martedì 13 dicembre 2016

Urge abbattere la gerarchia maschilista che domina la chiesa... si dia spazio al femminile


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Al Vescovo di Roma Jorge Mario Bergoglio
al Segretario di Stato Arcivescovo Pietro Parolin
al Card. Angelo Bagnasco
Si sa che nella Chiesa la donna è sempre stata emarginata.
Già dai primi inizi, nella comunità apostolica, dove Paolo la sottomette all’uomo in termini forti: «come Cristo è capo dell’uomo, così l’uomo è capo della donna». Dove le impone il velo: una tradizione della sinagoga ebraica che è durata poi per millenni e infine è caduta in disuso. Dove
le impone rudemente di tacere nell’assemblea. Ma anche Pietro si esprime in termini analoghi.
Il Concilio Vaticano II, almeno di passaggio, riconosce la «perfetta eguaglianza di uomo e donna […] in quanto persone umane», l’«identica dignità a immagine di Dio» (GS 9, 29; ripresa con forza dal nuovo Catechismo, 369-370).
Ma quando nel 1958 la Chiesa luterana di Svezia apre alla donna l’ufficio di pastore; poi le chiese episcopaliane d’America, a partire dal 1974; la Chiesa anglicana, prima in Canada, poi in Inghilterra, nel 1975 (e in seguito anche l’ufficio di vescovo più o meno in tutta la Riforma),
allora la cattolica Congregazione per la dottrina della fede pubblica un documento, Inter insigniores, del 15/10/1976, in cui interdice alle donne il sacerdozio: la funzione gerarchica, e tutta la struttura gerarchica è riservata al maschio («Il Regno-Documenti», 22, 1977, n. 348, pp. 98-102)..
E quali argomenti adduce?
che la scelta del Cristo stabilisce un modello, indica una volontà precisa (una mera illazione);
che v’è una tradizione continua e universale (la stessa dell’asservimento della donna);
che essendo la Chiesa sposa di Cristo, lo sposo dev’essere maschio (ridicolo abuso di un linguaggio simbolico);
che l’incarnazione è avvenuta nel sesso maschile, e così deve avvenire la santificazione. Ma il Cristo si è fatto uomo e ha scelto come apostoli solo uomini perché la donna in Israele non era circoncisa, e quindi propriamente non apparteneva al popolo di Dio; non poteva studiare la torah, la sacra legge ebraica, non poteva parlare nella sinagoga, né testimoniare in giudizio; non aveva alcuna prerogativa o diritto nella vita pubblica.
Ma è chiaro che Dio non è né maschio né femmina, e tale è il Figlio che si fa uomo;
che, se si fa maschio, è solo per le ragioni contingenti addotte sopra.
Ragioni che ora l’umanità ha superato, riconoscendo la parità e pari dignità di uomo e donna.
Che attende allora la Chiesa cattolica a riconoscere appieno questa parità, abbattendo una gerarchia fatta tutta di maschi, introducendo la donna nel sacerdozio e nell’episcopato?
Che attende a superare infine questa emarginazione.?
Prof. Arrigo Colombo
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Con l’adesione di Paolo D’Arpini
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