*L’11 giugno del 1974 moriva il filosofo Julius Evola. Riproponiamo di seguito l’articolo di Carlo Cerbone pubblicato il 13 giugno del 1974 e dedicato all’opera di un pensatore scomodo*
*Ha voluto morire in piedi* – come è vissuto – dinanzi al suo tavolo di
lavoro al quale da molto tempo ormai non si accostava, costretto come era
all’assoluta immobilità. Presentendo la fine,*Julius Evola ha chiesto di
essere trasportato al suo scrittoio* e lì, pochi minuti dopo, si è spento.
Chi lo ha conosciuto, chi conosce la sua opera ed il Suo insegnamento, sa
che quest’ultima sua volontà non è solo un “gesto”, sia pur bello, ma è
molto di più poiché ha un significato preciso e chiude in perfetta coerenza
la sua vita.
Julius Evola non è stato solo un filosofo rigoroso, uno studioso delle
civiltà tra i maggiori del nostro tempo, un orientalista di fama
internazionale, il maggiore esponente del dadaismo in Italia; non è stato
cioè un “intellettuale” freddo e distaccato, impegnato solo a rincorrere le
costruzioni della propria mente, ma un uomo che ha vissuto il proprio
pensiero e le proprie scelte, che *ha tradotto ciò che pensava e sentiva in
modo di essere ed in realtà esistenziale*con una coerenza rigorosissima che
nulla ha mai potuto intaccare.
*Nato a Roma il 19 maggio 1898 da famiglia palermitana*, volontario di
guerra, sentì precocemente come suo compito una critica radicale del mondo
moderno, rifiutato nella sua totalità in quanto epoca di dissoluzione. Il
nichilismo inevitabilmente lo affascinò spingendolo all’avanguardia dei
“controcorrente”: seguì così dapprima il movimento di *Lacerba* (era il
tempo in cui Papini faceva l’individualista anarchico, nichilista e
antiborghese) ed il futurismo; poi, subito dopo la guerra, il dadaismo il
quale, come egli stesso scrisse più tardi, “non soltanto nel campo
dell’arte ma altresì con riferimento ad una visione generale della vita
portò le istanze di un rovesciamento di tutto fino a limiti radicalistici
finora non superati”. A questo periodo appartengono il poema in francese *La
parole obscure du paysage intérieur* e la produzione pittorica (un suo
quadro, precisamente *Paesaggio interiore ore 10,30*, è conservato nella
Galleria nazionale di Arte moderna di Roma accanto alle opere di Umberto
Boccioni).
Ma il nichilismo non poteva bastare ad una natura e ad una intelligenza
come la sua. “Il primo problema per una natura simile – ha scritto *Adriano
Romualdi* interpretando acutamente il passaggio di Evola al periodo
filosofico – era pervenire a rendersi conto del motivo della propria
presenza nel nostro tempo. La soluzione di questo problema è la condizione
fondamentale per sfuggire al nichilismo che, in un’epoca di dissoluzione,
non può non affascinare i migliori. Evola si è sbarazzato di questa
difficoltà accettando la sua presenza in questa vita come una libera sfida,
quasi la scelta di un volontario che chiede di essere mandato in un settore
maldifeso del fronte”. Attraverso una grave crisi Evola sbocca così nel suo
“periodo filosofico”. *L’ardita ricerca dell’assoluto*, che già lo aveva
gettato allo sbaraglio nell’arte di avanguardia, lo spinge a trovare
logicamente “la necessità dell’Io di trovare il principio e la legge in se
stesso”. Escono così la*Teoria* e la *Fenomenologia dell’individuo assoluto*,
dove la giovanile meditazione su Nietzsche, Weininger e Michaelstaedter dà
vita ad una critica originalissima delle posizioni dell’idealismo che crea
un vivo disagio tra i fedeli di questa corrente filosofica (benché non
manchino i riconoscimenti, come quello di Croce).
