sabato 15 febbraio 2014

Siria - Meglio la guerra che la pace... Obama ci ripensa e sguaina la spada


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Il racconto degli Stati Uniti sulla Siria è cambiato radicalmente negli ultimi quindici giorni. Il presidente Barack Obama ha pubblicamente discusso l'opzione militare contro la Siria. Una mano invisibile sembrerebbe avere furtivamente rimescolato l'ordine nel cumulo dei dossier siriani accatastati sulla sua scrivania, nello Studio Ovale, portando alla ribalta il dossier “tutte le opzioni sono aperte” del 31 agosto scorso, quando Obama bloccò il piano per lanciare un 'limitato' attacco alla Siria e si attardò a chiedere l'approvazione dal Congresso degli Stati Uniti sull'uso della forza militare per “dissuadere, distruggere, prevenire e degradare” la possibilità di attacchi chimici in Siria. In due testimonianze molto pubblicizzate dai capi dello spionaggio degli Stati Uniti nelle audizioni al Senato, nei passati quindici giorni, l'amministrazione Obama ha operato sulla consapevolezza del pubblico statunitense sulla situazione siriana. Allo stesso tempo, ha divulgato anche attraverso fughe sui media che, con l'approvazione del Congresso, gli Stati Uniti forniscono  armi ai ribelli siriani. Tra le due udienze del Senato, l'amministrazione Obama ha aggravato il problema di al-Qaida in Siria. Il direttore della National IntelligenceJames Clapper ha valutato la forza dei combattimenti dell'opposizione siriana in Siria tra 75000 e 115000 combattenti, di cui “circa 20000 e magari 26000 che noi (intelligence degli Stati Uniti) riteniamo estremisti, sproporzionatamente influenti perché tra i combattenti più efficaci sul campo.”
Il messaggio al pubblico statunitense è triplice:
• al-Qaida sta facendo della Siria la sua principale base operativa.
• La “sicurezza nazionale” è minacciata dagli estremisti addestrati in campi in specifici piani per attaccare gli USA e i loro alleati.
• Il conflitto siriano rischia di essere una minaccia seria alla sicurezza internazionale e agli interessi vitali degli Stati Uniti.
Inoltre, certe accuse sono state espresse nelle audizioni al Senato: a) il governo siriano rallenta l'attuazione dell'accordo sulle armi chimiche; b) un “disastro apocalittico” (per usare l'espressione di Clapper) minaccia la Siria, per la crisi umanitaria e lo spaventoso livello di perdite di civili e, c) a “parere professionale” di Clapper, il governo siriano ha commesso atrocità su larga scala. Clapper ha valutato che le eventuali aspettative della conferenza di Ginevra 2 devono essere “piuttosto modeste” e le prospettive di una soluzione politica a lungo termine ai tre anni di conflitto, restano “problematiche”. Ha sottolineato che tra i combattenti stranieri presenti in Siria, ci sono i reduci di al-Qaida di Afghanistan e Pakistan, che aspirano ad attaccare l'Europa e gli Stati Uniti. In sintesi, le audizioni del Senato servono a sbandierare al pubblico nazionale la necessità imperativa che gli Stati Uniti agiscano in Siria. Chiaramente, la sinergia sviluppatasi tra l'amministrazione Obama e il Campidoglio sulla Siria si riflette sulla visita del presidente francese Francois Hollande a Washington, questa settimana. Ciò che emerge è che Obama vedrebbe Hollande come il solo uomo giusto al momento di prendersi quei rischi in Siria (e Libano) che, per esempio, il primo ministro inglese David Cameron e la cancelliera tedesca Angela Merkel vorrebbero evitare. Infatti, Hollande ha accumulato un buon record di interventi militari all'estero, Libia, Mali e Repubblica Centrafricana. Gli interventi francesi sembrano impressionare Obama, riluttante ad impegnarsi militarmente nei conflitti all'estero per via della restrizione del budget e della stanchezza per la guerra nel pubblico statunitense. Riguardo la Siria, Hollande è anche stretto alleato dell'Arabia Saudita, e la Francia dichiara il proprio obbligo storico a svolgere un ruolo guida nel Levante. Inutile dire che gli interessi commerciali francesi sono anche molto consistenti.
