venerdì 10 giugno 2016

Tanatologia - Post Mortem. La vita continua?





Stiamo vivendo un momento assai buio nella conoscenza  della natura dell’uomo.

Si parla tanto della vita senza sapere cosa sia la vita. Quale è, domando, la natura della vita? Dove la trovo? Di che è fatta la vita?

Ognuno parla senza sapere, anzi, meno sa e più parla, e questo anche ai più alti livelli.

Sento pontificare sulla fine della vita. Può mai la vita finire?

Sarebbe sufficiente, prima di parlare, fare riferimento, anziché a frasi fatte, a definizioni prive di fondamento, prendere in mano i grandi libri sapienziali di tutte le tradizioni:

Il Bardo Thodol per il Buddhismo – Le Upanishad e la Bhagavad Gita per l’Induismo, Il Tao teh Ching per il Taoismo, la Cabbalah per l’Ebraismo, l’Antico e il Nuovo testamento per il Cristianesimo, il Corano per l’Islam, ma anche la visione dei grandi saggi di tutte le tradizioni, per sapere che non vi può essere una fine della vita, perché la vita è eterna:

Vi ho scritto queste cose perché sappiate che la vostra vita è eterna (I° lettera si Giovanni 1-5-13

Nessuno muore perché l’anima porta in sé i segni della sua eternità (Corano LXXV.38)

Ciò che esiste non può cessare di esistere (Bhagavad Gita II°.16)

Non morirò, resterò in vita e annuncerò le opere del Signore (Bibbia – Salmo 118.17)

Bisogna che l’uomo accetti la morte come accetta la nascita allora imparerà che non deve morire, ma che la sua vita è eterna (Cabbalah)

Perché tutti i grandi testi ci dicono che la vita è eterna?

Perché la vita non è un dono di Dio, come oggi, ai più alti livelli viene predicato, ma è Dio stesso.

Nella Genesi leggiamo: “Dio fece l’uomo dagli elementi della terra. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne anima vivente”.

Il soffio, il respiro di Dio, che è la vita di ogni cosa creata è il Divino stesso, non un suo dono.

D’altra parte come potrebbe essere concepibile nel Dio-Amore il fatto che Egli doni all’uomo la vita e poi però ne faccia di questo dono ciò che Lui vuole, e quando vuole depredi l’uomo del dono che gli ha dato. Che Dio-Amore sarebbe. Nessuna madre, appena appena amorevole, farebbe altrettanto.

No! La vita è il Divino stesso che fluisce nell’umano, è l’Assoluto che permea il relativo della Sua natura, è l’Infinito che porta il finito a perdere i suoi limiti.

Ma questo errore fondamentale determina due grandi e gravi conseguenze: l’attaccamento al corpo, con la grande confusione che noi siamo un corpo che ha un anima, anziché la verità e cioè che noi siamo un’anima che si dota, su questo piano di esistenza, di un corpo per realizzare lo scopo della vita.

Non conosciamo lo scopo della vita e quindi la identifichiamo con qualcosa che è impermanente: il corpo.

Eppure tutte le tradizioni spirituali, compresa la nostra, sono assai chiare sullo scopo della vita

Sarebbe sufficiente leggere nel Catechismo della Chiesa Cattolica (Cap.II°), la grande affermazione di San Attanasio di Alessandria, padre della Chiesa,  ribadita poi da tutti i grandi Maestri della nostra Teologia: “Dio divenne uomo perché l’uomo divenga Dio”.

L’Islam lo conferma:

“La conoscenza di Dio è la ragione stessa della creazione del mondo”

“La via della conoscenza della vita è la Fana’hiLlah , l’unità con la Divinità, la riunione con l’Assoluto”

Ricordo a questo proposito le rime di due grandi poeti dell’oriente:

“La realtà della vita è la vita, il cui inizio non è nel grembo materno e la cui fine non è nel sepolcro. La materia ed il suo mondo sono un sogno a paragone del risveglio che noi chiamiamo con terrore: morte”
(Kahlil Gibran – The voice of the Master)

"Il concetto di “io” e “tu” deve nella vita divenire Uno e fondersi nell’Amato" - (Rumi – Poems)

Nel nostro Credo si testimonia che la vita non è che lo Spirito Santo che procede “dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre”. Su questa Verità si è generato il grande scisma d’Oriente. Ed ora noi neghiamo questa verità affermando che la morte sia la fine della vita.

