lunedì 4 maggio 2020

Eliminare i vecchi, neutralizzare i giovani, arruolare il resto...


Coronavirus, anziani respinti da ospedale muoiono dopo 7 giorni ...

Abbiamo assistito all’eliminazione dei vecchi tramite assembramento di infetti nelle case di riposo, intubazioni letali a chi poteva essere curato con eparina o clorochina, come incomincia a succedere da noi e altrove, alla faccia dei bonzi sanitari che, grazie al vaccino, aspettano di farsi depositi di Paperoni e califfati tipo quelli del Golfo. 

Abbiamo visto i nuovi Mengele, Alan Dulles e Shimon Peres, dell’eugenetica costringerli a morire in casa per interruzione delle cure, tutte sospese, mancanza di moto, aria, sole, socialità, per depressione, infarti, perfino inedia. 

Pulizia generazionale di deboli, improduttivi e costosi che avevano tuttavia la grave colpa di infettare il Nuovo Ordine Mondiale con il patrimonio della memoria di cose, nomi, valori, libertà.

E poi al danno, se così si può definire, l’insulto. Alla persona che muore e che, su falsi pretesti, in maniera sadica viene privato del conforto dei suoi brani di vita affettiva nei momenti del freddo che gela il midollo. Alle persone consanguinee, con-affettive, che si vedevano negate la vicinanza del massimo reciproco bisogno. Nessuno a cui ribadire  che ci è cara la sua vita, nessuno da cui farsi accompagnare in un passaggio che, da solo, vuol dire orrore. Da Antigone, da quando eravamo animali pre-umani, la morte, come la nascita, misteri insondabili che ogni civiltà ha affrontato con ritualità sacra, era onorata, alleviata, accompagnata.

La questione cellulare: sì o no?

Ma tocca anche ai giovani. Non di morire. I feldmarescialli hanno bisogno di turnover. Ai giovani tocca di non rompere, come sarebbe nella loro natura di incontaminati dalla vista chiara e, come troppe volte è stato nella Storia, di agenti di cambiamenti radicali, catastrofici per le élites dell’epoca. Tocca ammazzarli, nel senso di decerebrarli, da piccoli. Tutti ricordano di cosa accadde cinquant’anni fa in quasi tutte le strutture dell’istruzione, dalle medie, con ragazzini e adolescenti, alle università dei ventenni e, poi, nelle fabbriche e nei quartieri, con tutta una generazione. Se non nelle fondamenta, il palazzo dell’élite tremò nei vetri e nelle pareti. Ne sono ancora terrorizzati.

Sfumata l’operazione AIDS, di negazione della sessualità conquistata in quegli anni, scoperchiata da guerre e sanzioni a classi e nazioni la “guerra al terrorismo”, hanno capito che dovevano colpire alla radice della vita. Per neutralizzare i caratteri vitali, la forza, la curiosità, l’intelligenza delle nuove generazioni, bisognava ridurne l’“assembramento”, sempre gravido di intemperanze e minacce. Impedire l’associarsi, l’incontrarsi, l’organizzarsi, che a una generazione danno un carattere, addirittura una fisionomia, comune, rabbie e aspirazioni condivise, come succede nelle rivoluzioni, con la ricchezza delle sue diversità e sfaccettature. Un sognare, sentire, pensare, volere che produce forza di massa.


Fulvio Grimaldi  

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