Valorizzare l'incompetenza con i turn-over del renzie
Una
gara pubblica ogni tre anni - oppure ogni sei per i più “fortunati” -
per ottenere gli incarichi, valutazioni basate su requisiti, parametri
standard e obiettivi e mobilità più semplice fra le diverse
amministrazioni e fra la Pa e il mondo privato.
Suona
così la descrizione della vita futura del dirigente pubblico,
prospettata dalla delega sulla riforma della Pubblica amministrazione
che dopo una navigazione parlamentare non proprio fulminea arriva il 28 aprile 2015 al primo voto decisivo nell’Aula del Senato.
Per
rispettare il calendario governativo, che prevederebbe approvazione
finale e primi decreti attuativi entro l’estate, bisognerà accelerare
parecchio, perché anche la Camera vorrà ovviamente dire la sua e una
terza lettura a Palazzo Madama è quasi scontata.
In
ogni caso, il testo che uscirà in settimana dal Senato indica in modo
preciso la direzione che governo e Parlamento vogliono far imboccare
alla riforma della Pubblica amministrazione, a partire dal tema più
delicato dal punto di vista politico: le nuove regole per 41.500
dirigenti pubblici italiani.
Gli obiettivi
Le parole d’ordine evocano «mobilità » e « merito »,
come accade per ogni riforma della Pubblica amministrazione che si
rispetti. Sta di fatto, però, che i tentativi portati avanti finora,
compresi quelli più “aggressivi” previsti dalla riforma Brunetta, non
sono andati a segno.
Al
punto che il riassunto più efficace dei «nodi irrisolti» della
dirigenza pubblica si legge nell’ultimo rapporto della Corte dei conti
sul coordinamento della finanza pubblica: «Un
idoneo sistema di valutazione della capacità manageriale, presupposto
per la corresponsione della retribuzione di risultato, non è mai entrato
a regime», scrivono i magistrati contabili, e nessun passo avanti è
stato fatto nella ricerca dell’equilibrio fra «le esigenze di
flessibilità organizzativa» e «l’effettiva autonomia gestionale dei
dirigenti nei confronti degli organi politici ».
Tradotto,
significa che i dirigenti, pur avendo pagato dazio per il congelamento
di contratti e retribuzioni individuali, hanno continuato a ricevere i
vecchi “premi” generalizzati a prescindere dai risultati raggiunti, e
che il rapporto con la politica è tutt’altro che risolto.
Il ruolo unico
Proprio
su questi due temi interviene il capitolo più discusso della riforma,
quello che passa sotto l’etichetta di «ruolo unico» della dirigenza
pubblica.
Sul
piano operativo, in realtà i «ruoli unici» sono tre, dedicati
rispettivamente ai dirigenti statali, regionali e degli enti locali, ma
nelle intenzioni della riforma le tre strade saranno disciplinate da
regole identiche e dovranno avere molti incroci per permettere il
passaggio da un settore all’altro.
L’obiettivo,
sul quale lo stesso ministro della Pa e della semplificazione, Marianna
Madia, ha insistito più di una volta, è quello di creare il «dirigente della Repubblica », abbattendo le barriere che trasformano in compartimenti stagni i vari settori dell’amministrazione.
Gianni Trovati
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