mercoledì 30 ottobre 2019

Lotta al contante, rapina a mano bancaria


La Cupola che ha messo in campo questa affascinante triade ne ha subito fatto valere la capacità di andare al di là dei suoi predecessori: la lotta al contante è la sua prima guerra in quella che Diego Fusaro, non senza efficacia, definisce la “glebalizzazione” e che si presenta al colto e all’inclita nelle vesti accattivanti della “lotta all’evasione”. E su questo colpo alla nuca della gente, perseguito con accanimento dalla componente nera del regime giallo-nero, i 5 Stelle non sanno far di meglio che balbettare. Con la stessa demagogia ipocrita con la quale si sono vantati di aver tagliato il numero dei parlamentari, cosa che sabota, più che favorire, la rappresentanza democratica, o limitato i danni della letale autonomia differenziata. Piccoli imprenditori e autonomi si dovranno acconciare alle centinaia di euro all’anno di costi in più per il Pos (il dispositivo che azzanna le carte di credito), ma in compenso, forse, le banche ridurranno le commissioni sulle transazioni (e che non ci pensano lontanamente). Non si potranno far girare più di 2000 euro al mese, dopodomani 1000, salvo segnalazione ai gendarmi della finanza. I 500 euro che tenevi in casa non sono più a disposizione, spettano alle banche. Potrai prelevarli, sempre che la “crisi” non ti faccia arrivare tra capo e collo un “prelievo forzoso”, alla Amato, ma intanto è la Banca che utilizza a proprio piacere e potere la montagna di 500 euro di milioni di italiani.


Il creatore del M5S oggi, come Kronos, divoratore dei suoi figli, è da sempre vittima di isteria tecnologica, sublimata nel digitale della piattaforma Rousseau, tentacolino delle grandi high tech, che doveva farla finita con le strette di mano, gli occhi che si incontrano,, le discussioni faccia a faccia per capire meglio, qualsiasi tentazione di incontro corporeo, la pretesa di contribuire a una qualche elaborazione, compensata dal “potere” di quattro gatti di cliccare sì al caudillo. Così anche il denaro, da fisico, tenuto in mano, con possibilità di misurarlo, diventa digitale, virtuale. Scompare. Quando strisci la carta, non percepisci quel che avevi e quel che ti resterà. E’ la condizione ideale per creare una società di indebitati e, dunque, di deboli, e dunque di dipendenti e perciò di dominati. Lo scherzetto della virtualizzazione del denaro serve a questo, oltre a dare una nuova sgassata al capitalismo, insieme a quella verde di Greta: un ulteriore gigantesco trasferimento di ricchezza dal basso all’alto dell’oligarchia finanziaria.

Speculare è, mimetizzata dallo stereotipo della “lotta all’evasione”, strombazzato come non mai, è l’immunità assicurata ai crimini fiscali dei grandi, sui cui trucchi e strumenti per far sparire capitali nelle scatole cinesi di un circuito bancario tanto truffaldino quanto opaco, o farli evaporare nei paradisi fiscali, sul cui carattere fuorilegge nessun governo, nessuna Onu, nessun FMI, nessuna BM, nessuna BCE, nessuna Corte di Giustizia, nessun WTO, ha mai sollevato sopracciglio. Il corollario sociale è che, non bastando Echelon, le telecamere di sorveglianza, i cellulari privati, che ci rivelano e tracciano, e gli schermi pubblici spioni, grazie alle carte ci sarà il Panopticon di Bentham, a garantire la sorveglianza, il riconoscimento e la tracciabilità permanenti di ogni tua manifestazione in vita: azioni, scelte, movimenti, identità psicofisica e, tutto sommato, pensiero. Non sono forse i dati oggi il primo anello della catena del consumo, la prima fonte della rendita? Loro e della schiavitù nostra?


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sabato 26 ottobre 2019

Mamma li curdi...


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Meritano un paragrafo i curdi,  cocchi del nostro sistema mediatico unipolare. La questione curda, nel suo profilo storico è manipolata e in quello attuale rovesciata nel suo contrario. Diversamente dalle realtà anticolonialiste africane, arabe e persiane, o di quelle latinoamericane da Bolivar a Guevara-Castro a Chavez, i curdi non hanno mai saputo elaborare un progetto di società autenticamente unitario, inclusivo, plurietnico ed emancipatorio, che superasse la loro struttura feudale, clanista, regressiva, rigidamente patriarcale. Alle origini della loro mancata realizzazione di uno Stato unitario, non sta tanto la mancata implementazione del trattato di Sèvres del 1920, quanto la separatezza tribale e culturale tra i segmenti divisi tra i quattro paesi ospitanti, Turchia, Iraq, Iran e Siria, e, al loro interno, una costante di arcaiche faide interfamigliari e intertribali. Con la conseguente assenza di un teoricamente solido movimento unitario irridentista.

In tutto questo, i curdi sono, insieme ai guerrafondai nel regime Usa (che ora ripuntano all’Iraq), i sicuri perdenti. Non è chiaro se l’ipotesi del loro inserimento nelle forze armate siriane, per la comune difesa contro terroristi e invasori, sopravviverà all’accordo russo-turco per il loro disarmo totale e per il rientro nel territorio storicamente da loro abitato, a Qamishli. Certa è invece la scomparsa dallo scenario mediorientale di una riedizione curda in Siria di quanto inflitto alla Palestina nel 1948 e seguenti...


Fulvio Grimaldi  -  https://fulviogrimaldi.blogspot.com/

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venerdì 25 ottobre 2019

Inquinamento e cambiamento climatico? Dipende soprattutto dallo sfruttamento degli animali...


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Si parla molto di cambiamento climatico alludendo ogni volta e quasi da tutti, ai soliti fattori e dimenticandone altri.

Noi dividiamo la vita sulla Terra insieme agli animali esseri senzienti (art. 13 del Trattato di Lisbona) "che vivificano con la loro presenza gli ecosistemi, ispirano potentemente, in tutte le culture, l'autocomprensione dell'uomo" (Luigi Lombardi Vallauri).

Nella relazione Gli animali in Italia, citata al link https://www.gabbievuote.it/gli-animali-in-italia.html si parla di chi sono, come vivono (chiusi a vita nelle gabbie oppure uccisi appena nati nel tritacarne come i pulcini, oppure.....) e delle buone pratiche che altri Paesi perseguono.

Si parla di: allevamenti intensivi e relativo effetto serra; trasporti, macelli; di maiali, polli, galline, tacchini, quaglie, anatre, oche, conigli, bovini, pecore, capre e bufali; di controsessi; di macellazione rituale; del caffè Kopi Luwak; di pesci, crostacei e molluschi; di equidi; di chiocciole; di pellicce e vivisezione; di fauna selvatica; di caccia e bracconaggio; di bocconi avvelenati; di circhi, zoo e delfinari; di colombi; dei botti di capodanno, di feste sadiche; di cani e randagismo; di colonie feline; di alberi e, perfino, di topi e ratti.

Sintetica e facile da consultare, la relazione riporta anche numerosi video investigativi e riferimenti a documenti ufficiali di prestigio.

Noi speriamo che muova "quell'animalismo umanista in difesa dell'onore dell'uomo" (Luigi Lombardi Vallauri).

Chiediamo che venga diffusa per informare e contribuire a quello sviluppo della persona che l'art. 3.2 della Costituzione suggerisce.

