martedì 13 settembre 2016

Nagarjuna e la negazione dei fenomeni


"Nomen est Omen" dicevano i latini... e loro sì che se ne intendevano poiché per loro, come per tutte le popolazioni di cultura indoeuropea, il nome portava  con sé un significato. Mica come al giorno d'oggi in cui i nomi si portano appresso solo la storia di un ipotetico "santo" della cristianità. 

No, una volta, per gli antichi popoli pre-cristani il nome  stabiliva una qualità, era una sorta di auspicio, di "emblema" con il quale il nuovo nato veniva insignito.  Ed allora vediamo quale è il destino assegnato a "Nagarjuna" analizzando il suo nome. Tanto per cominciare Naga, che sta anche per nudo, indica un serpente. Un sacro cobra, una divinità (non quel serpente demoniaco della bibbia), mentre Arjuna  significa letteralmente "il puro". 

Sia nell'accezione di "nudo" che di "puro" si sottintende una
pulizia, una sincerità, una onestà, una semplicità.. insomma una saggezza. E Nagarjuna confermò queste qualità.
Tanto per cominciare egli nacque (probabilmente),  nel II secolo d.C. in Andhra Pradesh, in una famiglia di brahmani.  Secondo una tradizione nacque sotto un albero di Terminalia Arjuna, fatto che determinò la seconda parte del suo nome. La prima parte, Naga, lo si deve ad un viaggio che avrebbe condotto, sempre secondo alcune leggende, nel regno dei naga, i cobra divini, posto sotto l'oceano, per recuperare i Prajñāpāramitā Sūtra ad essi affidati dai tempi del Buddha Shakyamuni. 

Certo queste son tutte storielle aggiunte per dare lustro ma sicuramente di vero c'è che Nagarjuna fu un grande filosofo e conoscitore della realtà. Sia i seguaci del Madhyamaka sia gli studiosi  di quella scuola riconoscono Nagarjiuna come il
suo fondatore. Più in generale si può dire che sia stato uno dei primi e principali pensatori originali del Mahāyāna, di cui sistematizza l’idea  della non sostanzialità di tutti  gli  elementi  della realtà fenomenica.

I suoi scritti  ancora oggi rappresentano una vetta quasi insuperata di concettualizzazione  del metafisico. In termini che ai giorni nostri furono ripresi da filosofi come Friedrich Wilhelm Nietzsche o -volendo restare in un ambito "indiano"- dal grande propugnatore dell'Advaita moderno: Nisargadatta Maharaj. 
Ecco cosa disse di lui Osho, un altro maestro dei nostri tempi: "Nagarjuna fu uno dei più grandi Maestri che l'India abbia mai prodotto, del calibro del Buddha, Mahavira e Krishna. E Nagarjuna era un genio raro. A livello intellettuale non esiste paragone possibile con nessun altro al mondo. Capita raramente un intelletto così acuto e penetrante."

Nagarjuna, oltre l'impermanenza temporale,  indicò una ulteriore qualità nella non sostanzialità dei fenomeni: essi erano vuoti anche di una loro identità in quanto dipendevano uno dall'altro sul piano temporale.  Tutti i fenomeni  sono quindi privi di sostanzialità, poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente. Egli esprime la sua posizione in quella che è 
 un'opera capitale del buddhismo: le Madhyamakakarika, Stanze della via di mezzo. Evidentemente riportata da suoi seguaci, come avvenne per i detti del Buddha, poiché  Nagarjiuna  riteneva che il linguaggio è inevitabilmente illusorio in quanto prodotto di concettualizzazioni ed è per questa ragione che egli rifiutò sempre di definirsi detentore di una qualsivoglia dottrina. Poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione di pensiero.  E l'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se alla vacuità viene  attribuita una identità. 

Lo stesso  Buddha  aveva messo in guardia dall'assolutizzare la propria dottrina, considerandola altro che un semplice mezzo per raggiungere la liberazione ("una zattera per attraversare un fiume, che va abbandonata appena si è arrivati all'altra sponda"). 

Di seguito alcune  citazioni che possono aiutare il lettore a
comprendere meglio il  punto di vista di Nagarjuna:




"La coproduzione condizionata, questa e non altra noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazione metaforica. Questa e non altro la via di Mezzo.La realtà assoluta non può essere insegnata, senza prima appoggiarsi sull'ordine pratico delle cose: senza intendere la realtà assoluta, il nirvana non può essere raggiunto"


"Se il mondo fosse non vuoto, non si potrebbe né ottenere ciò che non si possiede già, né mettere fine al dolore, né eliminare tutte le passioni."

"Se gli illuminati non appaiono e se gli uditori sono spariti, un sapere spontaneo si produce allora isolatamente negli Svegliati solitari"


Paolo D'Arpini

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.