Gianni Principi
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Presidente della Repubblica... avanti un altro!
Che ne è stato dei protagonisti degli ultimi trent’anni? Alcuni sono
impegnati, con scarsissimo successo, a risolvere la crisi del debito
sovrano, altri sono usciti di scena dopo aver fatto sfavillanti
carriere.
Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, l’uomo che
sancì la separazione fra tesoro e Banca d’Italia e che portò al
raddoppio del debito pubblico nel giro di soli undici anni, divenne
presidente del Consiglio nel 1993 e tale rimase fino al 1994. È stato
il primo presidente del Consiglio non parlamentare, con interessanti
analogie rispetto al governo Monti. Dal 1994 al 1996 fu chiamato come
vicepresidente alla Banca dei regolamenti internazionali, la banca di
coordinamento di 56 banche centrali compresa la Bce, a Basilea. Dal
1996 al 1999 fu prima ministro del tesoro con il governo Prodi, poi,
nel 1998, super ministro dell’economia, avendo accorpato i ministeri
del tesoro e del Bilancio in collaborazione con massimo D’Alema. Nel
maggio 1999 fu nominato presidente della repubblica, il secondo
governatore della Banca d’Italia dopo Luigi Einaudi a ottenere questa
carica.
La cosa curiosa è che Ciampi venne chiamato da Prodi prima e da
D’Alema poi a ridurre quel debito pubblico che lui stesso aveva
fortemente contribuito a creare, con il divorzio tra Banca d’Italia e
tesoro.
Altro protagonista di quegli anni è Romano Prodi, che gestì le grandi
privatizzazioni dell’Iri, fu allievo di Beniamino Andreatta e uomo del
potente De Mita, ministro dell’industria nel governo andreotti dal
1978 al 1979. Dal 1982 al 1989 Prodi fu presidente dell’Iri, poi
consulente di Goldman Sachs, e nel 1993 venne richiamato all’Iri
proprio dal presidente del consiglio Ciampi per gestirne il processo
di privatizzazione insieme a Mario Draghi. Nel 1996, eletto presidente
del Consiglio, continuò le svendite e proseguì l’azione di
«risanamento» dei conti pubblici: fu lui a guidare il rientro nello
Sme centrando i parametri di Maastricht e fu anche l’artefice della
famosa eurotassa che ci consentì di entrare in Europa. Nel 1999 venne
nominato presidente della Commissione europea.
In questa carrellata non possiamo dimenticare Mario Draghi che nel
1992, come abbiamo visto, era direttore generale del tesoro, presente
a questo titolo alla riunione sul Britannia dove si spartì il bottino
Italia, e dal 1993 al 2001 presidente del Comitato per le
privatizzazioni. Dal 2002 al 2005 fu vicepresidente del management
Committee Worldwide della Goldman Sachs. Dal 2006 tornò in Italia per
diventare governatore della Banca d’Italia e presidente del Financial
Stability Forum. Dal 2011 è governatore della Banca Centrale europea.
Da ricordare che nel 1998 è stato l’artefice del testo Unico della
Finanza con cui venne rimosso il divieto per le banche, previsto nella
legge bancaria del 1936, di sedere nei consigli di amministrazione
delle società finanziate.
Ed eccoci a Mario Monti che, chiamato dal presidente della repubblica
Giorgio Napolitano alla fine del 2011 a risolvere i problemi
dell’Italia, propone un’ulteriore perdita di sovranità a favore
dell’Europa. È la seconda volta nella storia della repubblica che un
non parlamentare diventa presidente del Consiglio. Ma, in questo caso,
Monti è stato nominato senatore pochi giorni prima dell’incarico. Nel
suo curriculum compaiono think tank di tutto il mondo, banche d’affari
come Goldman Sachs, compagnie come la Coca Cola, e il celeberrimo e
potentissimo Gruppo Bilderberg.
È interessante vedere come nelle biografie di tutti questi personaggi
ritorni sempre una collaborazione con Goldman Sachs. Sotto molti
aspetti, gli anni che sta vivendo oggi l’Italia sono abbastanza simili
al 1992. Una nuova tangentopoli sta minando alla base il rapporto fra
cittadini e politica, sullo sfondo di una crisi economica epocale,
molto più seria di quella degli anni Novanta perché la manovra della
svalutazione ci è proibita. Nel 2012 il Pil si è contratto del 2,7 per
cento per il 2012 e si prevede una lenta stagnazione con un Paese
distrutto sia a livello economico che industriale, fortemente minato
nella sua autostima.
Ma questa volta la famosa frase del principe di Salina nel romanzo Il
Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, «Se vogliamo che tutto
rimanga come è, bisogna che tutto cambi», probabilmente non
funzionerà. Alla base della piramide politica stanno avanzando nuove
forze che usano strategie e armi atipiche, aliene alla casta italiana.
Di fronte a questi fenomeni inediti gli uomini e le donne delle
istituzioni tremano, la loro retorica da colonizzatori è ridotta al
silenzio dalla dissacrazione e dalla denuncia.
Un esempio ce lo regala lo stesso Monti in uno dei tanti talk show
italiani: «Oggi secondo me si assiste, e non è un paradosso, al grande
successo dell’euro… e qual è la manifestazione più concreta del grande
successo dell’euro? La Grecia, perché l’euro è stato creato sì per
avere una moneta unica, ma soprattutto per convincere la Germania, che
ha fatto il grande sacrificio di rinunciare al marco per avere una
moneta europea, che attraverso l’euro, attraverso i vincoli che
nascono dall’euro, la cultura della stabilità – il presidente Ciampi
richiamava sempre la cultura della stabilità tedesca – si sarebbe
diffusa un po’ per volta a tutti. Quale caso di scuola si sarebbe
potuto immaginare il caso limite di una Grecia che è costretta a dare
abbastanza peso alla cultura della stabilità e sta trasformando se
stessa».
La Grecia, prossima alla bancarotta, come prova del grande successo
dell’euro. Sarebbe ridicolo, se non fosse crudele. Con politici capaci
di simili enormità non è sorprendente che non solo in Italia ma in
tutta Europa la fronda dei nuovi movimenti politici si allarghi, e che
l’eco delle loro rivendicazioni sia arrivata anche nel Parlamento
europeo. Quell’istituzione da noi eletta che guarda caso, nella
gestione di tutta questa crisi, non ha avuto alcuna voce in capitolo.
Dov’è finita la politica?
Loretta Napoleoni
(Fonte: http://www.byoblu.com/post/
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