giovedì 15 gennaio 2015

Intelligence, PIL e guerra....




In un contesto di crisi finanziaria potenziale dei Paesi di più antica industrializzazione (dove il totale dei titoli tossici è pari a 54 volte il PIL mondiale) si comincia con una guerra commerciale devastante: pur di colpire la Russia nei suoi più intimi interessi (l’esportazione degli idrocarburi), si vuole spingere il prezzo del petrolio sotto il costo di estrazione dell’ex impero sovietico. 

L’Arabia saudita ci sta perché in combutta, come sempre con la finanza di Londra, tanto può contare su un costo di estrazione intorno al 25% più basso rispetto ai Russi. 

Il rublo va giù, ma finchè la Russia esporta e la Banca Centrale si ricorda che può comprare rubli coi dollari del petrolio, non dovranno esserci problemi per Mosca. Peggio per tutti coloro che invece, con in testa gli Americani, si erano impegnati per ardimentose estrazioni o produzioni petrolifere scontando prezzi del petrolio oltre i 100 dollari al barile, o comunque, mai sotto i 70: segno che gli USA, se c’è da far guerra, non badano a spese; ma lo stesso crack delle società dell’occidente coinvolte negativamente nel crollo dei prezzi, potrebbero innescare fallimenti a catena.
 
I BRICS, invece, vanno benone ed i minori, ma sempre alti, loro tassi di sviluppo sono collegabili al fatto che essi puntano maggiormente sulla domanda interna. E questa è la scelta vincente che li porterà a superare gli indebitatissimi “occidentali”. 


Mentre questi ultimi, Germania in testa, continuano su percorsi da deflazione. Tra due settimane si vota in Grecia e le borse, che hanno festeggiato gli attentati di Parigi, danno, invece, segnali opposti quando si prospetta una vittoria di Tsipras. La sua proposta di ristrutturare il debito greco, infatti, costituisce un pericolo ben più grande, per i creditori (vale a dire le grandi banche tedesche, francesi e…) della proposta di Draghi di comperare i titoli pubblici o quantitative easing (QE). In ogni caso (ristrutturazione o QE), verrebbero chieste contropartite ai beneficiari: ciò rende perciò debole la proposta di Tsipras (e di chi vorrebbe imitarlo) e riduce quella di Draghi ad un fiscal compact in cui ciascun Paese che abbia un debito pubblico oltre il 60% del PIL dovrà svendersi senza alcun beneficio sul fronte dello sviluppo e dell’occupazione. 

Dopo il 2008 le Banche Centrali hanno autorizzato mezzi monetari illimitati a favore delle banche indebitate e in crisi di liquidità senza chiedere nulla in cambio, nemmeno di smetterla.

L’unica soluzione per Grecia, Europa e Paesi di più antica industrializzazione, quindi, è di abbandonare l’attuale modello finanziario basato sul debito all’infinito accettando uno sviluppo socialmente sostenibile; invece, i grandi centri del potere finanziario preferiscono la guerra.

Ma questa volta c’è un piccolo problema: i servizi segreti ed i vertici militari americani e israeliani non sono d’accordo… chi vincerà?

Nino Galloni


(Fonte: http://scenarieconomici.it/)

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