sabato 4 maggio 2019

Venezuela. Golpe fallito? I media gli fanno la respirazione artificiale...



“Noi resteremo fermi in difesa dell’ordine costituzionale e della pace della Repubblica, assistiti come siamo da legge, ragione e storia. Leali sempre, traditori mai!” (Vladimiro Padrino, Ministero della Difesa della Repubblica Bolivariana del Venezuela)
Com’è che diceva Emilio Fede?
La figura di merda in questione si dà per scontato sia quella dell’ennesimo gaglioffo da avanspettacolo inventato dai servizi Usa su mandato dell’Universal P2, S.p.A., per sostituire a un governo democratico e, magari, emancipatore e sovranista, un fantoccio duro e puro, addestrato al servo encomio alla Cupola e al suo braccio armato statunitense. 
Già perché, dopo il cazzuto, affidabile e durevole Fuehrer cileno, non si è verificato che un sequel di catastrofici pirla, buoni solo ad accaparrare mazzette imperiali sulla parola. Honduras, Ucraina, Ecuador, Haiti, Afghanistan, Libia, Yemen: reggono solo perché puntellati dall’Impero con le sue basi. Livelli intermedi li conosciamo in Europa. Scelte al massimo ribasso che riflettono fedelmente spessore e qualità dei mandanti.
Più esilarante, per quanto non meno scontata, la figura in oggetto inflittasi dai media, come al solito più italiani che quelli, un tantino avveduti, esteri. Ci si arrampica sugli specchi per mantenere ancora per un po’, almeno a livello mediatico, l’attenzione sul “dittatore” Maduro, sulla disperazione del popolo affamato e sul sacrificio di un’opposizione democratica massacrata. Proprio come si era tentato dopo il megaflop del procuratore Mueller per tenere a galla la ciambella del Russiagate. Uno specchio, liscio quanto può esserlo un vetro smerigliato, è la fola diffusa da Pompeo (uno fuggito dal set di “Gomorra”, o del “Padrino” e sostituito malamente da Marlon Brando) secondo cui i vertici delle Forze Armate avrebbero deciso di deporre Maduro, con tanto di “dimissioni onorevoli”, già pronte, ma poi ci avrebbero ripensato. Chissà, forse per cuocerlo ancora a fuoco lento in attesa di una maggiore reviviscenza del teppismo terrorista alla Lopez, oppure in attesa di una maggiorazione di quell’offerta di 20mila dollari a testa che il tagliagole Elliott Abrams avrebbe fatto a qualunque militare avesse disertato. Vecchia, consunta tattica per seminare sospetti intorno al controllo della situazione da parte del presidente.
Media: respirazione artificiale al golpe
Si parte dal sinistro Tommaso Di Francesco, “il manifesto” cerchiobottista strutturale dai tempi di “Nato cattiva-Milosevic pulitore etnico”,fino all’oggi del “Guaidò burattino Usa-Maduro disastroso”. Disinvolto immemore, questo TdF, quando lamenta il caos Nato in Libia, della sua guru Rossanda che, all’epoca, lanciava contro Gheddafi i terroristi dell’Isis, da lei fatti passare per “rivoluzionari democratici come le brigate di Spagna”. Gli lavora a fianco il prestigiosissimo Alberto Negri, pratico di capre e cavoli, quando, trova la pietra filosofale mettendo sullo stesso piano fallimenti economici e corruzione dei pre-Chavez, dei Chavez e dei post-Chavez. E si completa un giro larghissimo di rampichini con Giovanna Botteri, giunta al vertice Rai a New York per meriti kosovari e iracheni, che, non stufa di aver inventato le fughe di Milosevic e Saddam, a golpe venezuelano finito in sibilo di palloncino bucato, ancora accreditava lo statista Pompeo nella frescaccia di un Maduro in fuga, ma bloccato all’aereo dai russi e rimandato a palazzo.