Grazie.


Mariangela Corrieri
Presidente Associazione Gabbie Vuote ODV Firenze
Tel.3667275515 - 3394934414

mercoledì 23 ottobre 2019

Nuove azioni coercitive del "governissimo" - Punizioni severe per chi evade le tasse, anche per necessità... (con Amarcord di Calcata)

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Antefatto - Stalin nel 1933 cominciò a tassare i contadini, stabilì che per ogni gallina posseduta dovessero versare allo Stato 30 uova al mese, in virtù della convinzione che per ogni gallina dichiarata i contadini ne avessero almeno due non dichiarate.
Fu così c
he i contadini disonesti e più abbienti riuscirono a ottemperare mentre quelli onesti e più poveri no e furono multati per il quintuplo, di conseguenza arrivarono poi gli esattori che entrarono a forza nelle loro abitazioni rompendo stufe, camini, mobilio e quant'altro sequestrando mucche e pecore se ne avevano.
I contadini ridotti alla fame abbandonarono la terra e cercarono rifugio nelle città, i più fortunati trovarono lavoro nelle miniere e in qualche fabbrica, gli altri morirono di stenti nella più completa indifferenza dello Stato.
Qui in Italia lo Stato sta percorrendo la stessa strada, estendendo la vessazione a tutte le partita iva. Il risultato sarà lo stesso, ma non ci sono miniere qui, e nemmeno fabbriche che assumono italiani. 
(Giuseppe Mazzù)  


Commedia dell’arte e Governissimo: “Tasse fino all’ultimo respiro…”


Foto di Gustavo Piccinini – Calcata, recita in piazza

Ricordo tantissimi anni fa (a metà degli anni ’70), quando il Circolo era  ancora a Calcata ed io ero un giovane attore di belle speranze, una delle prime commedie recitate in piazza dal sapore premonitore.  Il titolo l’ho dimenticato ma il tema era quello della burocrazia e delle tasse che strozzano ogni iniziativa e sottopongono l’uomo ad elemosinare il suo pane.
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La storia raccontava di un villico che voleva farsi un pollaio per sé e la famiglia, in un ipotetico medioevo (futuribile),  così egli  si recava dal ciambellano tributario per la necessaria autorizzazione ma la domanda veniva respinta per mancanza dei bolli. Ed il villico: “ma no, ma no i polli ci sono e anca le galline…”. Al che visto che il pollaio era già stato posto in atto il buon ciambellano comminava l’inevitabile multa “per non aver ottemperato alle norme tassatorie del reame”
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Quelli erano anni in cui il comunismo ancora resisteva a Cuba, in Russia ed in tutti i paesi dell’est Europa ma la propaganda democristiana  spiegava al volgo che  “che i comunisti non sono democratici,  fanno votare solo per liste prescritte, e inoltre non consentono la proprietà privata, un povero cristo non può possedere nemmeno la casa in cui abita…”. Per non parlare poi delle storie trucide di bambini cucinati a fuoco lento… Poi il comunismo cadde. Finalmente tutti liberi e padroni della propria esistenza? Macché, macché… dopo qualche anno di sesso droga e rock and roll ecco che la democrazia occidentale mostra la sua vera faccia.
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Le  tassazioni aumentano, la burocrazia strozza ogni attività, le  elezioni libere con le preferenze sono abolite, si vota solo per i partiti con liste bloccate, anzi non si vota  più manco alle province… Ed ora il governo Conte prima di cadere vuole far passare una legge per la diminuzione dei parlamentari. Un manipolo di nominati agli ordini dei caporioni.  Mentre già da tre o quattro legislature è stato  eliminato il proporzionale, con la scusa della “governabilità” e si concede il premio di maggioranza consentendo ad una minoranza, anch’essa prestabilita,  di governare senza opposizione alcuna. Per non parlare poi della proprietà. Questa parola resta solo nel vocabolario ma di fatto  è abolita (almeno per i singoli, continua ad esistere solo per le banche e le multinazionali).  I risparmi custoditi in banca possono essere sequestrati in qualsiasi momento senza avviso alcuno,  tutti i servizi sono a pagamento, le pensioni per i lavoratori scompaiono, il lavoro è “liberalizzato” (ovvero reso precario e sottopagato)… ecc.
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Ma in questi momenti di perdurante  “crisi” il governo,  qualsiasi esso sia o sarà, per mantenersi al potere  ha bisogno di ulteriori tassazioni  necessarie  a soddisfare altri interessi, partitici o di altro genere sotto-governativo. Da qui l’idea di aprire le porte ad una nuova categoria di burocrati:  gli inventori/estensori di nuove tasse.
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Ed i risultati già si vedono. E’ stato scoperto un nuovo filone lasciato sinora vuoto.  Considerando che tutti i beni tassabili: acqua, cibo, carburanti,  etc. sono già abbondantemente gravati da imposte dirette ed indirette,  l’unico  bene tassabile “libero” resta l’aria. Si prevede quindi che il presente  governo (o quello che seguirà)  provvederà definitivamente  ad ottemperare a questa carenza strutturale.
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Allo studio del futuro Governissimo un “ariometro” per calcolare il costo di ogni respiro da imporre ai cittadini italiani. Ovviamente sono già pronte misure coercitive di pagamento e per i morosi  è prevista l’ammenda finale eufemisticamente chiamata “ultimo respiro”. Gli evasori sono quindi avvisati!
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Paolo D’Arpini

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Articolo collegato: 
Diventa reato anche l’evasione fiscale per necessità, quella non solo di chi non vuole, ma anche di chi non può pagare le tasse.
«Carcere per i grandi evasori» è il motto dell’Esecutivo. Peccato, però, che la misura venga estesa anche ai piccoli. Con il nuovo decreto fiscale che il Governo sta per approvare, si abbassano difatti le soglie dell’evasione fiscale oltre le quali scatta il reato. A risponderne saranno non solo quelli che non vogliono pagare ma anche quelli che non possono.

In sostanza chi, in un solo anno, avrà accumulato 100mila euro di debiti col fisco sarà punito con non meno di quattro anni di galera (per arrivare a un massimo di otto).

Il punto è che, come dimostrano numerose pronunce della Cassazione, un imprenditore con un modesto volume d’affari raggiunge facilmente la soglia dei 100mila euro, specie quando c’è da pagare lo stipendio ai dipendenti. E non sono stati pochi, in passato, i casi di contribuenti che hanno tentato invano di giustificare il mancato pagamento delle tasse con la crisi economica, il calo dei fatturati, l’arrivo della rivoluzione tecnologica. Niente da fare: per la giurisprudenza, la difficoltà deve essere “oggettiva” e non legata a una semplice congiuntura economica.

L’evasione fiscale, ad oggi, è punita come semplice illecito amministrativo se si tratta di “piccola evasione”. In pratica, l’unica conseguenza è la famigerata cartella esattoriale. Oltre una certa soglia – variabile a seconda della gravità del comportamento commesso dal contribuente – si subisce, invece, un procedimento penale. Ebbene, questa soglia sta per essere abbassata per alcune figure delittuose.
La maggioranza ha trovato l’intesa sul decreto fiscale 2020 a una settimana dal via libera, salvo intese: l’accordo viene raggiunto durante un vertice durato oltre due ore e mezza.

