Nei terminali del gasdotto TAP che porta gas dall’Azerbaijan all’Italia, sono state scoperte emissioni continue da sfiati che dovrebbero attivarsi solo in caso di emergenza. Un gruppo di attivisti locali ha cercato di misurare il problema.
Fino a qualche tempo fa, i contadini del Salento costruivano muretti a secco per segnare i confini delle campagne, proteggere le colture dal vento di Scirocco e dividere i campi dagli spazi per il pascolo.
Oggi, appena fuori Melendugno, in provincia di Lecce, questi stessi muretti fanno da cornice a un paesaggio cambiato: oltre le pietre antiche che ora delimitano uliveti secchi e campagne espropriate, spuntano alte inferriate, fili spinati e telecamere a ogni angolo che sorvegliano strade di campagna ormai deserte.
Al di là delle barriere di metallo si estende il terminale di ricezione dell’ultimo segmento del Corridoio meridionale del gas (Sgc), che dall’Azerbaijan attraversa Grecia e Albania per arrivare in Italia. L’ultimo tratto del Sgc si chiama Trans adriatic pipeline (Tap) ed è tra i più grandi progetti dell’industria dei combustibili fossili mai realizzato in Europa.
Il terminale, a dieci minuti dal centro abitato, si estende su un’area recintata di dodici ettari e comprende uffici, torri di controllo e camini. Incorniciato dagli ultimi antichi ulivi rimasti dopo i lavori di costruzione, il terminale si occupa esclusivamente di misurare flusso, pressione e quantità del gas prima dell’immissione nella rete nazionale di distribuzione gestita da Snam.
Il gasdotto Tap è amministrato da un’omonima joint venture svizzera, Tap Ag, i cui soci sono British Petroleum (20%), Socar (20%), Snam (20%), Fluxys (20%) ed Enagás (20%).
Teresa Di Mauro e Vittoria Torsello
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