Ho fatto giusto in tempo, a Genova, a conoscere quelle case che chiamavano chiuse. Chiuse non tanto a chi vi entrava quanto a chi ne avrebbe voluto uscire: le prestatrici d’opera. Godevano di un permesso di qualche ora la domenica, perlopiù per brevi incontri con una loro creaturina affidata a qualche parente, si spostavano a plotoni ogni 15 giorni da una città all’altra (perciò, salivando, ci si informava sulle “quindicine” nuove arrivate al popolare ed effervescente “Castagna”, o all’esclusivo e pomposamente formale “Lepri”) e non credo che il suffragio universale esteso alle donne dopo la guerra riguardasse anche loro. Per gli adolescenti era una specie di romanzo di iniziazione. La rete di lenoni che amministrava il business da noi non cavò un granchè. Squattrinati, s’andava lì nelle ore di sega all’università a pizzicare tette e cosce con gli occhi e a far casino nel casino, fino al momento in cui la “madama” al banco dei gettoni, stufa di sollecitare “ragazzi in camera!”, ci cacciava fuori.
M’è capitato uno strano accostamento tra quei postriboli e quelli, per molti versi sovrapponibili, in cui oggi si fabbricano giornali e telegiornali. In tutte e due la merce è bene impacchettata (o spacchettata), ma, al consumo, risulta avariata, perché falsa, simulata, recitata. Difficilmente, allora, alle tue frementi aspettative, rispondeva qualcosa di più di un povero singulto, più o meno stancamente recitato. Difficilmente, oggi, al tuo interessamento per le cose del mondo corrisponde una risposta sincera. In entrambi i casi si fa finta, si ha a che fare con impostori che in cambio dei tuoi quattrini e diritti ti rifilano un prodotto contraffatto. Sto parlando di organi d’informazione di cui, datine i fini e loro mandanti, non c’è da nutrire neanche il dubbio che se ne ricavi qualcosa di onesto. Sono i grandi giornaloni e telegiornaloni e talkshowoni. Non vale la pena occuparsene. Mai termine più preciso di presstitute fu inventato.
Ma con l’involversi dei tempi anche il lenocinio ha saputo superare i propri limiti e si è passati dal bordello dichiarato ed evidenziato dalle persiane permanentemente chiuse, a tipologie analoghe, a finestre aperte con tanto di tendine di pizzo: escort, per le quali il dopocena è sottinteso, estetiste e fitness che occultano (non tutte ovviamente) la funzione principale dietro a un’altra socialmente accettabile, case d’appuntamento ove la recita include anche qualche prurito di autenticità. Avete già immaginato con chi va fatto l’accostamento. Media che, per rimanere nella metafora, incantatoti con l’aperitivo dalla gradevole gradazione alcolica e con una happy hour di tartine al lardo di Colonnata, unioni civili e migranti, ti rifilano la bistecca guasta, o agli ormoni, o addirittura neanche di carne, ma di soia: il mondo, le guerre, nemici e amici. Sono quelli che si proclamano di opposizione, menano gran vanto di come sanno cantargliela alla successione di ciarlatani, biscazzieri e strozzini che sfilano nei palazzi del potere, ma poi tornano “quindicina” di regime non appena a portarle in camera siano i grandi signori che ti pagano tante marchette. Presstitute en travesti
La confessione bomba del NYT: L’Isis siamo tutti noi
Nell’edizione del 12 aprile di quello che i boccaloni definiscono lo “standard aureo” del giornalismo, il New York TImes, è esplosa una bomba al confronto con la quale la MOAB gettata sull’Afghanistan, a celebrare 16 anni di sconfitte e spese Usa e Nato, è poco più di un petardo (Del resto, sensazionalizzare come apocalisse senza precedenti quella bombona serve solo a intimidire qualcuno. Non era affatto la prima volta. Era il 20 marzo 2003 e nel mio albergo di Bagdad, “Al Mansur”, venivano giù vetri e pareti mentre dal balcone filmavo una MOAB uguale a quella afghana, esplosa a 10 km, oltre il Tigri, a polverizzare l’intera area delle strutture delle telecomunicazioni. C’è tutto nel docufilm “Un deserto chiamato pace” ).