Scatta così il carcere, da un minimo di quattro a un massimo di otto anni per chi evade le imposte per più di 100mila euro (attualmente le pene vanno da un anno e mezzo a sei anni). Ma il giro di vite contro i grandi evasori entrerà in vigore soltanto dopo che il Parlamento avrà convertito il decreto in legge, in modo da consentire alle Camere di approfondirne gli effetti.
Ritorna quindi il carcere per chi non può pagare le tasse.

Dal punto di vista delle modifiche delle soglie di punibilità, per cui sarà più facile per tutti commettere un reato tributario, vanno segnalati i seguenti ritocchi:
• il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate scende da 150mila a soli 50mila euro;
• il reato di dichiarazione infedele passa da 150mila a 100mila euro;
• il reato di omesso versamento dell’Iva scende da 250mila a 100mila euro.

Pene esemplari per chi evade.
Arrivano le pene esemplari. Dalla confisca per equivalente dei beni degli evasori si passa alla confisca per sproporzione: lo Stato potrà cioè espropriare un valore di beni superiore a quelli ottenuti come profitto del reato.

Il tutto in una logica massimamente punitiva.

Viene così utilizzata una misura applicata ai mafiosi anche agli evasori fiscali. Essa scatterà sui beni dei quali il condannato non può giustificare la legittima provenienza e di cui risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore non adeguato al proprio reddito.

La lotta ai contanti, dall’altro lato, subisce uno slittamento di sei mesi: il tetto all’uso del cash passa, a partire dal 1° luglio, da 3mila euro a 2mila per poi scendere a mille euro a partire dal 1° gennaio 2022.

Rinviate anche all’estate le sanzioni per i commercianti che non si doteranno di Pos.

Per incentivare i pagamenti tracciabili è pronto anche il cosiddetto Bonus Befana: in pratica lo Stato rimborserà il 19% delle spese fatte con strumenti di pagamento tracciabili (carte e bancomat) a partire da luglio 2020: il tutto con una nuova piattaforma online.
 


Commento di Orazio Fergnani: "Questa legge è l'apoteosi dell'ingiustizia, demenziale e criminale capacità intellettuale e comportamentale. 

martedì 22 ottobre 2019

Siria: come andrà a finire? Cosmesi e controcosmesi mediatica


Quello cui puntano tutti questi aggiustatori della verità nell’apparato mediatico e diritto-umanista, che l’imperialismo s’è costruito per sostenere le sue operazioni, è di farci spettatori di un teatrino dei burattini dietro al quale occultare la realtà di un’intera regione del mondo insanguinata e fatta a pezzi. Il crimine non è più il tentato sbranamento di un paese sovrano, Siria, Libia, Iraq, Afghanistan tra gli altri, con l’assassinio e la dispersione dei loro popoli, bensì l’attacco turco ai curdi. Non più i bombardamenti di massa e l’invasione di bruti psicopatici raccattati tra la feccia di mezzo mondo, bensì il ritiro degli invasori dal luogo del loro delitto. Non più la pulizia etnica inflitta dai curdi agli arabi della Siria e la balcanizzazione di quella nazione, ma la pulizia etnica che subirebbero i curdi nei territori da loro invasi. E sono i curdi ad aver debellato il tumore Isis, quando agli Usa conveniva sostituire il proprio mercenariato sputtanato con uno ammantato di ecofemminismo, mica, da otto anni su mille fronti, un popolo eroico in armi dagli oltre centomila caduti.

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Come ora andrà a finire ce lo dicono gli apodittici depositari di certezze annidati nel Ministero della Verità. E’ vero che finora hanno vinto il popolo di Assad con i suoi alleati e tutti gli altri, carnefici e mercenari, hanno dovuto rinunciare agli obiettivi posti, restando solo appesi alla rete lacerata delle loro menzogne. Ma restano da togliere di mezzo il bubbone tumorale di Al Tanf, base Usa zeppa di jihadisti e la massa di terroristi Al Qaida e Isis ammassati dai turchi a Idlib. E c’è da far saltare l’indecente accordo Usa-Russia-Turchia sulla “fascia di sicurezza” di 32 km per 440, con cui Erdogan si vuole assicurare un pezzo dei più ricchi della Siria. Lasciando i curdi al di là, ma sempre su suolo arabo siriano. E restano da neutralizzare i furori mai spenti del groviglio bellicista Usa, quello detto Stato Profondo militar-industriale, dei neocon, clintoniani, Democratici, con i loro corvi mediatici (scuse ai corvi), che qui si fanno passare per giornalisti e, addirittura, per giornalisti comunisti.


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sabato 19 ottobre 2019

Dominazione politica, sociale e finanziaria - "Chi comanda?"


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Nel magma di confusione, fuorviamento, mistificazione (magma interessato e indotto, ma in cui gli stessi mistificatori sono a loro volta mistificati) che compone la “maniera di pensare” (pensare per modo di dire: pensare è qualcosa di arduo e raro), estensiva e intensiva, che permea tutti i “gradi” e livelli della popolazione, c’è un primo “elemento” che si può individuare e che si trova fra i “critici” del nostro presente.

Ecco, è la ricerca di “centri”, più o meno segreti o più o meno mascherati, ma iper-potenti, i cui piani, operazioni, complotti, etc., sono “a monte e a valle” di “ciò che non va”: per esempio, le centrali del grande capitale transnazionale e della grande finanza, intrecciati fra loro (tipo Bilderberg, Trilateral, Gruppo dei Trenta, ma anche la Goldman Sachs, i Rothschild, i Rockefeller, etc.) e pervadenti «organismi» internazionali, Ue, Stati, servizi segreti, etc., nonché  altrettanto pervasive “sette” oscure (centrali massoniche, “illuminati”, etc.) dagli ancora più oscuri, ma tremendi ed efficaci disegni.

Si badi bene: non è, certo, che tali “centri” non esistano e non svolgano le loro “iniziative”. Ma l’errore (fuorviante) è credere, e far credere, che qui stia la causa - ultima e prima - di “ciò che non va”. E così si elimina e/o si “mette da parte” la sostanza: tali centri elitari: i loro disegni esistono e tali “centri” operano perché possono esistere e possono operare, e lo possono perché il modo di produzione dell’economia politica (il capitalismo) si basa sull’accentramento della proprietà-possesso-controllo dei mezzi di produzione (dalla produzione alla circolazione, fino alla forma di realizzazione-accumulazione del valore nel denaro) in mano di “pochi”, “pochissimi” (con espropriazione degli altri, i moltissimi, tutti i restanti) e sull’accentramento (interconnesso) della gestione del potere statale, con interrelata posizione dominante nella società (e con dominio dei media). 

Vale a dire che l’oligarchia (il potere dei pochi) è organica al modo di produzione (inteso in senso specifico e complessivo, su tutti i piani) vigente e globalizzato, e che tende alla totalità. E il suo dispiegamento porta all’ancora maggiore concentrazione dell’oligarchia nelle sue frazioni e fazioni, e ancora sopra in questi “centri”, e pone la possibilità, che si traduce in realtà, delle loro operazioni - volte a imporre i loro piani e disegni, che servono a mantenere le condizioni esistenti e a dispiegarle ulteriormente, secondo, appunto, la loro tendenza alla totalità.

