giovedì 5 maggio 2016

Segnali petroliferi. I paesi non OPEC calano la produzione (nuove guerre in arrivo...?)



Secondo Fatih Bhiro, capo economista dell’ Iea, agenzia per l’Energia
dell’Ocse, nel 2016 i paesi non Opec produrranno 700.000 b/g (barili
al giorno) in meno rispetto al 2015. La produzione di questi paesi è
circa il 60% della produzione mondiale, mentre le loro riserve
accertate sono attorno al 40% del totale. Alcuni osservatori
attribuiscono il calo in corso alla congiuntura dei prezzi, ora non
più di 45-50 $/b, meno della metà del giugno 2014, che non permettono
di finanziare in modo adeguato la ricerca e l'avvio all' attività di
nuovi giacimenti.

I paesi non Opec hanno però sfruttato le loro riserve più di quanto
abbiano fatto i paesi Opec, sempre attenti questi ultimi a limitare la
produzione delle loro risorse per tenere i prezzi alti e costanti.
Allora il calo del greggio estratto dai paesi non Opec potrebbe essere
un segnale più grave, la conseguenza del raggiungimento del loro picco
massimo della produzione, che da ora in poi calerebbe progressivamente
e con continuità. 

L’ Opec fu fondata nel 1960 da Arabia saudita, Venezuela, Kuwait,
Indonesia, Iran, Iraq. Successivamente si sono aggiunti Qatar, Emirati
arabi, Algeria, Libia, Angola, Nigeria. Questi 12 paesi producono il
40% del petrolio estratto ma hanno il 60% delle riserve mondiali
accertate e oltre il 50% delle riserve mondiali sono nel Medio Oriente
e Nord Africa divise tra Arabia s. (15%), Iran (10%) Iraq (11%), Libia
(3%) e gli altri paesi. I giacimenti mediorientali sono anche meno
costosi da sfruttare e sono stati sotto utilizzati, soprattutto negli
ultimi 20 anni.

Iraq, Iran e Libia insieme producono meno di 8 mb/g, milioni di barili
il giorno, su 95 mb/g totali. Quindi con il 24% delle riserve
estraggono meno del 10% della produzione totale e per questo i loro
territori acquisteranno nel futuro un’ importanza straordinaria.

La crescita mondiale della produzione di petrolio negli ultimi anni è
stata aiutata dall’ uso negli USA della tecnica shale gas che ha
permesso agli Stati Uniti di risalire da 8 mb/g (milioni di barili il
giorno) prodotti a circa 10 mb/g. Il loro consumo interno però è di
circa 18 mb/g. Il mancato taglio della produzione Opec, voluto da Ryad
dalla fine del 2014, e che ha causato il crollo del prezzo del
greggio, è stato spiegato da molti osservatori come una guerra saudita
alla produzione USA. Ma l’Iea ha ipotizzato per il vicino 2018 il
picco produttivo di questa tecnica di estrazione, l’ effetto positivo
del petrolio shale gas sarebbe quindi per gli Stati Uniti un recupero
effimero oltre che molto costoso.

Senza entrare nel merito dei motivi, in ogni caso non dimostrabili,
della strategia saudita, la spada di Damocle del picco petrolifero,
teorizzato da Hubbert nel 1953, rimane minacciosa ed è bene tenerla
presente quando ci occupiamo delle molte guerre in corso.

La Gran Bretagna, dopo il declino della sua produzione nei mari del
Nord, è tornata ad importare greggio e la ripresa del suo
interventismo militare in Medio Oriente è legata a questo processo.
Anche la Francia, con l’ attuale momento nero della produzione
elettrica nucleare, ha un interesse impellente a tornare protagonista
militare nel Medio oriente e Nord Africa.

La transizione energetica, sicura nei prossimi 20-30 anni, sarebbe
stata molto più difficile per l’ Occidente se fossero rimasti al loro
posto Saddam Hussein e Gheddafi. Ma anche nella nuova situazione
questo passaggio storico sarà durissimo. Basta pensare al ruolo che
hanno anche il Venezuela, secondo paese al mondo per riserve, e
Russia, attualmente nei primi 3 produttori mondiali.