Cosa ci rivela il NYT, giornale portavoce di Netaniahu, guerrafondaio e razzista etnocentrico in ogni sua cellula e, più che mai, con il rinomato editorialista e pitbull da attacco, Thomas Friedman? Ciò che in tanti sapevamo, anche perché ce lo aveva detto Hillary Clinton, ma che le presstitute dei bordelli che passano per saloni di bellezza occultano: Isis, Al Qaida e rispettivi derivati cosa nostra sono. Vabbè, si sussurrava che sauditi e qatarioti qualche soldo ai wahabiti, veri o finti, l’avevano passato; che Erdogan s’era arricchito col petrolio dei suoi giannizzeri col vessillo nero rubato; si vociferava di campi d’addestramento Usa in Giordania; ci si chiedeva pensosi come mai avessero tante armi Nato e israeliane; si apprezzava lo spirito umanitario degli ufficiali sanitari israeliani che, sul Golan, allestivano cliniche per jihadisti feriti. Ma su tutto questo si passava rapidamente una mano di vernice: le nequizie del sanguinario dittatore Assad.
Ora, però, il grande quotidiano della Grande Mela ha abbandonato ogni scrupolo. Esaltato dall’improvvisa trasformazione del nefasto isolazionista in combutta con Putin in signore della guerra come pochi prima di lui, ha gettato alle ortiche ogni prudenza o doppiezza. Il nerboruto “commander in chief” ha calato il poker d’assi (bufalona delle armi chimiche e dei tanti bambini morti, invincibile armada verso Pyongyang, MOAB sterminatrice sull’Afghanistan, dito medio sparato a Putin a Mosca), si gioca a viso e trucchi aperti.
Si chiede dunque il NYT: “Perché mai il nostro obiettivo dovrebbe ora essere quello di sconfiggere lo Stato Islamico in Siria?” Stupefacente onestà. Cinica, oscena, ma verità. Scrive l’acrobatico Friedman: “Di Isis ce ne sono due. Quella satanica, crudele e amorfa è l’Isis Virtuale. E’ quella che compie attentati a Londra, Parigi, Cairo. L’altra è l’Isis territoriale che controlla qualche zona in Iraq e vaste aree in Siria. Suo obiettivo è sconfiggere il regime di Assad insieme ai suoi alleati russi, iraniani e hezbollah e anche il regime filo-iraniano in Iraq, rimpiazzando entrambi con il califfato. Credo che se l’Isis territoriale venisse battuto, quello virtuale diverrebbe ancora più virulento”. L’abbiamo partorito (sottinteso), ora facciamolo fiorire e moltiplicarsi, ché, senza, di Siria e Assad non ci liberiamo più.
Concede , il NYT, che il fine degli Usa in Siria è schiacciare Assad, la Russia, l’Iran e Hezbollah, al punto che questi si accordino con i “ribelli moderati” sull’eliminazione di Assad. “Serve dunque una no-fly-zone perché si costituisca, accanto a quella curda intorno a Raqqa, anche un’entità jihadista a Idlib, dove sono concentrati i moderati e dove Assad ha buttato le sue bombe chimiche. Cosa dunque potremmo fare? Aumentare drammaticamente il nostro sostegno militare ai ribelli e smettere di combattere l’Isis territoriale. Se dovessimo sconfiggere l’Isis territoriale permetteremmo ad Assad, Iran, Russa e Hezbollah di distruggere gli ultimi ribelli moderati…. E’ tempo che Trump faccia il Trump, cinico e imprevedibile. L’Isis è la più grande minaccia per Iran, Hezbollah, Russia e milizie scite… Perché mai sconfiggere l’Isis in Siria? Manco per niente. Non ora. Gli Usa devono aiutare l’Isis a essere il mal di testa di Assad, Iran, Hezbollah e Russia… Questo è il Trump che ci serve…” E che fino a ieri il NYT, gazzetta liberal dei progressisti del mondo, considerava alla stregua di un rigurgito gastrico. Muri, migranti, gay, flirt con Putin, misoginia, tutto perdonato. Sono bastati una MOAB sui civili afghani e il colpaccio armi-chimiche-59 Tomahawk sulla Siria. E così, incoraggiati da tanto riconoscimento del Sion-NYT, gli eroi Isis hanno celebrato la Pasqua esibendosi nell’agghiacciante massacro di Aleppo e Mosul, ordinatogli per punire le popolazioni decise a tornare sotto la protezione del loro sanguinario dittatore.
