domenica 29 luglio 2018

Borsa. Di male in peggio


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Secondo i maligni, poiché la borsa esprime gli interessi dei padroni, quando la borsa va male ciò è un vantaggio per i proletari, che hanno interessi opposti, mentre è uno svantaggio quando va bene. Ma le cose non stanno esattamente così, ed è meglio sgomberare il campo da qualche equivoco. Anzitutto viviamo in una società capitalista, quindi comunque immersa nei benefici e danni della medesima.

Tuttavia il ruolo originale della "finanza" era quello di finanziare imprese e produzione, sicché in tale contesto classico il buon andamento della borsa prelude al reinvestimento degli utili in occupazione, consentendo di affrontare i problemi da disoccupazione.


Le cose sono cambiate man mano che la finanza si è sempre di più internazionalizzata. In qualche misura lo è sempre stata, ma c'è modo e modo.


Da quando gli stati hanno allentato controlli e limitazioni sui flussi di capitali, che sono stati sempre più liberalizzati, gli utli prodotti in un paese possono sempre più agevolmente essere trasferiti in altri paesi anche molto lontani, e reinvestiti dove il costo del lavoro è più basso. Sicché si è sviluppato il fenomeno della delocalizzazione, con perdita di occupazione nel paese originale e tendenza all'abbassamento internazionale del costo del lavoro ed alla compressione dei diritti sindacali.


E' evidente che un operaio italiano non può competere con l'offerta concorrenziale di lavoratori del Bangladesh, disposti a produrre le stesse merci in cambio di compensi molto inferiori.


In questo genere di problemi il ruolo regolatore dello stato, con le sue leggi, è fondamentale: o favorisce i lavoratori o favorisce i padroni (nel caso italiano, però, bisogna aggiungere che l'altissimo regime di tassazione incentiva inevitabilmente la fuga di capitali ed imprese).


Le conseguenze, dunque, delle variazioni di andamento delle borse sono molteplici, e non si possono ridurre a facili schemi, poiché dipendono da molte condizioni.


Ma anche le cause delle variazioni di borsa sono molteplici, talvolta a prima vista apparentemente paradossali.


Accade, ad esempio, che la borsa cada proprio per essere cresciuta "troppo", come nel caso della esplosione di "bolle finanziarie".


Una caduta non colossale ma notata da tutti gli economisti, è avvenuta all'inizio di quest'anno: tra il 26.01.18 e lo 05.02.18 l'indice di S&P di New York scese da 2872,87 al 2638,17, con una perdita di -8,2% in dieci giorni.


I quotidiani ne discussero allarmati, ma se si osserva l'andamento dello stesso indice sul lungo periodo si vede che dopo il calo -56,8% della crisi del 2008 (da circa 1500 punti a circa 740) l'andamento è sempre stato in crescita, salvo periodiche momentanee cadute di pochi punti percentuali.
Quindi in buona sostanza nell'arco di un decennio la borsa di NY aveva quadruplicato il proprio indice.
La caduta tra gen e feb 2018 era provocata da fatti congiunturali comprensibili, senza preannunciare alcuna recessione.


La lunga crescita economica decennale ha fatto salire occupazione e salari negli USA (che con Trump hanno ormai raggiunto il record di occupazione del XXI secolo), il che fa temere genesi di inflazione, cui si è aggiunto l'annuncio della fine delle politiche monetarie espansive da parte della Fed (quelle politiche di emissione "a tasso zero", o quasi, praticate per anni, con iniezione di enormi liquidità nel sistema, prseguite ben oltre il recupero del grande crack del 2008).


Questo insieme di circostanze ha provocato una momentanea caduta di fiducia, ma non tale da invertire l'andamento positivo di lungo corso.


Questo genere di eventi tuttavia si presta sempre alle polemiche politiche false e bugiarde.


Negli U$A e in Europa esplosero subito le contestazioni filodem che addossavano la colpa della momentanea regressione al presidente repubblicano, il cui lavoro in campo economico interno invece è stato ottimo: con la presidenza Trump c'è stata crescita di occupazione, salario, pil.
Ma l'occasione di strumentalizzazione politica è sempre ghiotta per tutti, tant'è che talvolta raggiunge vertici surreali di insensatezza.


Caso illuminante quello occorso in Italia nel maggio 2018, quando il cameriere Fmi Padoan accusò Claudio Borghi Aquilini di avere provocato, con le sue dichiarazioni personali, la caduta delle azioni MPS per un deprezzamento di pochi centesimi.


A parte la mancanza di qualunque dimostrazione di causa ed effetto tra le dichiarazioni di un economista che non era nemmeno al governo (quindi non aveva strumenti di intervento su nulla), le dichiarazioni di Padoan stridevano col fatto che negli anni scorsi le politiche del suo governo hanno coinciso con il crollo delle azioni MPS per decine di euro.


In buona sostanza è stato come se un aggressore, di fronte alla comparsa di un poliziotto che intende salvare la vittima, gli dicesse "Ha visto? La ha spaventata, la vittima ha avuto un malore!", e prima ancora che il poliziotto intervenga.


La realtà dei fatti viene troppo spesso confusa con i commenti fuorvianti di politici e mass media.
L'osservatore attento deve sempre scansare le mistificazioni propagandistiche degli avvoltoi politici, sempre pronti alla manipolazione spudorata.


A proposito: stiamo sempre attendendo (ormai da più di due anni) le piaghe d'Egitto sulla Gran Bretagna post Brexit, mentre la Grecia "salvata" (sic!) in questo suo "fine crisi" (re-sic!) ha un debito percentuale più alto rispetto a prima degli "interventi salvifici" e un tenore di vita più basso.
Oggi va di moda il termine "narrazione" (della realtà), ma ricordiamoci che il verbo "narrare" è originariamente riferito alle favole.


Vincenzo Zamboni

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