L’Operazione Midnight Hammer condotta dagli Stati Uniti nei giorni scorsi si presta a una molteplicità di letture. L’azione, anticipata con largo preavviso da Washington a Teheran, avrebbe secondo il direttore della Cia John Ratcliffe e la direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard «devastato i siti nucleari iraniani», sebbene un’analisi della Defense Intelligence Agency e le stesse esternazioni formulate dal vicepresidente Jd Vance suggeriscano un impatto di gran lunga più contenuto. È, in altri termini, alquanto improbabile che l’impatto reale degli attacchi statunitensi contro gli impianti iraniani trovi preciso riscontro nella narrazione confezionata ad arte da Washington.
Cionondimeno, la “verità politica” di cui l’amministrazione Trump ha tratteggiato i contorni si è rivelata funzionale a interrompere il conflitto tra Israele e l’Iran, nell’ambito di una tregua provvisoria annunciata trionfalmente dallo stesso inquilino della Casa Bianca. Il quale torna quindi – sulla falsariga di quanto accaduto rispetto al conflitto russo-ucraino – ad atteggiarsi a mediatore più o meno super partes, a fronte di proteste ufficiali formulate da gran parte del mondo nei confronti dell’aggressione sferrata contro l’Iran e del rapido sgretolamento della base elettorale su cui è stato costruito il movimento Make America Great Again (Maga).
La situazione appare paradossale, con i governi di Teheran, Tel Aviv e Washington che dichiarano simultaneamente di aver prevalso sulle controparti nell’ambito di uno scontro che sembra tutt’altro che chiuso.
Giacomo Gabellini
Video collegato:
Il Contesto. Israele ha fallito, ma non si fermerà. Con Jacques Baud: https://www.youtube.com/watch?v=gJD1J4rLyYY
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