A questo punto avremmo tutti le idee più chiare. Anche se il reo confesso Friedman non arriva ad ammettere che non è solo ora che agli Usa balena l’opportunità di lanciare l’Isis contro il resto del mondo. Che lo strumentino fine-del-mondo Al Qaida e poi Isis l’hanno inventato proprio loro. Ma nell’occhio che Friedman ci strizza, mentre ci racconta dell’Isis da portare alla vittoria, tutto questo è implicito. I sonnambuli della fede cieca nei media dovrebbero ricavarne un brusco risveglio. Tutti quelli dagli occhi aperti e le sinapsi in ordine che da anni sanno come terrorismo e USraele siano la quadratura del cerchio per il dominio sul mondo, dovrebbero poter godere della conferma. E invece, avete visto o sentito anche un solo accenno a questa deflagrazione di verità nei media delle nostre presstitute?
La stella di Davide sulla Casa Bianca, sull’Isis, sui curdi
Quando parla il NYT parla Israele. E quando parla Israele, gli Usa ascoltano, obbediscono e si tirano dietro il resto della sedicente “comunità internazionale”. Lo garantisce il ruolo e il numero di kazari talmudisti installati dove si informa, si incassa, si paga, si decide. E, per inciso, Israele, all’Isis da sostenere, affianca anche i curdi. Quelli iracheni da sempre. Quelli siriani da mo’. Quelli turchi….Come ci informa Stefano Zecchinelli: tra quelli impegnati nella pulizia etnica contro gli arabi a Rojava ci sono anche volontari israeliani. E vi appare addirittura il filosofo apostolo di tutti i terroristi, Bernard-Henry Levy. Sentite cosa ha detto Salih Muslim, leader dell’YPG curdo, a proposito del bombardamento di Trump: “Gli Usa non devono solo bombardare il regime, ma tutte le forze che usano la violenza contro i civili (ovviamente escluso l’YPG che spazza via i civili arabi dalle loro terre)… In ogni modo Trump ci aiuta più di Obama”. Trattasi dei cocchi democratici e femministi ddella nostra sinistra.
C’è di peggio nel tramonto dell’Occidente che i russofobi di “sinistra”?
Quella sinistra che non ha perso l’occasione per confermarsi al servizio delle più sporche e squalificanti operazioni delle centrali di disinformazione, indirizzate a fomentare una sempre più demenziale psicosi di guerra. Sono detriti di una storia tradita e gettata alle ortiche, spiaggiati sulle rive di una palude frequentata da caimani, dove operano da procacciatori di vittime. Oggi il loro impegno è di contribuire con i loro sibili di rettili a gonfiare le vele della flotta in rotta verso la guerra. Se per vele intendiamo la russofobia, l’uragano che le muove ha assunto via via varie colorature: Putin omofobo, autocrate e assassino di oppositori, libertà d’espressione annientata, sport russo dopato in ogni sua specialità, hacker russi che hanno determinato la sconfitta di Hillary, Mosca che finanzia populisti e ultradestre per mandare in vacca l’Europa, Russia imperialista che divora l’Ucraina e si risente se la democrazia installa una selva di missili ai suoi confini, Igor, il pluri-assassino, che imperversa tra i bravi cristiani terrorizzati delle lande emiliane, è ovviamente “Igor il russo”, militare siberiano nientemeno (la Siberia, i gulag…), anche se poi decade in serbo, sempre slavo è… La fantasia dei detrattori è sconfinata.