Ben presto anche la parentesi filosofica sarà chiusa e la spiegazione di
questo abbandono la diede direttamente Evola stesso premettendo ai *Saggi
sull’idealismo magico* queste significative parole di Lagneau: *“La
filosofia è la riflessione che finisce col riconoscere la propria
insufficienza e la necessità di un’azione assoluta partente dal di dentro”:*
Sarà appunto verso questo sforzo di realizzazione interiore tendente
all’estensione della volontà cosciente fin dentro la sfera della morte, che
Evola si indirizzerà successivamente. Escono così *L’uomo come potenza*, il
primo studio italiano sui Tantra, *La dottrina del risveglio*, un saggio
sull’ascesi buddista che ha avuto il crisma della Pali-Society di
Londra e *Maschera
e volto dello spiritualismo contemporaneo* in cui Evola distingue la sua
posizione da quella dei volgari spiritualisti ed occultisti in una critica
magistrale di tutti questi movimenti.
Con l’affermarsi ed il consolidarsi del fascismo ad Evola sembra che si
apra per l’Occidente una prospettiva di rinascita. Se *da un lato respinge
l’indiscriminata qualifica di fascista e rifiuta la tessera del partito,
dall’altro Evola non può non solidarizzare con gli uomini della
“rivoluzione nazionale”.* Da queste speranze nasce un libro come *Imperialismo
pagano* e nel clima da esse suscitato esce l’opera principale di Evola,
quella della maturità, in cui il suo pensiero è definitivamente
fissato: *Rivolta contro il mondo moderno*, che è essenzialmente una morfologia della storia.*
In essa Evola fissa organicamente la contrapposizione tra mondo
tradizionale e mondo moderno, tra il mondo dell’essere, della trascendenza,
dell’ordine e quello del divenire, dell’immanenza, del caos, caratterizzato
dall’avvento delle masse e dal predominio dell’economia*. Benché sia giunta
alla quarta edizione l’opera non ha avuto in Italia la risonanza che
meritava e che invece ha conosciuto all’estero e in particolare in
Germania. Gottfried Benn, uno dei maggiori poeti e saggisti tedeschi, ha
scritto di essa: “E’ un’opera la cui importanza eccezionale apparirà chiara
negli anni che vengono. Chi la legge si sentirà trasformato e guarderà
l’Europa con sguardo diverso”. Gli scritti successivi dipendono da
“Rivolta”. Ad essa si riaggancia direttamente *Gli uomini e e le rovine*,
testo fondamentale di dottrina politica che costituì il contributo di Evola
alla battaglia nazionale degli anni Cinquanta. Il suo ultimo contributo
politico: il ristagno della situazione politica italiana all’alba degli
anni Sessanta e l’accelerarsi del moto discendente della civiltà
occidentale contribuirono infatti ad allontanarlo definitivamente dalla
politica.* “Il suo interesse – ha scritto Adriano Romualdi – si sposta
lentamente verso quei sentieri lungo i quali si può attraversare incolumi
la foresta pietrificata del mondo moderno”.* In *Metafisica del sesso*,
tradotta in francese e in tedesco, indaga i significati profondi dell’esser
uomo e dell’esser donna; in *Cavalcare la tigre tratteggia la figura del
tipo umano capace di attraversare il deserto del nichilismo contemporaneo.*
*Cavalcare la tigre, apparso nel 1961, è l’ultimo libro importante di
Evola, quello con cui si chiude il ciclo propriamennte creativo**. È
significativo che la sua opera, scaturita da un’amara ma lucidissima
meditazione sulla decadenza dell’uomo moderno, si sia chiusa con un libro
che, nonostante rappresenti un ritorno al nichilismo (in verità però molto
diverso da quello dei primi anni) ed esponga tesi estremamente radicali,
sia ugualmente portatore di una parola di certezza nella dottrina del
superamento e della vittoria.*
A questo punto appare chiaro perché l’ultima volontà di Evola – morire “in
piedi” – non costituisca solo e semplicemente un gesto. In piedi ha
trascorso tutta la sua vita assumendosi fino in fondo, di fronte a se
stesso e agli altri, la responsabilità del proprio pensiero. *E’ stato
definito un maestro* (il che non gli piaceva, coerentemente col suo modo di
pensare e sentire)*ed effettivamente lo è stato, nella pienezza
dell’espressione, per l’insegnamento, cioè, e per l’esempio*. Un
insegnamento e un esempio che hanno lasciato una traccia profonda, che sono
cioè valsi anche per quanti non hanno ritenuto di poter accettare tutto il
suo pensiero e magari i presupposti stessi di esso.
Carlo Cerbone
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