Dunque, la causa risiede nello «stato di cose presente» e nel suo dispiegamento, e i vari “centri” sono componenti del suo dispiegamento e comando. “I conti” vanno perciò “fatti” con la realtà esistente - che, perciò, va compresa nella sua sostanza ed essenza - e quindi anche con tali “centri” operativi - che, però, vanno situati nelle loro funzioni nella realtà esistente. Invece, vedere “centri” e “sette” come la causa, non solo esime da tale comprensione, ma di più: l’occulta - di conseguenza limita le capacità cognitive e, in fondo e infine, rende inefficaci (o, a loro volta, strumentalizzabili e integrabili) le stesse “critiche” e possibili iniziative contrarie.

Mario Monforte

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Integrazione-commento di Fulvio Grimaldi:

"Chi comanda in Bilderberg o nella Trilateral, o nell’Aspen, o nel Council of Foreign Relations, o nell’Intelligence, o nel Pentagono? E’ un vecchio difetto di tutti, assorbito dalla sinistra quando si è scordata delle classi, di darsi un’idea del nemico semplificandola nella personalizzazione. Il presidente degli Stati Uniti “uomo più potente del mondo”, la Thatcher che ha cambiato il corso della storia capitalista e seppellito il welfare, la differenza tra un Salvini, un Conte, un Napolitano, un Moro al potere? Sfumature, attribuibili a esecutori di un colore o dell’altro.  Forse solo nei paesi del socialismo reale c’è stata una relativa preponderanza delle istituzioni statali, o partitiche, sul potere economico. Potrebbe sembrare così anche nei paesi a regime autocratico, ma di solito è apparenza, anche se li il rapporto di forze è più equilibrato e non si riduce a mandante ed esecutore. Non scambiamo il carisma di un leader, tipo Kennedy o Lula, Merkel o Renzi, Assad o lo stesso Trump, come espressione della loro autonomia. Senza avere alle spalle, e quindi in condizione di a condizionarli, un interesse sociale e perciò economico egemone nella comunità, non si reggerebbero..."

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venerdì 18 ottobre 2019

La Russia, gli USA, la Turchia, i Curdi, la Cina... e la danza kabuki. Ovvero il cinismo del politically correct


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Se posso dire la mia, stiamo assistendo all'ennesima danza kabuki tra potenze dove alcune comparse devono lasciarci veramente la pelle perché la rappresentazione sia considerata verosimile.

Fermo restando che tutto ha avuto inizio con l'aggressione statunitense al Medio Oriente e al Nord Africa, pianificata a tavolino già nel 2001 per mere ragioni geopolitiche (dove i concetti di "democrazia", "giustizia", "difesa dei popoli" e altri bei termini sono totalmente sconosciuti e non utilizzati), ferma restando cioè la pesantissima responsabilità statunitense, io sono convinto che tutti fossero al corrente in anticipo del "ritiro" degli USA dal Nordest della Siria (ma non da al-Tanf ai confini con la Giordania) e della conseguente "aggressione" turca.

E quando dico "tutti" intendo: Russia, Iran, Turchia, Usa, Israele, Francia (che là ha militari e basi) e Siria (immagino che anche Londra sia stata informata).

Credo che il "Trump collettivo" con questa mossa (che segue il licenziamento di Bolton e il riacuirsi delle lotte intestine a Washington, il cui baricentro adesso si è spostato in Ucraina) voglia rinegoziare la sua posizione in quella parte del mondo (vie della seta comprese) dal quale gli USA rischiavano di essere esclusi (a meno di tentare la carta di una guerra mondiale per mantenere soggetto tutto il resto del mondo, possibilità contemplata dagli psicopatici clintonoidi, cioè neo-liberal-cons).

Mi ci sono dannato un bel po' per cercare di capire la mossa trumpiana, ma adesso credo proprio che il "ritiro" USA abbia solo questa lettura, cioè una lettura politico-strategica e non militare.

Si è detto invece che così gli USA si possono concentrare sul contenimento della Cina.
Ma per far questo gli USA avevano proprio bisogno di ritirare un contingente di mille uomini dal Nordest della Siria? Sono proprio così alla frutta? Mille uomini su un esercito che ne conta mezzo milione?

Si è detto che così Washington ha dato il via libera allo smembramento della Siria da parte della Turchia. Ma perché, visto che coi curdi era già riuscito a smembrarla mentre adesso l'Esercito Arabo Siriano è ritornato a Kobane, ad al-Raqqa, a Mambij e in vastissime aree del Nordest?
E' stato detto che Trump sia voluto venire incontro alle preoccupazioni di Ankara, allarmato dalle sue liaisons con Mosca.

Ma non bastava "convincere" i suoi tirapiedi curdi (intendo i capi che Washington si è comprata - ricordatevi che i curdi inizialmente non ne volevano sapere di "liberare" al-Raqqa, che è una città araba, tanto per dirne una, poi sono stati "convinti"), non bastava "convincerli", dicevo, a ritirarsi dalla zona cuscinetto voluta da Ankara?

E perché mentre si ritiravano dal Nordest gli USA hanno pensato bene di bombardare gli "oppositori democratici" a Idlib (in realtà terroristi di al-Qaida e gli USA lo sanno benissimo, ma i nostri sinistri pare di no dato che ripetono a macchinetta la narrazione dei clintonoidi)? Perché lo hanno fatto?

Gli USA hanno "tradito" i curdi? Ma tutti sanno che i dirigenti curdi siriani tenevano i piedi in tre staffe: USA, Russia e Siria (l'YPG e l'Esercito Arabo Siriano di fatto non si sono mai tirati addosso nemmeno una schioppettata). Adesso gliene rimangono due, non sono "abbandonati a loro stessi".

Israele afferma che adesso è disperato perché il cosiddetto "asse sciita" dall'Iran al Mediterraneo ha il via libera?

Intanto c'è da vedere se la strada è stata veramente aperta, e con la base americana - illegale - di al-Tanf ancora in funzione (e zeppa di capi e manovalanza ISIS) Washington può ancora dettare condizioni, e poi ... e poi che sta succedendo?

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Tra poco verrà firmato un trattato di libero scambio tra Russia e Iran e a ruota un trattato simile tra Russia e Israele. Capite che cosa significa?

Capite cosa vogliono dire gli sguardi interessati di Israele e Arabia Saudita all'Organizzazione di Shanghai dove gli ospiti di casa sono Pechino e Mosca e gli invitati con posto a tavola sono il Pakistan, l'India e gli "stan" ex sovietici, gli aspiranti membri sono il Barhein e il Qatar, gli osservatori ammessi sono l'Iran, l'Afghanistan, la Bielorussia e la Mongolia, gli aspiranti osservatori sono l'Egitto, la Siria, i dialoganti ufficiali sono l'Armenia, l'Azerbaijan, la Cambogia e il Nepal e gli aspiranti dialoganti sono, guarda un po' chi si rivede, Israele e l'Arabia Saudita (che stanno saltando le tappe), l'Ucraina e l'Iraq?

Putin è appena andato a visitare l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Il Qatar già lo tiene buono da un pezzo con l'affare del colosso petrolifero russo Rosneft.

This is the picture.