L’antesignano Sofri e i succedanei di Novaja Gazeta: è la volta dei LGBT
Amici ceceni di Sofri e della Politovskaja
Oggi hanno riesumato i fasti ceceni del Sofri, illustre editorialista di regime, che diffondeva le gesta dei sequestratori e tagliatori di teste ai tempi della prima attivazione dei banditi jihadisti in Cecenia, poi glorificati da quella Politovskaja, fiduciaria Cia e sua inviata per Radio Liberty, il cui giornale, Novaja Gazeta, attiva, a dispetto dei diversi non manipolabili, una delle quinte colonne imperialiste più care a George Soros e alla sua panoplia di sinistri liberal dirittoumanisti: l’ala LGBT che nel bandito affossatore di valute e nazioni si riconosce. Non manca l’occasione di guadagnarsi il riconoscimento dei suoi sponsor “il manifesto”, che imbratta una pagina con un copia e incolla dal quotidiano russo sugli orrori anti-LGBT perpetrati in Cecenia sotto lo sguardo iniettato di sangue dell’omofobo Putin. Tanto per ribadire che in Russia l’autocrazia dell’ex-KGB non consente la minima libertà di stampa, come vuole la vulgata dell’industria di fake news occidentale. E per farci rimpiangere che a Mosca non ci sia nessuno come l’ungherese Orban che impedisca alle Ong dei sabotatori finanziati da Soros e dalla NED di destabilizzare il paese diffondendo falsità e reclutando agenti provocatori.
Il Grand Guignol di “Novaja Gazeta” e “manifesto” ci dipinge un quadro splatter di orrori inflitti ai gay ceceni. Guardate qua, la prosa degli sceneggiatori di bufale ripresa con fervore orgasmatico dal giornaletto dei “diritti civili” come interpretati dai pubblicitari di genocidi: “Picchiati con tubi di gomma, attaccati alla corrente elettrica, costretti a sedersi su bottiglie, lasciati senza cibo né acqua, a volte fino alla morte…Auschwitz (l’accostamento non manca mai), la segregazione del disumano… nella prigione segreta scoperta da due giornaliste di “Novaja Gazeta”….” E sapete come l’hanno scoperta? Leggete e ammirate l’inconfutabile prova: “Le due reporter (si fa per dire) non sono entrate nel centro di segregazione, ma hanno ricostruito attraverso testimoni dove e cosa succede lì dentro”. Tre testimoni. Anonimi. Poi gli ho telefonato, anonimo anch’io, e gli ho rivelato che Putin si ciba di cuori strappati a neonati ebrei. Esce nel prossimo numero del giornale della Politovskaja. Le due reporter badino che i loro mandanti non gli facciano fare la fine nell’ascensore della loro collega martire. Ci penserà comunque il “manifesto” a consacrarle.
I numeri di convenienza delle pene di morte
Non si fa mancare nulla “il manifesto”. A completare il servizio del quotidiano socialimperialista (stavolta il termine calza), la boiata cecena è sovrastata da una denuncia agghiacciante. La Cina, proclama sgomenta la filiale del Dipartimento di Stato, capeggia la classifica delle esecuzioni capitali. 85 tra il 2014 e il 2016. Non dice niente delle 27 degli Usa nel solo 2016. Ovviamente ci si astiene dal fare il rapporto tra esecuzioni e popolazioni. Quanto fa 85 in tre anni su 1miliardo e 400 milioni, rispetto a 27 in un anno su 300? Ma Amnesty International, fonte prediletta della sinistra imperialista, trascura qualche particolare. Per esempio, che ai 27 interventi del boia americano vanno aggiunte le 5000 esecuzioni extragiudiziali annuali di civili disarmati, quasi tutti neri, da parte della polizia (e magari anche qualche decina di migliaia di quelle commissionate ai terroristi in Siria e Iraq). Amnesty, che è scaltra, si aspetta l’obiezione e prontamente, la rintuzza: le 85 esecuzioni cinesi nei tre anni sono invece “almeno 931, però non riportate nei registri”. Lo dice Amnesty. E se lo dicono loro…
Non sono quelli che ci hanno rivelato che Assad ha fatto strangolare 13mila detenuti nelle sue carceri? E mica perché queste fossero troppo affollate. Perché gli andava.
Quando si è amici di Putin….
Fulvio Grimaldi