Nei palazzi del potere si sussurrava già che, subito dopo le elezioni europee del maggio 2019, Salvini avrebbe staccato la spina e liquidato il governo giallo-verde. Ma siamo proprio sicuri che “il Capitano” aspetterà fino a maggio? Negli ultimi giorni sono aumentate le voci di corridoio che parlano di una data più ravvicinata, anteriore comunque alle elezioni europee.
Io non mi sentirei di scommettere per il prima o per il dopo. Semplicemente dico che l’ipotesi di una crisi più vicina mi sembra credibile.
Perché? Perché Salvini non ha interesse a continuare a legare la sua immagine a quella di un governo “giallo-verde” che non è in grado di affrontare con la radicalità necessaria la sfida epocale per il salvataggio della nostra economia dall’assedio dell’Europa tedesca e della finanza internazionale.
Salvini è stato bravo. Non ha badato alle etichette, accettando di governare insieme a certi personaggi che – per dirla con Fico – sono “antropologicamente diversi” da lui. Ha preso di petto i due problemi che dipendevano istituzionalmente dal suo Ministero (l’immigrazione e l’ordine pubblico) ed ha dimostrato di fare sul serio. Ha affrontato il tema dei rapporti con l’Europa all’insegna della dignità nazionale e delle scelte consequenziali. Ha dimostrato, in sostanza, di voler mantenere gli impegni e di avere gli attributi necessari per farlo.
Fatto sta che oggi è l’unico esponente politico ad avere l’apprezzamento della maggioranza assoluta del popolo italiano (per l’esattezza il 51%) e che il suo partito è saldamente al primo posto nei sondaggi. Se si votasse oggi, la Lega avrebbe da sola fra il 30 e il 35% dei voti, trascinando un Centro-destra a chiara trazione leghista verso una netta maggioranza.
I grillini – al contrario – non hanno saputo trarre vantaggio dalla loro permanenza al governo. Giggino si è dimostrato un ragazzo di buona volontà, ma con evidenti lacune. Sa solamente ripetere che per lui conta soltanto ciò che è scritto nel contratto di governo, e che tutto il resto (per esempio il problema dei rifiuti nella “terra dei fuochi”) non ha importanza. Non ha il pieno controllo del suo partito, con un’ala sinistra “fichiana” che tira calci e alza il tiro ogni giorno di più; per tacere di Di Battista, sgomento per aver scelto di ritirarsi sotto la tenda al momento sbagliato e che adesso spara a zero dal lontano Guatemala.
Quanto al partito o pseudopartito grillino, la sua onda lunga si è – credo definitivamente – arrestata. Non è più al primo posto nelle intenzioni di voto, ha fatto indecorosamente macchina indietro su molte promesse ribelliste della campagna elettorale (l’ILVA, la TAP, eccetera), mantenendo come ultima foglia di... fico il no all’alta velocità della Torino-Lione. Per contro, ha messo in cantiere una serie di provvedimenti pauperisti e giustizialisti che, se da una parte servono a tenere buono un certo elettorato giacobino e manettaro, gli alienano inevitabilmente quella parte di elettorato qualunquista e borghese che il 4 marzo l’aveva votato e che adesso subisce invece il fascino della Lega. Probabilmente i Cinque Stelle andranno incontro a una scissione o, forse, a più d’una.
Questo è il quadro d’insieme nel quale di muove il governo cosiddetto giallo-verde. Ma con quali prospettive? Con quelle di un contesto economico destinato fatalmente a peggiorare, perché questo governo – intrinsecamente debole malgrado certe presenze forti – non ha la determinazione necessaria a sostenere la guerra che l’Unione Europea e i “mercati” si accingono a muoverci. Il governo ha retto abbastanza bene all’assalto di fine ottobre (quello dello spread e delle agenzie di rating), ma dubito fortemente che possa fronteggiare anche l’attacco decisivo, quello che la mafia dei mercati ci muoverà attorno alla fine di dicembre, con l’obiettivo di commissariare la nostra economia nazionale (come con la Grecia).
Quali misure sarebbero necessarie? Mi ripeto: quella – innanzitutto – di avere una moneta o una similmoneta parallela con la quale finanziare la politica espansiva che il governo Conte ha appena accennato. La strada intrapresa è certamente quella giusta, ma non è una strada che si può percorrere con una manciata di miliardi in più per tappare qualche buco della nostra socialità massacrata.
Occorrono centinaia di miliardi di euro da destinare a un New Deal italiano, a una massiccia politica di investimenti pubblici che risollevi la nostra economia, come accadde per l’America di Roosevelt negli anni ’30 (per tacere di quanto si fece in Europa). Altro che il 2,4% del rapporto deficit/PIL! Una vera manovra espansiva richiederebbe cifre dieci volte superiori, che non possiamo farci prestare dai mercati “a debito”, ma che dobbiamo inevitabilmente creare noi “a credito”.
Ecco perché è certamente possibile che Salvini abbia deciso di provocare la crisi di governo e di andare – Mattarella permettendo – a elezioni anticipate. Due episodi farebbero pensare ad una scelta del genere, uno di àmbito “nordista” ed uno di àmbito “sudista”.
Il primo è la partecipazione dei deputati leghisti alla grande manifestazione Si-TAV di Torino. Una manifestazione chiaramente, esplicitamente, coralmente diretta contro i Cinque Stelle.
Il secondo episodio è il pesante affondo di Salvini sullo smaltimento dei rifiuti in Campania. “Il Capitano” vuole costruire i termovalorizzatori per risolvere l’emergenza dei fuochi, mentre “il Guaglione” e i suoi vogliono trattare l’immondizia con antidiluviane metodologie fai-da-te.
Bastano questi due elementi per affermare che il governo ha i giorni contati? Certamente no. Ma il contesto generale e soprattutto il quadro economico potrebbero dare concretezza a questa ipotesi.
Le sfide che attendono l’Italia sono formidabili, gigantesche, e non possono certo essere affrontate da un esecutivo debole, diviso, litigioso, fondato su una maggioranza parlamentare insicura.
Ripeto, non è possibile prevedere cosa accadrà. Ma si avvicina una scadenza importante, che potrebbe fungere da detonatore: la ratifica di una convenzione dell’ONU che costringerebbe tutti gli Stati firmatari ad accettare una immigrazione incontrollabile e senza limiti. È il cosiddetto “Global Compact”. Salvini non può permettere che passi un provvedimento del genere: sarebbe la tomba per tutta la sua politica di freno all’immigrazione.
È una bomba a orologeria sul cammino del governo. Mi sembra già di sentire il timer che scandisce il tempo mancante all’esplosione finale: tic-tac, tic-tac, tic-tac...
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com