C’è chi riduce a barzelletta di chi non ne sa raccontare, l’episodio del duomilites gloriosi, Guaidò e Lopez che, circondati da quattro scombussolati militari e mezza dozzina di teppisti civili, da un luogo deserto, fatto passare per base aerea, proclamano “L’operazione Libertà”, invitano all’ammutinamento militare e all’insurrezione popolare. Ammutinamento poi eseguito da una decina di marmittoni e graduati, tosto fuggiti in Brasile, e insurrezione risoltasi in una scaramuccia sul cavalcavia autostradale dove Guardia Nazionale e polizia tiravano lacrimogeni e i teppisti addestrati dal Lopez dei quasi 50 morti (in maggioranza poliziotti e chavisti) nelle sueguarimbas (2014-2017) sparavano pallottole. Risultato 4 morti. Poca cosa a confronto con qualche migliaio che gli sponsor di Guaidò-Lopez giustiziano ogni giorno con bombe e altro in giro per le loro guerre e sanzioni (40mila vittime solo da sanzioni al Venezuela). Facezia che parrebbe confermata dall’esito di un Lopez rifugiato nell’ambasciata del Cile, da lì cacciato, scappato in quella spagnola, a imbarazzare l’incerto premier Sanchez; e da un Guaidò, virgulto addestrato dai regime changers patentati di Otpor a Belgrado e dalla Cia a Washington, vox clamantis in deserto, che proclama mobilitazioni di masse che non avvengono perché la maggior parte di quelle masse preferisce sostenere Maduro e la rivoluzione bolivariana da sotto il Palazzo di Miraflores.
Tutto vero, ma semplificazione dettata dall’ottimismo della volontà.
Tutto un trucco, o si sacrifica il capro espiatorio?
Altri, come l’ottimo Chossudovski di Global Research, rivanno col ricordo al giugno del 1973 a Santiago del Cile, dove avvenne un simile golpe alla fuffa, che tutti fece ridere, ma che poi, il successivo 11 settembre, si rivelò il prodromo del golpe duro e puro di Kissinger-Pinochet. Ne deducono la possibilità della riproduzione del modulo, con il putsch vero e ben preparato da far seguire al balon d’essai di questi giorni.
Altri ancora ipotizzano, a mio avviso con maggiori ragioni, la consapevolezza del Trio della Bella Morte Pompeo-Bolton-Rubio circa l’inadeguatezza dei putschisti. Avrebbero però confidato in una risposta governativa ben più brutale di quei quattro candelotti e in una strage assai più sanguinaria degli altrettanti morti (probabilmente colpiti, come nel 2002, da infiltrati dei golpisti, dato che i governativi avevano l’ordine di non usare armi da fuoco), che avrebbe suscitato un’ìndignazione internazionale tale da assicurare sufficiente consenso all’invasione. Fake news, come le bombe di Gheddafi sulla propria gente, o il massacro di Racak in Kosovo, o i gas di Assad. Invasione non certo di truppe Usa, che da tempo non vengono messe a rischio, dopo il contraccolpo dei caduti in Vietnam e Iraq, ma di mercenariati latinoamericani vari, su modello Al Qaida-Isis-curdi, e perfino dei 5000 gangster delle milizie Blackwater (ora Academy) promessi, e forse già infiltrati (spera La Repubblica) da Eric Prince, ai quali aprirebbero la strada i bombardamenti Usa-Nato tipo Siria.
Infine c’è chi si avventura in ipotesi diaboliche, come quella che il lungamente addestrato, curato, finanziato, coccolato Guaidò risultasse agli stessi mastini dello Stato Profondo Usa investimento dagli scarsi ritorni. Il fallimento al limite del grottesco dei suoi appelli alla defezione di militari, assolutamente granitici nel loro sostegno al governo Maduro e alla rivoluzione bolivariana, delle sue invocazioni a masse in piazza che non si presentano, lo ha reso obsoleto e ormai spendibile solo… da morto. Considerazione che, fatta dai primatisti delle esecuzioni extragiudiziarie, dovrebbe preoccupare l’autoproclamato saltimbanco non poco: avrà qualche ricordo di come gli Usa sanno volgere in martirio il fallimento dei loro eroi. Cosa di cui era sicuramente consapevole il terrorista Leopoldo Lopez quando è corso di ambasciata in ambasciata per sfuggire al ruolo di agnello sacrificale per la guerra dei suoi padrini.