Quando gli Huthi dallo Yemen hanno bombardato le raffinerie saudite, gli USA hanno sbraitato, hanno accusato l'Iran, hanno minacciato sfracelli ma Putin ridendo di gusto ha fatto sapere - dal vertice con Erdoğan e Rohani! - che se i Sauditi lo desideravano la Russia gli avrebbe venduto gli avanzatissimi sistemi antiaerei S-400. E anche il presidente iraniano si è messo a ridere. Non ha detto a Putin: "Ma stai scherzando? A quei cani dei Saud che ci vorrebbero fare a pezzi?". No. Si è messo a ridere.

Così, ormai sbarazzatosi di Bolton, Trump ha dichiarato che era disposto a ritornare al tavolo del negoziato con Teheran.

This is the picture.

Insomma, anche se non è vero che “il ciel s'abbella”, tuttavia “tutto cangia”, come si canta alla fine del Guglielmo Tell di Rossini.

E' la crisi sistemica, bellezza. E' il caos sistemico. Un caos cinico.

Ma mentre tutti gli attori stanno seguendo la coreografia di questa (macabra) danza kabuki - io ti sparo da lì e io ti contro sparo da qui, io attacco di là e io contrattacco di qua - le anime belle sono ancora lì a gingillarsi con la "Turchia cattiva" versus i "Curdi buoni". Le anime belle nel loro ardente desiderio di essere pure e buone e di scovare a tutti i costi da qualche parte un attore statale o sub-statale puro e buono si suggeriscono così da sole come vittime dell'ipnotismo della propaganda dei cinici e, ciò che è peggio, come megafoni della propaganda dei cinici.

In un caos sistemico gli attori principali sono entità statali e sub-statali. E non esistono entità statali e sub-statali “buone” o “giuste”. Il popolo curdo è innocente come tutti i popoli. Le loro entità sub-statali no, come non lo è nessuna entità di quel tipo.

Le entità statali, per questioni storico-geografiche e per gli interessi che le muovono, possono essere, secondo le circostanze, aggressive o difensive. Per non far nomi, oggi gli USA sono aggressivi e guerrafondai mentre l'interesse della Russia e della Cina è difendersi, evitare la guerra e cercare di mettere ordine nel caos generato dall'Impero.

Questo è il dato di fatto oggi. Poi ognuno di noi fa le proprie scelte e ammanta coi panni che vuole le proprie simpatie.

I popoli sono innocenti ma noi, dopo i gingillamenti e i sogni, non riusciamo a trovare il modo di farli entrare “in the picture”. Non sappiamo più nemmeno se ci sono delle classi o come sono composte. Oggi il massimo di elaborazione - e non sto ironizzando - confonde gli interessi di classe con quelli dell'entità statale che la contiene. Il minimo di elaborazione ritiene invece che le entità statali nemmeno esistano o debbano essere prese in considerazione, cosa che è ancora peggio. Un antisovranismo assurdo e/o amico del giaguaro contro un debole e antistorico sovranismo.

Non sappiamo come far rientrare i popoli (e le classi) in the picture.

Ma guai a identificarli coi loro governanti. E guai a scambiare i governanti coi popoli che essi governano.

Sono stato duramente criticato, per non dire disprezzato, perché non mi adeguo alla narrazione sinistrorsa dei “Curdi buoni e giusti”. Critiche che sono venute anche da persone con le quali ho condiviso decisivi percorsi politici. Decenni fa.

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Me ne dispiace. Tuttavia sono problemi loro, non miei.
Per quanto mi riguarda, io sono andato a una bella sfilza di manifestazioni dietro al faccione di Öcalan. Sono andato a una manifestazione curda persino a Istanbul, finché la polizia turca mi ha gentilmente detto di sloggiare perché aveva intenzione di caricare. Quando l'ISIS è stato respinto da Kobanê sono stato uno dei pochissimi italiani che è andato a danzare coi curdi attorno al falò nella festa che avevano organizzato a Roma (eravamo forse una decina di italiani – quelli bravi con le chiacchiere e il distintivo sono molti di più!).

Ho fatto questo e l'ho fatto perché lo ritenevo giusto. Ma, per favore, non chiedetemi di far mia la narrazione dei cinici per far finta di essere un'anima bella ed essere riammesso tra la “gente civile”. Questo non lo farò.

E adesso che le anime belle mi disprezzino pure.

(Piotr)

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giovedì 17 ottobre 2019

Palestina. Se la legalità si fa strumento d'oppressione


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“La legalità quale strumento dell’apartheid”.  Il titolo dell’argomento a me assegnato è manifestamente paradossale, provocatorio, ermetico. L’ apartheid è un crimine contro l’umanità secondo la Convenzione internazionale del 1976 e l’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. La legalità non può essere al servizio del crimine e suo strumento. Una legge o una sentenza sì: la sentenza si adegua alla legge e la legge nazionale non si adegua al diritto internazionale. Si crea così quella figura che, con un ossimoro, potremmo definire “crimine legale”. In epoca di sovranismo e di populismo giuridico e politico Israele ha gioco facile e c’è da chiedersi se non abbia avuto un ruolo decisivo nella degenerazione della complessiva situazione politica e giuridica. La domanda è retorica perché io credo, e non sono il solo, che certamente ha avuto un ruolo rilevante.

Procediamo schematicamente anche per rispettare il tempo concesso.
1°): lo Stato ebraico di Israele, così autodefinitosi sia nella dichiarazione di nascita nel 1948 sia nella legge del luglio 2018 (14ª Basic Law), persegue un progetto definito “genocidio incrementale” (Ilan Pappe) o anche “colonialismo di insediamento”, quella forma, cioè, di colonialismo che prevede non solo l’accaparramento delle terre e delle risorse di un popolo ma anche l’espulsione dei nativi. Questo progetto può essere definito criminale in senso tecnico giuridico perché viola tutti i principi basilari del diritto umanitario internazionale, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Convenzioni di Ginevra, pacificamente applicabili in Israele e nei Territori occupati come ribadito dall’Onu e dai Paesi firmatari.
2°): se il fine è criminale inevitabilmente anche i mezzi non possono non esserlo. Israele è responsabile di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. È stato accertato in molte sedi ed occasioni: rapporti Ziegler, Falck/Tilley, Goldstone, Human Rights Watch, Consiglio dei diritti umani, B’Tselem, Tribunale Russell etc.
3°): per questi crimini Israele è rimasto sempre impunito: se è intervenuta qualche condanna (da ultimo il Consiglio di sicurezza ONU con la risoluzione 2334 del dicembre 2016), mai è seguita una sanzione. Eppure il meccanismo delle sanzioni è largamente operativo. Attualmente sono colpiti da sanzione solo ad opera della Unione europea 25 Stati; lo strumento più usato è l’embargo, per dissenso o rispetto alla politica interna di un Paese ( si pensi a quello storico nei confronti di Cuba) o rispetto alla politica internazionale (si pensi a quello nei confronti della Russia per le vicende Crimea ed Ucraina). Mai nulla nei confronti di Israele, anzi con lo Stato ebraico i rapporti sono sempre più stretti: quelli economici, quelli militari, quelli accademici.
4°) come è possibile questo? Due strade percorre lo Stato ebraico: tacitare/ criminalizzare il dissenso; rafforzare il consenso.

