Caso
Siri: ovvero, come perdersi in un bicchiere d’acqua. Non mi
riferisco all’indagine in sé, avviata d’ufficio perché terze
persone parlavano tra loro di una “dazione” che con ogni
probabilità non c’è mai stata. Mi riferisco invece al caso
politico che ne è derivato. I fatti sono noti, e non starò qui a
riassumerli.
Dirò soltanto che un Di Maio boccheggiante si è aggrappato disperatamente
a quella vicenda per tentare di limitare i danni del disastro
annunciato per le prossime elezioni europee. Giggino
o’ Guaglione
aveva già virato in direzione pro-migranti per contendere alle altre
sigle della sinistra un pugno di voti buonisti. E, adesso, sul caso
Siri si é avventato in nome della lotta ad una del tutto ipotetica
corruzione, speranzoso di poter così rinverdire i fasti delle
origini “viola” del movimento, quando si raccoglievano vagonate
di voti semplicemente invocando l’onestà.
Nel
caso in specie, con molta probabilitá, l’onestá non c’entra.
C’entra soltanto il fatto che Armando Siri sia “indagato”, non
“imputato”. Come tanti altri, cui nessuno si sogna di far fare
“un passo indietro”. Come – per esempio – la sindaco grillina
di Roma, Virginia Raggi, che di indagini dovrebbe averne collezionate
piú d’una. Se ben ricordo: per una consulenza sulla ASL di
Civitavecchia, per i canili municipali, per il famoso “caso Marra”
e – ultimo in ordine di tempo – per lo stadio della Roma.
Non
voglio mettere in dubbio la personale onestá del sindaco di Roma.
Molto probabilmente, gran parte di quelle indagini si sono giá
concluse con un nulla di fatto. Come, con buona probabilitá, si
concluderá l’indagine sul caso Siri. Il punto é un altro: perché
per Siri i grillini hanno chiesto le dimissioni e per la Raggi no?
Salvini,
che come Ministro dell’Interno certamente conosce la reale portata
dell’affare Siri, si é lanciato nella difesa a spada tratta del
suo sottosegretario, mentre il Guaglione continuava a chiederne con
crescente petulanza le dimissioni. Alla fine, l’indecorosa
conclusione: il premier Conte ha avocato a sé la questione, ed ha
revocato la nomina di Siri. Fin qui, tutto normale (si fa per dire).
Quella
che non é normale, che non é neppure concepibile, é la mancata
reazione di Salvini: solo un garbato disappunto, e l’immediata
assicurazione che “il governo va avanti”.
Una
cosa inaudita, incredibile, inconcepibile. Viene da chiedersi perché
mai il Capitano abbia fatto tanto casino per ritirarsi poi in buon
ordine, per fare questa figura del piffero, per dare modo di parlare
a qualcuno che non avrebbe niente da dire. Un braccio di ferro
(quello su Siri come prima quello sul deficit al 2,40%) si fa solo se
si é sicuri di avere la forza di reggere all’urto dell’avversario.
Ma
l’aspetto piú grave é ancora un altro. É che, avendo avuto
offerta su un piatto d’argento la scusa migliore per far saltare il
governo, il leader leghista l’abbia lasciata cadere. Anzi, sembra
che la sua preoccupazione principale sia stata quella di mantenere in
vita questo governo. Cosa assolutamente inspiegabile, se si ha ben
presente che il governo “del cambiamento” è destinato comunque a
naufragare nell’arco di pochi mesi, a causa della sua strampalata
gestione dell’economia nazionale. Salvini aveva l’occasione buona
per tirarsene elegantemente fuori, per presentarsi all’opinione
pubblica con il suo bilancio – estremamente positivo – in materia
di ordine pubblico e lotta all’immigrazione, e lasciando ai soli
grillini il peso di una indifendibile politica economica. Non l’ha
fatto, commettendo – a mio avviso – il suo primo clamoroso
errore.
Nulla
di irrimediabile, intendiamoci, nulla che possa scuotere il primo
posto della Lega e la frana dei Cinque Stelle alle prossime europee.
Ma quanto basta per spostare dalla Lega a Fratelli d’Italia le
simpatie di una aliquota – non so quanto robusta –
dell’elettorato nazionalista e sovranista.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.