Come dal Soglio si guarda al Sud del mondo
Nei suoi contorcimenti tra versioni Cia dei pogrom catto-fascisti in Nicaragua e sostegno al Venezuela legale (se vuole mantenere qualcuno dei suoi già deperiti lettori), “il manifesto” barcolla sul filo del rasoio anche per quanto riguarda la posizione della Chiesa. Pencola tra un venerato Bergoglio, che dice di sperare nel dialogo, e un episcopato da cocktail in residenza, storicamente il continente cappellano dei ricchi e dei despoti in tutto il continente, e dunque da sempre virulentemente pro-golpe e anti-chavista (agghiacciante il Woytila sul balcone a fianco di Pinochet; la linea non cambia mai) I pii proponimenti del papa all’Angelus hanno il suono della neolingua di Orwell, per cui guerra è pace, dissidenza è psicoreato, cattivo è sbuono.
Del resto chi può ipotizzare che in un sistema globale e imprescindibile da millenni di monarchia assoluta e infallibile, i sottoposti possano divergere dal sovrano? Come per l’Africa, giornalmente rievocata dall’erede di Paolo perché attraverso le migrazioni si faccia posto alle multinazionali dell’Occidente cristiano, il progetto vale per l’America Latina: Ne viene invocata l’accoglienza da parte degli Usa, visto che quelle torme sbrindellate da Honduras, Guatemala e altri paesi gestiti dagli Usa, è meglio che, o si rassegnino cristianamente alla povertà, assicurazione sulla vita eterna, o si levino dall’occupare spazi e risorse spettanti a chi li sa far fruttare meglio.
Una rivoluzione niente male
Sulla base di quanto ho visto e vissuto all’indomani dei tre giorni di golpe del 2012 e nel corso del lungo “paro” (serrata) padronale per mettere il paese in ginocchio, come stanno provando di fare ora con le sanzioni, mi pare di poter dire che chi ha sconfitto questo aborto di putsch, come quello di febbraio dell’introduzione forzata di aiuti, politicamente tossici, da Colombia e Brasile, siano state la forza e l’intelligenza del popolovenezuelano. Hugo Chavez e Nicolàs Maduro avranno mancato in un compito importante: quello della diversificazione della produzione venezuelana, via dal solo petrolio, giustificati anche dall’urgenza dei bisogni di una popolazione ridotta allo stremo dai precedenti palafrenieri dei gringos. Ma, pergiove, se non hanno saputo iniettare il virus dell’autodeterminazione socialista, antimperialista e anticapitalista in milioni e milioni di venezuelani ! Tutti quelli fuori dalle mura con alti reticolati che nascondono le ville, i parchi, i lussi e le ruberie di una ristretta cerchia di grassatori, tra qui la maggioranza degli italiani. Si chiama sovranità e loro sono “sporchi sovranisti”.
Con Manuel e Alì Primera attraverso il Venezuela del primo golpe
Tanti di quelli che ho incontrato percorrendo tutto il paese, dalle Ande all’Amazzonia, sul trabiccolo di un impiegato della Mision Vivendas, quella delle case. Dall’incontro con Chavez, che mi spiegava la questione della terra mentre andava a distribuirne ai contadini (vedi il mio documentario “Americas Reaparecidas”), al passaggio per il mercato dove i produttori si organizzavano per la distribuzione diretta al consumatore, alla casetta della nonna che aveva dovuto bruciare parte della sua mobilia per cucinare, fino a quando la Guardia Nazionale non impose la riapertura dei distributori di combustibile, ma che faceva sventolare dal tetto il tricolore bolivariano. Navigai sull’Orinoco incontrando indigeni che si erano visti proporre per la prima volta una scuola e che, nel 2005, avrebbero festeggiato la fine dell’analfabetismo in Venezuela. Nelle favelas sui colli di Caracas (qui detti “ranchos”) Hugo Chavez veniva sbaciucchiato da donne di ogni età mentre gli consegnava il titolo di proprietà della casa. Cooperative di operai fabbricavano scarpe in stabilimenti abbandonati dai padroni dislocati a Miami. Medici cubani assistevano quelli locali a raggiungere un presidio per ogni minima frazione del paese. Nel quartiere carachegno del 17 Jenero, fucina rivoluzionaria da decenni, un tripudio di murales rivoluzionari, si aggrottavano le ciglia sul non sufficientemente rapido e deciso passo anticapitalista del governo (vedi il documentario “L’Asse del bene”).