A questo fine Israele dispiega tutta la sua potenza: politica ( tramite il genero di Trump, Kushner, finanziatore delle colonie, i coloni sono fisicamente presenti nella Casa bianca, oltre che nel governo di Israele con Casa ebraica); militare (si pensi al ruolo svolto dalla aviazione israeliana in Siria, prima con modalità clandestine poi in modo dichiarato); economica, ma, soprattutto, mediatica. La mistificazione della realtà è indispensabile per rendere accettabili i propri crimini, ove possibile per negarli. La parola d’ordine è “difesa”: Haganà vuol dire difesa; IDF è l’esercito “difensivo”; il muro è una barriera difensiva; una strage di innocenti si chiama “Margine protettivo” e così via. Il capolavoro è stato realizzato con la guerra dei sei giorni nel 1967. Ci fu all’epoca un largo schieramento a sostegno di Israele e della sua guerra “difensiva”. Ho qui una pagina della rivista Epoca di quell’anno con le firme di quelli che sono definiti democratici italiani, in calce a un appello a sostegno di Israele; cito i più noti : Nanni Balestrini, Natalino Sapegno, Lattuada, Monicelli, Lizzani, Rosi, Buttitta, Calvino, De Sica, Fellini, Tranfaglia, Citati, Argan, Gillo Dorfles, Montale, Cassola, Afeltra, Natalia Aspesi, Mursia, Valiani, Bobbio, Nuto Revelli, Inge Feltrinelli, Biagi, Camilla Cederna, Sciascia, Mario Soldati, Bocca, Marco Ramat, l’Unione italiana della Resistenza e tanti altri. Tuttora la vulgata corrente vuole che quella sia stata una guerra difensiva per anticipare sui tempi un imminente attacco dei Paesi arabi benché tre generali che vi parteciparono ( Peled, Weizman e Bar-Lev) abbiano dichiarato nel 1972 la verità e cioè che non vi era alcuna minaccia araba. È stata una Nakba atto secondo. La terza Nakba è in corso, lenta ma progressiva, basta vedere le famose quattro cartine geografiche. A proposito di Nakba, vi ricordo l’operazione in corso che tende a distruggere dagli archivi tutti i documenti a riprova dei crimini commessi.
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Lo scorso anno, nella notte tra il 18 e il 19 luglio, è avvenuto un fatto importante: è stata approvata la legge sullo Stato nazione del popolo ebraico. Israele ha ritenuto maturi i tempi e favorevoli i rapporti di forza politici per uscire allo scoperto. Molto ha pesato l’elezione di Trump e l’affinità (intesa proprio come rapporto parentale) con i coloni tramite la conversione all’ebraismo di sua figlia e il conseguente matrimonio con Kushner. Non che Obama abbia mai fatto qualcosa contro Israele; ricordo che ha anche aumentato gli stanziamenti economici a suo favore ma quanto meno dimostrava di non avere in grande simpatia Netanyahu. Con un Trump che quattro giorni dopo la risoluzione 2334 definisce l’Onu “ un club dove le persone chiacchierano e si divertono” non c’è da stupirsi se la Basic law viola esplicitamente le risoluzioni Onu ( 181, 194,242,2334….) e il diritto internazionale. È il trionfo della sovranità nazionale sul diritto internazionale. Un crimine contro l’umanità come l’apartheid è legalizzato. Vari segnali avevano indicato che i tempi erano maturi: dal 30 marzo era in corso il cecchinaggio sulla Grande marcia del ritorno a Gaza senza alcuna reazione internazionale se non un timido accenno ad un uso sproporzionato della forza; il 14 maggio Trump aveva spostato l’ambasciata USA a Gerusalemme contro il voto ONU del dicembre 2017. In sede giudiziaria da tempo, almeno dal 2013, si erano poste le basi con due sentenze dell’Alta corte: nel caso Uzzi Ornan si afferma che “il concetto che l’ebraismo non è solo religioso ma anche un’appartenenza nazionale è elemento fondamentale del sionismo”; nel caso dei beduini del Negev si dichiara legittimo il loro sradicamento per fare posto a insediamenti di “coloni ebrei etnicamente puri”. Parole che ci fanno rabbrividire riportandoci ad altra epoca. Tutto questo con buona pace di Shlomo Sand che nega l’esistenza stessa di un popolo ebraico; qui, invece, si parla addirittura di nazione ed etnia.

Cosa dice la legge?
- Israele è lo Stato nazione del popolo ebraico e il diritto di esercitare l’autodeterminazione è riservato esclusivamente al popolo ebraico. Israele quindi si autodefinisce uno Stato etnico razziale.
-L’articolo 3 dice che Gerusalemme integra ed unita è la capitale dello Stato, con buona pace dello status internazionale di Gerusalemme o della doppia destinazione ( Est e Ovest) a capitale dei due Stati.
-L’articolo 4 dice che la lingua araba non è più lingua ufficiale al pari dell’ebraico. È così declassata una lingua che da millenni risuona in quella terra.
-L’articolo 7 dice che lo sviluppo di insediamenti ebraici è un valore nazionale e Israele lo incoraggia e promuove. La conquista territoriale con la forza è dichiarata legittima, anzi un valore da promuovere. Il discrimine tra cittadini è dato dall’essere ebreo o no. Diverse le parole nel 1948 per essere accettato dall’Onu: libertà, giustizia, pace, uguaglianza di diritti sociali e politici senza distinzione di religione, razza o sesso, fedeltà ai principi della carta delle Nazioni Unite. Settant’anni dopo tutto è ribaltato, anche per iscritto. Gideon Levy ha scritto che con la legge è venuta meno l’ultima differenza dal Sudafrica dove l’apartheid era legalizzata. Non sono del tutto d’accordo con Levy: in Sudafrica la separatezza tra bianchi e neri era minuziosamente regolamentata. In Israele la separatezza tra ebrei e non ebrei no, almeno non ancora, anche perché il progetto sionista prevede, come detto, l’espulsione dei nativi, diversamente dal Sudafrica dove la manodopera nera era necessaria.
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Se è vero che i tempi per una siffatta legge erano maturi grazie ai rapporti di forza politici è pur vero che la fase era favorevole anche dal punto di vista giuridico. Il deterioramento dei nobili principi postbellici e del diritto internazionale nel suo complesso si era realizzato dagli anni ‘90. L’ultima guerra “legale” è stata la prima guerra del Golfo. Sono poi subentrati gli ossimori stravolgenti la realtà: guerra umanitaria, operazione di peacekeeping, esportazione di democrazia. L’ONU ha perso ruolo ed autorevolezza sì da giustificare la sarcastica definizione di Trump. L’impunità di Israele non è certo estranea a questo percorso ma non è il solo motivo. È la realtà di un mondo giuridico sovranazionale che viene contestata. Nel dicembre 2018 si è tenuto un convegno a Milano che è passato un po’ in sordina: vi hanno partecipato 25 illustri docenti universitari che il Corriere della Sera ha definito nel suo titolo “i professori dell’internazionale sovranista”. L’articolo riporta i contenuti del convegno e si leggono affermazioni virgolettate tipo: “il 20° secolo si è chiuso con la grande questione della libertà; il 21° si apre nel segno della sovranità”; “l’internazionalismo indebolisce gli Stati”. Si è giunti a criticare la Corte europea dei diritti dell’uomo per la sua incidenza sulla sovranità statale. Inutile dire che tra i relatori c’era anche tale Mordechai Kedar di Tel Aviv.
Se per il diritto internazionale si può parlare di “tentativo di smantellamento in corso”( si veda il libro di Robert Charvin, CETIM) per il diritto nel suo complesso si può parlare di tentativo di stravolgimento di ruolo e funzione. Nell’ultimo decennio sono stati coniati termini nuovi: lawfare, populismo penale, diritto propagandistico e simbolico. Pensiamo alla deriva dell’obbligo di soccorso in mare, uno dei più antichi doveri facente parte del diritto consuetudinario non scritto: è diventato in tempi recenti un diritto, quindi esercitabile o meno, poi un crimine. Così abbiamo una omissione di soccorso stradale che è reato ed invece in mare è il soccorso ad essere reato. Su questo tema Luigi Ferraioli ha scritto: “Prima la violazione dei diritti umani era occultata, ora è sbandierata come fonte di consenso. È populismo penale: uso demagogico e congiunturale del diritto penale per alimentare la paura”. Quindi, aggiungo io, per perseguire finalità politiche. Stessa finalità del diritto penale simbolico e propagandistico: acquisire consenso con norme ad effetto promozionale, vere e proprie norme spot. Passaggio obbligato di queste norme è naturalmente l’aumento delle pene per soddisfare la crescente voglia di forca che si è voluto diffondere.

