Da
tempo il “merito” è divenuto un criterio chiave invocato dai padroni e dai loro
rappresentanti di destra e di ”sinistra” per distribuire il salario,
selezionare i lavoratori, gli studenti, persino i disoccupati.
Ma
cosa è il “merito” e qual è la sua funzione nell'attuale società?
In
poche parole, il merito è ciò che è utile ai borghesi per avvantaggiarsi nella
concorrenza e nella competizione all’interno del mercato capitalistico.
Esso
ha sempre avuto il ruolo di sancire il potere unico del padrone o del
governante, e il significato di ridimensionare ogni valutazione fondata sulla
conoscenza e il “saper fare”, valorizzando invece, come fattori determinanti,
criteri come quelli della fedeltà, della lealtà e della cieca obbedienza al
padrone, al caporeparto, al capo ufficio, al barone universitario, al politicante
di turno.
Non
a caso il più evidente tentativo da parte di un sistema politico di basarsi
sulla meritocrazia è stato quello dei regimi fascisti.
Già
nel modello fordista la meritocrazia serviva a soppiantare criteri di
riconoscimento come la qualificazione e la competenza dei lavoratori.
Nelle
fabbriche la meritocrazia ha sempre avuto una funzione antioperaia e
antisindacale, volta a dividere i lavoratori della stessa qualifica o della
stessa mansione, per definire salari, inquadramenti, etc., in base alle logiche
che abbiamo descritto.
L’utilizzo
dei premi e delle promozioni “di merito” (leggi lecchinaggio) si è quindi
strettamente legato alla penalizzazione degli scioperi e delle assenze (specie
per malattia e infortunio).
È
proprio questa concezione del merito e della meritocrazia, decisi da parte di
un’autorità “superiore”, che è stato messo in discussione dalla lotta operaia
nell’autunno caldo (1969).
Col
predominio del neoliberismo la meritocrazia è stata riscoperta come panacea
delle piaghe insanabili dell’economia borghese.
In
realtà, nulla è più lontano dal merito nel sistema capitalistico.
Le
aziende, l’apparato statale, la burocrazia, le scuole, i partiti, sono dominati
da gruppi sociali caratterizzati da privilegi che spesso passano di padre in
figlio, da una corruzione lampante, da appoggi clientelari. Guarda caso i
lavoratori che svolgono i lavori più pesanti e che comportano rischi per la
salute e la loro vita, sono anche quelli peggio pagati, assai meno dei
parassiti che non muovono paglia e fanno la bella vita.
Come
la mettiamo allora col decantato merito? Non è una questione di vocabolario, ma
di rapporti di classe. Il merito è sempre di chi ha più ricchezza, più
proprietà, più conoscenze e dunque più opportunità.
E’
di chi sostiene per scelta o per vigliaccheria la divisione in classi della
società, lo sfruttamento, la pace sociale che fa tanto comodo a chi ha il
potere economico e politico.
Il
“merito” in questa società serve ai padroni per soffocare le esigenze e le rivendicazioni
economiche e politiche della stragrande maggioranza dei lavoratori. Serve a
ridurre il monte salari, a rompere la solidarietà di classe, a moltiplicare le
divisioni e la concorrenza fra sfruttati. Serve a scassare i diritti
individuali e i contratti collettivi, a scoraggiare la lotta, lo sciopero, le
proteste contro un sistema inumano. E’ utile solo per formare un’aristocrazia
di privilegiati funzionale al potere dei padroni e dei loro governi.
Respingiamolo in massa e difendiamo uniti i nostri interessi di classe!
Da: Scintilla, n. 65 –
gennaio 2016 - teoriaeprassi@yahoo.it
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