In sintesi, la Francia è diventata in una notte il migliore alleato degli Stati Uniti in Europa, “almeno visto con il prisma della gestione delle crisi e della cooperazione militare”, come l'eminente esperto francese Frederic Bozo ha sardonicamente osservato. Infatti, Obama può essere un uomo molto affascinante, se vuole. Ha assicurato tutto ad Hollande sapendo quanto presso i francesi pompi amore, la calda accoglienza con Michelle Obama al suo fianco, sul prato della Casa Bianca (anche se Hollande è un scapolo incallito), la guardia d'onore cerimoniale, una cena di gala con 300 invitati, un eccezionale volo sull'Air Force One, la visita guidata alla piantagione di Thomas Jefferson presso Charlottesville, in Virginia, e un discorso di benvenuto effusivo dove, ha detto Obama, "Credo che l'alleanza USA-Francia non sia mai stata più forte, e la cooperazione che abbiamo su una serie di problemi è molto più profonda di quanto non fosse, credo, 5, 10 o 20 anni fa”. In altre parole, i continui riferimenti al conflitto siriano durante la conferenza stampa congiunta di Obama e Hollande, dopo i colloqui bilaterali, hanno una grande risonanza e devono essere osservati con attenzione.
Obama ha detto quattro cose. In primo luogo, ha segnato la distanza tra Stati Uniti e Russia sul problema siriano. Ha differenziato la posizione degli Stati Uniti scaricando sulla Russia l'onere di garantire il rispetto del governo siriano dell'accordo armi chimiche, implicando che la Russia blocca gli aiuti umanitari alle comunità siriane assediate dal fuoco incrociato. Obama ha usato parole eccezionalmente dure, “la Russia è responsabile. E il segretario (di Stato John) Kerry e altri hanno dato un messaggio assai diretto ai russi”. In secondo luogo, Obama ha espresso scetticismo a che Ginevra 2 porti a qualcosa. Ha ribadito la volontà di Washington di “rafforzare l'opposizione  moderata (siriana)”. In terzo luogo, Obama sostiene l'accordo USA-Francia sulla Siria: “E' un male per la sicurezza globale che estremisti siano nel vuoto di alcune regioni della Siria, minacciandoci a lungo termine. Quindi ciò è una delle nostre massime priorità per la sicurezza nazionale, e so che Francois (Hollande) la pensa allo stesso modo”. Infine, Obama ha discusso la moribonda opzione militare in Siria, sottolineando l'”enorme frustrazione” per lo stallo siriano, dicendo: “Riservo sempre il diritto di esercitare l'azione militare in nome degli interessi della sicurezza nazionale dell'America. Ma deve essere attuato con saggezza... in questo momento non pensiamo che ci sia una soluzione militare, di per sé, al problema. Ma la situazione è fluida, e continuiamo a esplorare ogni possibile via per risolvere il problema”.
Il Washington Post ha riferito, citando funzionari degli Stati Uniti, che vi sono “discussioni interne” nell'amministrazione Obama sulla “portata dei poteri del presidente nell'usare la forza letale contro le organizzazioni terroristiche” in Siria, citando l'addetto stampa del Pentagono contrammiraglio John Kirby insistendo sul fatto che l'esercito statunitense “attualmente non ha l'autorità necessaria, in base al diritto nazionale e internazionale, ad affrontare la minaccia rappresentata da al-Qaida e dalle altre organizzazioni terroristiche”. Tuttavia, sembra improbabile che gli Stati Uniti possano mai avere il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite d'intraprendere l'intervento militare diretto in Siria. Né è probabile che tale intervento sia tra i pensieri di Obama, per ora. Qual è allora il piano? Una spiegazione potrebbe essere che Washington spera di applicare la massima pressione sul regime siriano affinché si faccia da parte e permetta la transizione a Damasco con il Presidente Bashar al-Assad che semplicemente si incammina verso il tramonto. Secondo Obama, la  minaccia di un attacco limitato sulla Siria ha spinto Mosca e Damasco a sbrigarsi a produrre l'accordo sulle armi chimiche dello scorso anno. Probabilmente spera in una replica. D'altra parte, un passo assai diretto è stato fatto dall'amministrazione Obama nelle due passate settimane presso il pubblico nazionale degli Stati Uniti, che continua ad essere stanco della guerra, secondo cui un qualche intervento in Siria sarà necessario essendo la sicurezza nazionale nel mirino. E' del tutto plausibile che Obama possa ordinare attacchi con i droni statunitensi contro obiettivi in Siria, ad un certo punto. Il che, ovviamente, inizierà contro al-Qaida ma potrebbe estendersi in modo tale da mutare l'equilibrio militare a favore dell'ampia agenda del cambio di regime...
E qui che la recente visita di Hollande in Turchia, la prima di un leader francese in 22 anni, diventa significativa. Per essere sicuri, vi sono tutte le indicazioni che l'amministrazione Obama stia passando di nuovo alla diplomazia muscolare sulla Siria.

Melkulangara Bhadrakumar 
Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

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