E Manuel, l’autista ultrachavista dalle mille risate e mille arrabbiature sui misfatti dei padroni vinti e non rassegnati, non aveva che una musica nell’autoradio: quella di Alì Primera, amatissmo cantore rivoluzionario che, per un incidente automobilistico assai sospetto, sotto la tirannia di Lusinchi, al trionfo di Chavez nel 1999 non c’era arrivato. Ma la rivoluzione l’aveva preparata e cantata e oggi l’accompagna ancora. Come in “Techos de carton”, Tetti di cartone, dedicata agli ultimi del suo paese e continente.
https://www.youtube.com/watch?v=a8wdxj0PUZE
Poi, a far venire il latte alle ginocchia e un po’ di nausea alla bocca dello stomaco arriva uno che, alla faccia dei colleghi 5 Stelle che, pur pilatescamente (Di Battista, tu che la sai lunga, batti un colpo) s’erano astenuti, gasato dal Guaidò al comando di un’armata di 12 militari, sbotta che si devono rifare le elezioni presidenziali, dato che quelle che hanno eletto Maduro non erano regolari. Dal 1999 hanno votato 25 volte in Venezuela, voto cartaceo ed elettronico insieme, giudicato dagli osservatori internazionali, ex-presidente Usa Carter incluso, il migliore sistema al mondo. 23 volte hanno vinto i chavisti, due no, ed è sempre stato tutto accettato. Da chi devi accreditarti, Enzo Moavero Milanesi? Ministro di quali Esteri?
El pueblo unido e l’avvoltoio
Sarebbe illusorio pensare che ora il Condor molli la presa. Come quando si inneggia alla vittoria di una Siria per tre quarti sotto curdi amerikani, un quinto in mano ai turco-jihadisti e un territorio bombardato ogni due per tre dagli israeliani, senza che il famoso S-300 dei russi gli faccia mai un baffo. E mentre in Siria di petrolio ce n’è quanto basterebbe appena per Manhattan, in Venezuela ce n’è da mettere fuori mercato tutti gli altri. E poi c’è il fattore contagio di un modello che, allargato, porterebbe alla fine dell’Impero e dei suoi strumenti letali. L’esperienza insegna che gli yankee, quando non riescono ad addomesticare un popolo e il suo governo, come minimo lo frullano in un caos che li dissangui. E se prima c’era una cintura di sicurezza di paesi amici e indisposti al nuovo colonialismo del “Patio Trasero”,, l’Unasur, il Mercosur, l’ALBA, il CELAC, passi verso l’integrazione emancipatrice, oggi sono rimasti Nicaragua, Cuba e Bolivia, non proprio una Grande Armada.
Però vedersela con Russia e Cina, come ora appare inevitabile, neanche per dei fuoriditesta come quelli di Washington risulterebbe appetibile. Fattore significativo, quello russo-cinese, ma in seconda battuta rispetto a quella che forse oggi è la massa di popolo dalla coscienza e determinazione più evoluti e robusti del mondo. Finché i Guaidò raccattano ad Altamira, nella piazza della Créme, a 10 km dal palazzo del presidente, qualche decina di subalterni, tra badanti, madamine, fattorini, fighi e colonelli rintronati in pensione, mentre a Miraflores Maduro saluta, dopo appena un fischio, centomila chavisti in rosso, il cielo sopra Caracas rimane sereno.

Fulvio Grimaldi
Risultati immagini per Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=a8wdxj0PUZE Alì Primera, da ascoltare, volendo, in sottofondo.




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