mercoledì 13 aprile 2016

Il silenzio come pratica spirituale e di approfondimento intellettuale



La specie umana è sicuramente quella che maggiormente utilizza il linguaggio verbale come strumento di comunicazione e di dialogo, mentre ogni altra specie vive gran parte della sua esistenza nel silenzio della sua intima natura. Nel corso della storia il valore del silenzio è stato evidenziato dai grandi mistici, santi e filosofi; molti hanno preceduto la loro missione da un rigoroso ritiro in solitudine. La necessità di raccogliersi in silenzio emerge anche quando si devono prendere decisioni importanti, o si cerca la strategia migliore per obiettivi da raggiungere.

Oggi il mondo affoga in torrenti, fiumi, oceani di parole. Estenuanti dibattiti su tutto, spesso inconcludenti, non consentono all’anima di esprimersi. C’è talmente tanta voglia di parlare che a volte più interlocutori monologano contemporaneamente. La nostra parte migliore languisce e a volte si spegne del tutto nel frastuono dell’espressione verbale che spesso preclude la percezione della vera conoscenza che trascende ogni linguaggio, perché è limitato, esclusivo, riduttivo ( mentre il pensiero è un vettore unidirezionale il sentire ha una valenza sferica).

Attraverso il silenzio, e il potere dell’intimo sentire,  si possono superare le barriere delle distanze, delle lingue, della materia; si apre la porta della percezione che va oltre le parole e ci consente di approdare ad orizzonti più vasti e profondi; l’uomo entra in contatto con la sua vera natura, con l’essenza stessa delle cose, e gli consente di vedere le cose con occhi diversi, nuovi e, se guarda un fiore, non vede più un fiore ma un miracolo vivente.

Il silenzio è una porta che apre alla preghiera, e la preghiera del cuore ha più valore della preghiera verbale. Solo nel silenzio si può sentire la voce di Dio: è la frequenza su cui Dio parla. Il cuore non ha bisogno di parole, non può esprimersi nel frastuono di elucubrazioni mentali: “Sia il vostro dire si si e no no, il resto viene dal Maligno”, diceva Gesù.

La preghiera è come un’invocazione che si espande oltre i limiti del Cosmo e ci sintonizza con l’ordine supremo delle cose. La libertà interiore è condizione primaria nella preghiera perché si possa stabilire una connessione con l’Assoluto. Ciò che conta nella preghiera non è le cose che si dicono ma l’ardore con cui si sentono. Occorre far il vuoto dentro di se stessi, liberi da ogni interferenza disarmonica dell’io e della singola tempesta mentale. Occorre pregare con il cuore più che con le labbra, con l’anima più che con la mente. La preghiera non è una recitazione delle nostre necessità: è un canto d’amore, di gratitudine che, in un cosmico abbraccio, si apre con amore e stupore verso tutto ciò che vive.


Franco Libero Manco

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