Nel frattempo India, Cina e Giappone sono i paesi che negli ultimi tre
anni hanno dato il maggior impulso alla fonte solare e data la loro
popolazione complessiva questa scelta potrebbe cambiare il corso di
tutta la transizione energetica.

Nei prossimi anni non sarà incoraggiato lo studio e l’ informazione
sul processo della transizione energetica, ineluttabile anche se con
modalità imprevedibili. Ma dobbiamo riaccendere il prima possibile i
riflettori su questo tema cruciale. Ricordo che in Italia i primi
libri con buona diffusione sul picco petrolifero, “La festa è finita”
di Richard Heinberg e “La fine del petrolio” di Ugo Bardi, furono
pubblicati nel 2004, quando ormai le truppe USA e britanniche erano
sul suolo iracheno.

Prima ci sarà una consapevolezza diffusa della difficile crescita
futura della produzione petrolifera e prima sarà messa in difficoltà
la propaganda di guerra, che con pretesti vari, dal terrorismo all’
esportazione della democrazia, alla invasione dei migranti, ai diritti
umani nella interpretazione di parte delle democrazie occidentali,
cerca di convincere l’ opinione pubblica che l’Occidente fa le guerre,
o le fomenta con modalità variabili, per motivi nobili. Ma non è così.

Aiuterebbe molto l' opposizione alla guerra conoscere le tendenze
ormai dimostrate del prossimo processo del declino della produzione
petrolifera e sapere maggiori dettagli relativi all’energia delle
guerre per il petrolio e gas già scatenate dall’Occidente, dalle tre
in Iraq alla Libia, dal golpe in Iran del 1953 al golpe colorato in
Ucraina del 2014.

Marco Palombo


1 commento:

  1. Commento inviato da Marco Bracci:

    Come ormai tutti sappiamo, il petrolio sta per finire. Dicono che in cento anni siamo arrivati a consumare la metà di quello esistente e quindi sembrerebbe che ce ne sia per altri cento anni. Ma al ritmo dei consumi odierni, sempre più in crescita, non abbiamo davanti altri cento anni, bensì una trentina per gli ottimisti, 10 o poco più per i più realisti.
    Non ci credete? Quando i giacimenti sono quasi esauriti, per far venire a portata di pompe il petrolio più profondo, è usanza riempire i vuoti, lasciati dall'estrazione, con acqua, in modo da far galleggiare il greggio e renderlo pompabile in superficie. I giacimenti dell'Arabia Saudita (i più grandi del mondo) sono arrivati già da tempo a questa fase, segno che di petrolio lì ce n'è rimasto poco. E vengono spese cifre enormi per estrarre petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, operazione costosissima che, fino a dieci anni fa, nemmeno veniva presa in considerazione e per sui sono già stati distrutti 35000 kmq di foresta. Allora? Forse potremo usare l'energia cosmica scoperta da Tesla? Può darsi. L'idrogeno dall'acqua? Forse è per questo che le grandi multinazionali si stanno accaparrando l'acqua in ogni parte del pianeta.
    Ma sono sempre soluzioni umane, che SFRUTTANO le risorse della Terra, ormai allo stremo.
    Ma un'altra possibilità ci sarebbe: quella usata dai nostri fratelli che vivono in altri pianeti, il plasma. Una materia vivente comandabile con la mente e adattabile a infinite necessità. Ma come fare a poterla scoprire, produrre e usare? Smettendola di seguire il Dio delle tenebre, che ha un solo interesse, distruggere la Creazione, e seguire la Parola di del Dio Creatore, che, se lo ascoltiamo e ci evolviamo, ci darà tutti gli insegnamenti di cui avremo bisogno per supplire a tutte le nostre necessità umane, finché saremo sulla Terra.

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