Ancora più attinente al tema che ci occupa è il concetto di lawfare. Il termine può essere tradotto in vari modi: abuso della legge per raggiungere fini militari e politici; l’uso del diritto come arma di guerra.

In quel bel libro che è “Il diritto umano di dominare” di Nicola Perugini e Neve Gordon, edizioni Nottetempo, gli autori ricordano che un rapporto del 2010 del ministero degli affari esteri israeliano denuncia “la strategia per delegittimare Israele tramite cornici legali e sfruttando forum giuridici.. .. La guerra giuridica è la continuazione dell’attività terroristica con altri mezzi”. Non a caso l’adesione della Palestina alla Corte penale internazionale è stata vista come un atto di guerra ed altrettanto la denuncia contro i crimini di Israele presentata e tuttora pendente davanti alla Procura di quella Corte.

Proprio coloro come Israele che attaccano il diritto però poi vi fanno ricorso. Non c’è contraddizione perché loro sì fanno ricorso alla legge per finalità politiche e propagandistiche. Ne sono esempi il disegno di legge anti BDS, la legge con l’aggravante Shoah e, sul fronte non legislativo ma della mera propaganda, l’inserimento di Bartali tra i Giusti tra le nazioni e la medaglia d’oro conferita alla brigata ebraica. Partiamo da queste due operazioni di mera propaganda. L’operazione Bartali e Giro d’Italia (ricordate le tre tappe israeliane?) sono uno splendido esempio di manipolazione storica a fini propagandistici. L’esistenza di prove certe sull’attività a favore degli ebrei da parte di Bartali è stata contestata anche da autorevoli personalità ebraiche: è stato reso pubblico il contrasto sul tema tra Michele Sarfatti (che è stato dal 2002 al 2016 direttore del CDEC, Centro di documentazione ebraica contemporanea), e Sergio Della Pergola, membro della commissione per i Giusti tra le nazioni (non nel caso di Bartali). Bartali però era indispensabile per giustificare le tappe israeliane. 12 milioni di euro sono stati versati a RCS dal governo di Israele e da uno sponsor ebreo ma sono stati ben spesi se l’8 maggio, pochi giorni prima del 70º della nascita dello Stato e dello spostamento dell’ambasciata USA, il Corriere della Sera può titolare: “Grazie al Giro d’Italia 1 miliardo di persone ha visto un’altra Israele”.

Meno clamorosa l’operazione brigata ebraica ma ugualmente significativa. In estrema sintesi: la brigata ebraica è inquadrata nella ottava armata britannica nel settembre 1944 ma è operativa solo a marzo/aprile 1945. Partecipa a qualche combattimento in zona Ravenna. Ben poca cosa rispetto ai moltissimi ebrei (1000 ebbero il certificato di partigiano combattente) che hanno combattuto dal 1942 nel Palestine Regiment insieme ai palestinesi (12.446 complessivamente i palestinesi). Altri ebrei hanno combattuto nelle formazioni partigiane, prevalentemente quelle di Giustizia e libertà, altri sono stati comandanti militari della Resistenza a Parigi. La brigata ebraica nasce, invece, già come operazione di propaganda. Nonostante la sua ridotta attività militare nel 2018 ( la legge è del 2017) addirittura le viene conferita la medaglia d’oro al valore militare. Perché? perché dal 2004 il 25 aprile a Milano le bandiere israeliane sfilavano nel corteo cittadino con il pretesto del ricordo della brigata. Da subito questa presenza è stata oggetto di contestazione. Gli “Amici di Israele” promotori della iniziativa motivavano così: “è importante spiegare agli italiani che il sionismo è un ideale alto, nobile, giusto”. Per meglio contrastare i contestatori si è giunti al conferimento della medaglia. Così come non si è troppo indagato su Bartali, così non si va per il sottile per la brigata e pur di concedere la medaglia si deroga al codice di ordinamento militare. Tutti sono d’accordo trasversalmente come sempre avviene con Israele e tra i firmatari troviamo destra e sinistra: Quartapelle, Fiano, Cicchitto, Scotto.

Ma veniamo alle vere e proprie leggi. Una, quella che ho definito sinteticamente “aggravante Shoah”, ha una finalità prevalentemente propagandistica. L’altra, il disegno di legge anti BDS , unisce alla finalità propagandistica quella repressiva. La legge numero 115 del giugno 2016 sul negazionismo e sulla istigazione all’odio razziale prevede un aumento di pena rispetto all’articolo 3 della legge 654 del ‘75 e alla legge Mancino quando la negazione o l’istigazione all’odio riguardano la Shoah. È fatto espressamente il nome “Shoah” così come, vedremo, si farà il nome “BDS” nel disegno di legge relativo. In termini tecnico giuridici è da denunciare la palese violazione di un principio fondamentale: quello di astrattezza della norma; la norma giuridica non deve fare riferimento a uno specifico evento. Ma c’è di più: l’aggravante fa già riferimento al reato di genocidio ed è indubbio che la Shoah sia stato un genocidio. Perché quindi citare il nome del genocidio ebraico? Sia giuristi ( ad esempio Giuseppe Puglisi, ma anche l’Unione delle camere penali italiane) sia storici hanno denunciato che è una norma accentratrice di consensi, in altri termini una norma propagandistica, una norma spot.