Questa affermazione genera la visione della vita come un segmento che ha un inizio, la nascita, ed una fine, la morte. Se questo fosse vero saremmo sepolti dai misteri:


Chi ero io prima di nascere? C’ero o non c’ero, e se c’ero come ero? MISTERO
Perché, se la vita è una ed è preziosa, uno vive 94 anni ed uno muore a 16 per un incidente? MISTERO
Perché se la vita è una ed è preziosa, uno nasce in una famiglia ricca ed un altro nasce nel Biafra e muore di fame? MISTERO

Potete trovare quanti MISTERI volete, i MISTERI si accavallano come onde di uno tsunami. Nulla può essere conosciuto, tutto è mistero.

La vita, invece, nella Verità portataci dalle grandi tradizioni spirituali, dai grandi saggi di ogni tempo, è un ciclo eterno, inestinguibile, non nato.

Questa Verità è anche patrimonio della nostra scienza fin dalla fine del 1700, quando il grande padre della chimica moderna, Antoine Laurent Lavoisier, concludendo lo studio sulla conservazione della massa ha affermato: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto di trasforma”.

Questa legge è stata poi ribadita da Einstein nella “teoria generale e speciale della relatività” e nella “teoria del campo unificato”.

La vita non è quindi qualcosa separata da noi. E’ la nostra stessa natura essenziale ed eterna. Noi siamo la vita. Noi abbiamo il libero arbitrio di gestire la nostra vita con la visione che la vita ha uno scopo altissimo che abbiamo già chiarito. Essa non finisce con la fine
dei corpi che la rivestono.

Alla luce di questo dovrebbe essere pensato il testamento biologico. Non si dovrebbe speculare su queste verità dimostrando tutta l’ignoranza, l’oscurità, la presunzione di cui siamo testimoni oggi.

Abbiamo nuovi crociati che combattono e fanno danni irreparabili in nome della fede, nuove suffragette che strillano e si disperano in difesa della vita, come se la vita avesse bisogno di loro e dovesse essere difesa, nuove inquisizioni che denunciano e vogliono condanne.

Bisogna avere molta compassione di loro, sono veramente in grave condizione, perché pensando che la vita sia legata al loro corpo non pensano che prima o poi questo corpo dovranno lasciarlo.

Come tanatologo, accompagno da tanti anni i malati terminali verso la soglia della morte e conosco bene come queste affermazioni siano generatrici di paura, di attacchi di panico, di dolorosissimi sensi di colpa quando la morte del corpo si avvicina.

Bisognerebbe consigliare a costoro che urlano nel nome di Cristo e denunciano Papà Englaro e lo vorrebbero in carcere per tutta la vita che si rileggano il Vangelo e troveranno due affermazioni del Cristo su cui meditare prima di parlare: "amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Non guardate la pagliuzza dell’occhio del vicino; 

preoccupatevi piuttosto della trave che vi acceca."

Cesare Boni

1 commento:

  1. Disse Tolle che la maggior parte delle persone nell'ira della dipartita porta in sé troppa resistenza residua, troppa paura, troppo attaccamento all'esperienza sensoriale, troppa identificazione con il mondo manifesto. Allora vedono il "portale" dell'immanifesto e se ne allontanano con timore, quindi perdono la consapevolezza. Beh, teniamo pronti a riconoscere la nostra vera natura almeno in quel momento... Ma come disse Vivekananda solo se avremo praticato in vita il distacco, seguendo una pratica spirituale, saremo in grado di riconoscere il Sé nel momento della morte.

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