venerdì 18 dicembre 2015

Verso un caldo Natale "musulmano"



Tragica vicenda, quella di questa invasione accolta a braccia aperte dai governi (non dai popoli) degli Stati invasi. Tragica ma talora comica o, meglio, ridicola.
Prendete la polemica su Presepi e Alberi di Natale, una polemica che – con poche variazioni – da alcuni anni a questa parte si ripete ad ogni festa comandata. A Natale, poi, i patiti del masochismo multiculturale danno il meglio di sé. Imputato principale – manco a dirlo – è il Presepe, il più dolce fra i simboli del Natale cristiano, caro a tutti noi, quale che sia il nostro grado di adesione ai dettami della Chiesa. Per tutti noi – laici o clericali – il Presepe è parte integrante della nostra identità, delle nostre radici, delle nostre tradizioni culturali, dei nostri ricordi familiari. È una di quelle cose che ci caratterizza (il Presepe, peraltro, è un’antica invenzione italiana) ed a cui non intendiamo rinunziare. Così come non intendiamo rinunziare a tutti quanti i nostri usi e costumi, anche a quelli meno edificanti dei simboli natalizi.
E, invece, ecco il Carneade di turno conquistare i suoi cinque minuti di celebrità proclamando il ripudio di tutte le feste e di tutti i simboli che possano infastidire gli estranei che hanno trovato accoglienza in Italia. Non solo dobbiamo accoglierli, ma dobbiamo rinunziare alle nostre tradizioni più care per non farli sentire a disagio. Dobbiamo essere – come dicono a Napoli – cornuti e mazziati.
Eppure, questi 6 milioni di ospiti non paganti che ci ritroviamo sul groppone non li abbiamo mica cercati noi, non li abbiamo costretti a venire in Italia. Potevano benissimo andare in un Paese musulmano. Ce ne sono tanti, anche di ricchissimi. Il Qatar – per esempio – ha un PIL pro-capite di 137.162 dollari (il nostro è di 35.131). Vero è che in certi Paesi arabi si può entrare solo su invito nominativo, non certamente violandone i confini. Vero è che in certi Paesi arabi gli immigrati ricevono paghe da fame e sono praticamente schiavi dei datori di lavoro che li hanno “invitati”. Vero è che in certi Paesi arabi non è possibile delinquere, perché ai ladri viene mozzata la mano destra. Vero è che in certi Paesi arabi bisogna rigar dritto anche per quanto attiene alle abitudini sessuali, diversamente si va incontro ad un ventaglio di pene che va dalla lapidazione (per le adultere) alla decapitazione (per gli omosessuali). Vero è che certi Paesi arabi difendono i loro confini senza andare troppo per il sottile. L’Arabia Saudita – per esempio – ha commissionato a un consorzio di imprese europee la costruzione di un muro anti-immigrati lungo mille chilometri, per proteggere il suo confine settentrionale. E non si tratta di un reticolato casereccio, come quelli che costruiscono alcuni Paesi europei e che turbano i sonni del presidente Mattarella. No, affatto: quello saudita è un “sistema” di più barriere consecutive, servito da 8 centri di comando, 32 centri d’intervento rapido e 78 torri di controllo; più, naturalmente, reparti in armi, mezzi blindati e elicotteri. Avete capito come uno Stato serio difende i suoi confini?
Ma lasciamo stare i muri e torniamo ai presepi. Siccome non è obbligatorio venire in Italia, chiunque arriva e mette le tende qui da noi deve, almeno, avere il buon gusto di dare il minor fastidio possibile. Deve, quindi, rispettare non soltanto le nostre leggi, ma anche la nostra cultura, i nostri usi, i nostri stili di vita. Chi soffre vedendo un Presepe o le gambe delle Veline – mi si perdoni l’accostamento – è libero di andarsene.
Ciò premesso, va anche detto che non sono gli immigrati – tranne i più bigotti – a protestare per alberi di Natale, uova di Pasqua o per il Crocefisso nelle scuole. Sono i nostri “immigrazionisti” che assumono una difesa d’ufficio cui nessuno li ha chiamati. Sognano un’Italia (e un’Europa) non soltanto senza frontiere e senza “muri”, ma anche senza una propria identità antropologica (sarebbe razzismo!), senza valori che non siano quelli “condivisi”, senza usi, senza simboli, senza nulla che possa ricordare l’esistenza di popoli diversi, di nazioni diverse, di comunità diverse. Detestano le specificità, soprattutto le nostre, soprattutto quelle che hanno fatto grandi la nostra patria e le patrie europee. Amano soltanto il mondo, un mondo piatto, uniforme, indistinto, senza diversità, senza anime.
Esattamente come la finanza globalista, come i poteri forti che vogliono abbattere i confini e cancellare i popoli, come gli assertori di un “nuovo ordine mondiale” fondato sulla tirannia del danaro. Mai come in questo caso gli estremi si toccano. E in un mondo senza più Destra e Sinistra degne di questi nomi, il mondialismo miliardario e il mondialismo proletario si sovrappongono, si amalgamano, si confondono. Con una differenza: il mondialismo – diciamo così – di destra bada alle cose concrete, alle banche, alle privatizzazioni; il mondialismo – diciamo così – di sinistra se la prende con i panettoni e con le renne di Babbo Natale.

Michele Rallo

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