Il 29 gennaio 2022 Sergio Mattarella è stato eletto nuovamente Presidente della Repubblica Italiana. La Costituzione, al titolo II, dagli artt. 83 al 91, regola elezione e funzioni del Capo dello Stato, specificatamente, con l’art. 85, stabilisce che la durata della carica è di sette anni.
L’estensione temporale più lunga di essa fu voluta dall’Assemblea Costituente per svincolare la sua attività da quelle delle Camere, che infatti vengono rinnovate ogni cinque anni, ove giungano a scadenza naturale.
Autorevoli costituzionalisti hanno ripetutamente discettato se il Presidente della Repubblica potesse svolgere un secondo mandato. Un’interpretazione autentica della norma ci dice che tale ipotesi non è esclusa, ma che forse non sarebbe opportuna. Di fatto, è già successo con Giorgio Napolitano, il predecessore di Mattarella, che fu nuovamente eletto nel 2013, dimettendosi anticipatamente due anni dopo.
Questo l’inquadramento giuridico e cronologico dei fatti, ma credo sia necessario interrogarsi sul contesto che ha generato quanto avvenuto, sulla sua genesi e le prevedibili conseguenze.
Piaccia o meno ammetterlo, le Istituzioni dei singoli Paesi e l’Italia di certo non fa eccezione, hanno progressivamente perso quote di facoltà reali, venendo sempre più eterodirette dai circoli di potere che controllano la finanza internazionale. Il motivo è assolutamente palese, le Istituzioni, sia centrali che periferiche, sono fortemente indebitate e il vero scopo della finanza è creare debito e gestirlo, asservendo così di fatto le Istituzioni al proprio volere.
Se osserviamo il caso italiano ci rendiamo conto che il debito pubblico ammonta a circa 2700 miliardi di euro (il più alto tra i paesi europei) e tale pericolosa situazione è condivisa dalle varie amministrazioni periferiche, come le Regioni, le Province, i Comuni, le società controllate, tanto che sia i Comuni che queste ultime hanno infranto il tabù e hanno cominciato a fallire (per la precisione, i Comuni vanno tecnicamente in dissesto, ma la sostanza non cambia). Tutto questo sarebbe assolutamente proibito dal regolamento di amministrazione e contabilità enti della Ragioneria Generale dello Stato, che imporrebbe il pareggio di bilancio e il rapido rientro da episodiche situazioni debitorie in tempi e modi certi. Tali disposizioni dovrebbero costituire la Bibbia degli amministratori pubblici ma, i pochi che le sostengono, come il modesto sottoscritto, vengono apostrofati come “manovali della finanza” e “ignoranti della politica”.
Su questo scenario, complice un’opportuna pandemia, imperversa il governo di Mario Draghi - con un passato da banchiere d’affari nella Goldman Sachs - il quale non solo genera un impulso sostanziale all’aumento del debito pubblico italiano, ma si accinge a renderlo ingestibile favorendo l’ulteriore passivo di oltre seicento miliardi di euro derivante dai fondi del MES e del Recovery Fund, spacciati come opportunità economica, in realtà prodromici a trasformarci nella nuova Grecia, le conseguenze di cui alla cura Draghi (come Presidente della BCE) sono sotto gli occhi di tutti, avendo realizzato una tragedia economica e sociale epocale.
La gestione pandemica ha favorito questo assurdo disegno, poiché in realtà ciò che è avvenuto e sta avvenendo è stato un gigantesco trasferimento di fondi pubblici a favore di multinazionali private che hanno rimesso parte di quei fondi sotto forma di elargizioni, fatte pervenire a pioggia, ai settori più disparati, per alimentare il consenso.
Con il pretesto dell’emergenza è stato creato un Governo impensabile che contiene in sé i partiti più disparati, intenti solo a gestire il fiume di denaro che Draghi - non a torto definito “Re di denari a prestito” - distribuisce con disinvoltura e garantendo una durata artificiale in carica a innumerevoli onorevoli e senatori ben coscienti che non torneranno mai più in Parlamento.
Ecco quindi spiegato la moderna forma di gattopardismo, non più “cambiare tutto per non cambiare niente”, bensì “non cambiare nulla per continuare a spartirsi il tutto”. Draghi era destinato ad andare al Quirinale come compenso per la sua più che eccepibile attività, tale disegno si è rivelato irrealizzabile per molteplici ragioni ed ecco quindi la sceneggiata del “Mattarella bis”. La legislatura andrà avanti ancora qualche mese, il tempo necessario perché “Super Mario” completi la sua opera discutibile, dopodiché Mattarella si dimetterà anticipatamente (un copione già visto), lasciando il campo al Presidente del Consiglio.
Una farsa quindi, destinata a finire in tragedia, poiché sul terreno giacciono i resti dei partiti italiani, ormai privi di presupposti ideologici ed etici, lontani dai bisogni dei cittadini, ridotti a comitati elettorali, finanziati da enti spesso stranieri e non certo votati al bene della Repubblica Italiana.
Occorre interrogarsi se i partiti siano ancora in grado di riaffermare la loro autonomia e la loro naturale funzione, ovvero gestire la cosa pubblica nell’interesse generale. Di certo, l’idea del centro destra, così come lo abbiamo conosciuto, è sempre più sfumata ed incerta, mentre reale si appalesa il disegno egemonico ultroneo di un nuovo grande centro, che espelle destra e sinistra rendendole nuovamente impresentabili, eversive e soprattutto irrilevanti, in nome di un consociativismo asservito ai voleri dei nuovi padroni. Il centrodestra, pur disponendo di una base teorica di oltre quattrocentocinquanta voti e potendo attingere facilmente alla prateria dei duecento parlamentari del gruppo misto, ha rinunciato ad eleggere un proprio candidato, mancando ad un’occasione che mai in precedenza si era presentata.
Chi è rimasto critico e al di fuori da tali deprecabili disegni, mentre alcuni topi stanno già dando segni di nervosismo per restare su una nave che rischia di affondare, occorre che mostri reale leadership e si faccia promotore di un progetto di governo diverso, che guardi ad un futuro in cui le libertà individuali vengano garantite e persegua un ordinato sviluppo economico. E’ indispensabile recuperare una percentuale preoccupante e crescente della popolazione che tende ad essere disillusa e lontana dai meccanismi di partecipazione democratica, altrimenti prevarranno i pochi sui molti e presto o tardi, ci aspetterà un futuro di povertà e violenze; la storia ce lo insegna anche se essa, tradizionalmente, ha studenti scarsi e distratti.
L'attuale crisi sistemica delle varie istituzioni nazionali, tra cui quelle italiane, sembra favorire l’irresistibile avanzata di governances mondiali, nuove tecnocrazie basate sul controllo e il potere delle elites sui cittadini. In questo processo apparentemente inarrestabile, tra le vittime, oltre la democrazia e la volontà popolare, ci sarebbero indubbiamente i partiti, destinati alla scomparsa. I prossimi mesi ci diranno se andremo verso un cupo medioevo o saremo capaci di svoltare verso un nuovo auspicabile rinascimento.
Raffaello Federighi