venerdì 15 aprile 2016

Basta un piccolo sì... Per mandare a fanciullo renzie


Il referendum – si sa – è un istituto giuridico di “democrazia diretta”, cioè di democrazia vera. Consiste nel chiedere direttamente al corpo elettorale di pronunziarsi su questioni di primaria importanza. Ciò per evitare che su tali materie gli eletti del popolo possano decidere in difformità con il sentire di quanti li hanno incaricati di rappresentarli.

E siccome democrazia significa potere (cratos) del popolo (demos), ecco che il referendum si incarica di rimettere le cose a posto, dando priorità alla volontà degli elettori rispetto a quella degli eletti. Naturalmente, non sempre gli eletti gradiscono, perché ciò viene a privarli della possibilità di esercitare il loro potere nel modo più libero e incontrollato. Ciò spiega il motivo dei tanti ostacoli che – in maniera più o meno aperta – la classe politica ha sempre posto al ricorso a questa elementare manifestazione di democrazia.

Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, già “la Costituzione più bella del mondo” limita fortemente l’uso dei referendum: sia escludendo aprioristicamente determinate materie (fisco e trattati internazionali); sia ammettendo soltanto referendum abrogativi (è il caso del referendum di domenica prossima, che chiede di cancellare un provvedimento legislativo già approvato) ed escludendo ogni formula propositiva.

Ma non è tutto. Perché gran parte della classe dirigente ha sistematicamente sabotato il ricorso ai referendum abrogativi, soprattutto quando era chiaro che la volontà del corpo elettorale era contraria a quella del ceto politico. L’arma più usata per evitare di dover obbedire alla volontà popolare è stata – da sempre – quella del quorum. La legge italiana, infatti, prevede che un referendum sia valido solo se si è recata alle urne la metà più uno del corpo elettorale. Norma, questa, chiaramente anacronistica. Poteva avere un senso fino a qualche decennio fa, quando la gente votava in massa alle elezioni di ogni ordine e grado. Non certo ora, con un astensionismo fortissimo ed in crescita continua. Alle elezioni nazionali del 1976 andò a votare il 93% del corpo elettorale. Adesso – dato delle europee del 2014 – ad onorare le urne è stato soltanto il 57% degli aventi diritto; percentuale che si riduce ulteriormente se depurata dai numerosi voti bianchi o nulli.

In un contesto del genere è quasi impossibile che un qualunque referendum possa ottenere una partecipazione superiore al 50%. Ecco, così, un aiutino calato dal cielo per chi sa di essere perdente: basta invitare a disertare le urne o ad “andare al mare” per essere quasi certi di bypassare il giudizio popolare.

Naturalmente, nessuno di quei signori ammetterà mai di aver voluto continuare a governare in modo palesemente antidemocratico. Anzi, diranno che il tale referendum non si sarebbe mai dovuto fare, perché il mancato raggiungimento del quorum dimostra che la maggioranza degli italiani non è interessata alla specifica materia. Bugìa pietosa: la maggioranza degli italiani – più semplicemente – non crede più nella politica e, sbagliando, delega a chi va a votare la responsabilità di decidere per tutti. Il rimedio – chiaramente – non è non fare i referendum, ma ridurre il quorum richiesto ad una percentuale ragionevole: oggi, non più del 35-40%.

D’altro canto – se non ricordo male – in tutti gli altri Stati dell’Unione Europea il quorum per la validità dei referendum è assai più basso che in Italia. A proposito: in Olanda – dove il quorum richiesto è del 30% – si è svolto la settimana scorsa un referendum sull’allargamento mascherato dell’UE all’Ukraina; allargamento che avrebbe aperto le porte dell’Europa a milioni di migranti ukraini, in fuga da una situazione economica disastrosa dopo che il Paese è stato trasformato in un avamposto militare anti-russo. Ebbene, gli olandesi hanno detto “no” con una percentuale schiacciante (vicina ai due terzi) sbugiardando la politica eurodipendente e filoamericana del governo dell’Aja. Naturalmente, gli organi d’informazione italiani si sono ben guardati dal dare risalto all’evento, ma secondo molti osservatori internazionali questo potrebbe essere il primo de profundis per l’Europa, che probabilmente favorirà la vittoria dei “si” ad un altro referendum, quello che da qui a qualche mese deciderà dell’eventuale uscita dell’Inghilterra dall’Unione.

Ma torniamo all’Italia e al referendum di domenica 17 aprile 2016. Dunque, è evidente che gli italiani sono contrari alla politica petrolifera (si fa per dire) del governo Renzi; sono contrari ad “affittare” pezzi di territorio nazionale agli stranieri perché si prendano il petrolio (poco) e ci lascino i dissesti ambientali (molti); sono contrari a mettere in pericolo l’immenso patrimonio naturale dei nostri mari a fronte di pochi spiccioli di royalties; sono contrari a puntare ancòra su fonti energetiche vecchie, inquinanti e sempre meno redditizie, mentre l’Italia ha a disposizione immense risorse naturali da poter utilizzare per la produzione di energie rinnovabili, non inquinanti, a costi irrisori e – cosa da non sottovalutare – in grado di generare una occupazione dieci volte superiore a quella impiegata nel settore delle fonti fossili.

Quale sia l’opinione degli italiani – dicevo – è evidente. Così come è evidente che quel mattacchione che ci ritroviamo alla Presidenza del Consiglio vuole continuare a governare come meglio gli aggrada. È per questo che invita gli italiani a non andare a votare domenica prossima. Perché sa che il voto sarà nettamente contrario alla sua linea.

Ecco un altro buon motivo per andare a votare domenica: per assestare un primo colpo alla Total e a Renzi insieme. Un po’ come hanno fatto in Olanda l’altro giorno: con un solo voto hanno mandato "a fanciullo" l’Europa, il governo, gli americani e l’immigrazione.

Sarebbe bene che anche noi italiani cominciassimo ad usare al meglio l’arma del voto. Anche perché è la sola arma che ci è rimasta.
E ricordiamoci che questo è un referendum abrogativo: per dire NO a Renzi e alle multinazionali, dobbiamo votare SI.

Michele Rallo  - ralmiche@gmail.com




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