA che commenteremo quanto prima su Accademiadellalibertà.)
L'aspetto REALE della questione è questo: l'assoluto disinteresse CIVICO degli Italyoti. O, meglio, della MASSA ITALYOTA. Infatti, la facilità con cui fu, a suo tempo, smantellato il tentativo CIVICO di creare in Italy una coscienza NAZIONALE (ancor prima che nazionalista) nel nostro paese ( sorry....Country) ha indotto finora alle forze avverse ( cioé Lorsignori) ad agire terroristikamente contro il SINGOLO! Il risultato è sotto gli okki di tutti e riguarda non solo Moro, ma Mattei, Craxi, Gardini, Cagliari e tanti tanti magistrati...irrequieti!
Ciò detto, OCCORRE FARE IL PUNTO DAL PUNTO DI VISTA STORICO. L'Italia è paese di attentati. Ne potremmo citare a josa fin dai tempi di Muzio Scevola. La caratteristica ATTUALE si discosta dal passato per la semplice ragione che su questi attentati si impostano PROCESSI con tutte le conseguenza del caso. ( Dopo l'assassinio di Cesare non ci fu alcun processo. Ma c'erano i CESARIANI che hanno risolto molto bene il problema....col nostro PLAUSO, ovviamente, di POSTERI ATTENTI E FEDELI (a Cesare oltreché al Dio Priapo!)
Inoltre, e dopo decenni di intenso lavaggio del CEREBRO, concetto ormai acquisito da tutti, anche dai parroci, E' NECESSARIO PER LORSIGNORI CREARE CORTINE FUMOGENE, con utilizzo di sostanze chimiche sempre più sofisticate. Ecco quindi le ragioni dell'esplodere a tempi fissi ( PITIGRLILLI direbbe...a tempi fessi) di rivelazioni, soffiate, soffioni, petardi, scorregge......che devono servire per INTERESSARE personaggi altrimenti interessati ( matrimonio di Sabrina Ferilli, inconvenienti al ballerino Emanuele Filiberto, emorroidi di Sigolène Royale etc...) DA NOTARE CHE IL SISTEMA è INTERESSATO CHE L'INTERESSE MORBOSO PERVADA LA VICENDA MORO. E' l'occasione per CHIUDERE definitivamente un questione che, se la sciata a se stessa, avrebbe creato LA TRANQUILLA COSCIENZA di un chiarissimo delitto di STATO. Come nel caso di Diana, dei Kennedy, di Olaf Palme, etc..etc..etc...
Ciò detto è bene sottolineare che......del delitto di Via Fani c'erano alcune FOTO scattate casualmente da persona NON INNOCENTE e che, allegate agli atti processuali sono state fatte sparire, che un NOTISSIMO avvocato romano è stato indotto da Lorsignori a TOGLIERSI da Koglioni, che ESISTE UN TUNNEL MILITARE CHE CORRE PARALLELO A QUELLO DI RECENTE MESSO IN FUNZIONE PER UNIRE l'Olympica a Pineta Sacchetti....vedi un pò quante cose si sanno......." (GV)
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