Discorso analogo, ma con implicazioni più gravi, può essere fatto per il disegno di legge anti BDS. Pende in Senato dall’agosto 2015, ne sono firmatari 10 senatori, otto di destra, due del PD. Quasi tutti i firmatari sono giuristi tranne due qualificati nei loro profili come imprenditore uno e agricoltore l’altro (questi due hanno perlomeno l’attenuante dell’ignoranza giuridica, probabilmente). La relazione alla legge inizia con queste parole: “Il movimento BDS….”. È quindi una legge “ad movimentum”, con buona pace delle care vecchie leggi ad personam di berlusconiana memoria. Nella relazione si parla di retorica antisionista e antisemita senza distinzione tra i due termini, riprendendo lo sdoganamento della equiparazione di Napolitano e anticipando la sconcia campagna di questi ultimi tempi. Si parla anche di “Stato ebraico” anticipando la Basic law della Knesset. Il titolo della legge è “Norme contro le discriminazioni” ma tende a tutelare uno Stato discriminatorio. Rispetto alla propaganda del boicottaggio la relazione ricorda quella odiosa fascista e nazista (“non comprate dagli ebrei”) ma si guarda bene dal ricordare quella contro il razzismo sudafricano o contro i boicottatori dei neri in USA. Particolarmente gravi e pericolose nella legge sono le presunzioni “ juris et de jure”, cioè la previsione di quei comportamenti che integrano il reato senza possibilità di prova contraria. Sono punite singole condotte ma anche la mera partecipazione ad associazioni, gruppi o movimenti. Particolarmente pericoloso il riferimento al concetto di ”movimento” estremamente generico rispetto a fattispecie più facili da inquadrare e definire, come ad esempio la banda armata o l’associazione eversiva. Le pene previste giungono sino a sei anni per i dirigenti.

Si criminalizza così uno strumento tra i più pacifici mai ideati. Vi è peròi la cosiddetta riserva Onu nel senso che il boicottaggio ( embargo, sanzioni….) può essere deliberato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Significativo che non abbia analogo potere l’Assemblea generale (probabilmente i relatori si sono ricordati della famosa definizione di sionismo come forma di razzismo adottata dalla Assemblea generale nel 1975). Il boicottaggio che non è ammesso, anzi è un crimine, è quello di iniziativa popolare.
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Veniamo all’ultimo argomento: la distinzione tra antisionismo e antisemitismo. Sul sionismo, si è detto, ci sono pareri opposti: valore alto nobile e giusto per gli Amici di Israele; genocidio incrementale, progetto a vocazione genocidiaria, colonialismo di insediamento, insomma crimine contro l’umanità per altri. Vorrei ricordare anche la definizione di Tolstoj che risale al 1905, quindi a cavallo tra il congresso di Basilea e la dichiarazione Balfour: ” il sionismo è la negazione di tutto quello che abbiamo di sacro nella vita”. Chi come me condivide questa seconda interpretazione vede nell’antisionismo una pratica doverosa in difesa della legalità e della umanità. L’antisemitismo, invece, non è altro che una forma di razzismo, quindi da condannare e combattere. Distinguere tra antisionismo e antisemitismo è in realtà molto facile. Equiparare i due termini è il top della mistificazione. Perché è facile? Perché dell’antisemitismo abbiamo anche una definizione ufficiale coniata dall’IHRA (Alleanza internazionale per la memoria dell’olocausto) il 26 maggio 2016 a Bucarest: “ L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio verso gli ebrei. Manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette verso individui ebrei e non ebrei e/o ai loro beni, contro le istituzioni comunitarie ebraiche e altri edifici ad uso religioso”. Segue un lungo elenco esemplificativo di comportamenti antisemiti. Emerge subito alla mera lettura che nessuno di questi esempi attiene al BDS e, in generale, al movimento di solidarietà con la Palestina.
La legge sullo Stato nazione, successiva alla definizione, pone qualche delicato problema perché la definizione dell’IHRA contiene anche il seguente passaggio: “queste manifestazioni possono avere come bersaglio lo Stato di Israele concepito come collettività ebraica”. Israele si definisce ora per legge Stato ebraico, è Stato di tutti gli ebrei. Che ne è delle critiche alle sue politiche, prime fra tutte l’apartheid e l’occupazione? È mai possibile che siano contrabbandate come manifestazione di antisemitismo e non come legittime critiche politiche basate, peraltro, su prove inconfutabili ( quelle che, non a caso, Israele sta facendo sparire)? Evidentemente no. E’ la stessa IHRA a precisare che “ le critiche mosse a Israele simili a quelle di qualsiasi altro Paese non possono essere considerate antisemitismo”. Tra gli esempi di antisemitismo ve ne è uno interessante: ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele. Noi siamo sempre stati a fianco degli ebrei antisionisti, spesso i più feroci critici delle politiche di Israele, che è il loro stesso Stato quando la critica proviene da ebrei israeliani. Non sono forse ebrei Richard Falck, Goldstone, Finkelstein, Shlomo Sand, Chomsky e tanti altri strenui oppositori delle politiche israeliane? ed anche quelli di ECO ( ebrei contro l’occupazione), e di “ Not in my name”. Costoro non si sentono rappresentati dallo Stato di Israele. Nel 2015 una organizzazione ebraica israeliana (SISO: save Israel,stop occupation) per bocca di Daniel Bar- Tal, docente dell’Università di Tel Aviv, ha detto: “ Come ebrei che hanno a cuore la propria identità ebraica e sono legati a Israele, dobbiamo tutti partecipare alla lotta per salvare Israele dalle spinte nazionalistiche, antidemocratiche, razziste e xenofobe al suo interno”. Da allora la situazione è solo peggiorata. L’apartheid è stata legalizzata. L’occupazione è stata promossa e valorizzata. Si parla di annessione della Cisgiordania. La ministra della giustizia Shaked ha definito l’uguaglianza “un pericolo per lo Stato ebraico” e ha definito il BDS ”il nuovo volto del terrorismo”. Zeev Sternhell ha detto: “In Israele cresce non solo un fascismo locale ma anche un razzismo vicino al nazismo ai suoi esordi”.

Criticare le politiche israeliane e il sionismo è un diritto e un dovere e nulla ha a che vedere con l’antisemitismo. In Italia alcuni giudici chiamati ad occuparsi del tema se ne sono dimostrati ben consapevoli. Il Tribunale di Vercelli, nel processo contro due giovani che avevano esposto sulla cancellata della locale sinagoga uno striscione con la scritta “Stop bombing Gaza, sionisti assassini, free Palestine” durante la strage a Gaza del 2014, ha scritto, assolvendo gli imputati:” ….lo striscione non solo non contiene alcun riferimento al popolo ebraico ma nemmeno esprime un messaggio razzista o discriminatorio…nei confronti del popolo israeliano, facendo invece espresso riferimento a una specifica condotta ( il bombardamento su Gaza) chiaramente riconducibile non agli israeliani in quanto etnia ma allo stato e alla sua politica”. In altro caso il GIP di Genova, in una ordinanza di archiviazione che respingeva l’opposizione della Comunità ebraica di Roma, ha scritto:” Non emerge mai la propalazione di espressioni od argomenti che abbiano di mira la religione o la cultura ebraica in quanto tale o l’essere appartenenti al popolo ebreo, in modo da essere assimilabili alla propaganda antisemita di matrice nazifascista ( a meno di non voler identificare la cultura e la religione ebraica con l’attuale politica israeliana in Medioriente), quanto piuttosto la manifestazione, con toni indubbiamente accesi, di dissenso rispetto alle linee di attuale azione politica nei territori palestinesi e nella striscia di Gaza”.

Io però sono preoccupato quando la parola passa ai giudici in una materia in cui è ampia la discrezionalità col rischio, quindi, che sulla legge prevalga l’orientamento soggettivo del giudice. La questione è politica e va affrontata in ambito politico.

Ugo Giannangeli

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Dibattito del 26 settembre 2019 al Circolo della Stampa di Trieste con Stephanie Westbrook, David Cronin e Ugo Giannangeli. - Trascrizione dell’intervento di Ugo Giannangeli: “La legalità quale strumento dell’apartheid”.