giovedì 2 febbraio 2017

Critica alla teoria della causalità - David Hume: "Trattato sulla Natura Umana”


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Il filosofo e saggista scozzese David Hume è stato certamente una delle menti più sottili e delle personalità più notevoli ed influenti del ‘700 (eguagliato forse solo da Kant) ed uno dei pensatori più significativi dell’età moderna.
Nato nel 1711 ad Edinburgo da una famiglia di magistrati, e frequentata di malavoglia la facoltà di giurisprudenza della locale università, trasferitosi poi temporaneamente in Francia (dal 1734 al 1737) a La Fleche, sede del famoso collegio dei Gesuiti, qui ancor giovanissimo Hume scrisse e poi pubblicò il suo capolavoro: “Trattato sulla Natura Umana”.
Il trattato fu sostanzialmente ignorato dai contemporanei, ma maggiore successo ebbero alcune opere successive, come i “Saggi morali e politici” del 1742 e soprattutto i “Saggi filosofici sull’Intelletto Umano” del 1748 , scritto dopo un nuovo viaggio in Francia, a Vienna e Torino, in cui il filosofo riprendeva le tematiche del precedente Trattato in forma più divulgativa.
Divenuto bibliotecario dell’Università (anche se il suo dichiarato ateismo e le sue idee eterodosse gli impedirono di ottenere una cattedra), Hume continuò a scrivere saggi storici, sulla morale e sulla religione divenendo ricco e famoso. Ma i suoi “Dialoghi sulla Religione Naturale” (opera ispirata ad un ateismo radicale ed ad una critica dell’intolleranza delle religioni monoteiste) furono prudentemente pubblicati solo dopo la sua morte avvenuta nel 1776, anche su consiglio dell’amico economista Adam Smith, altra eccelsa gloria della Scozia.
Dal 1663 al 1666 Hume era stato anche di stanza a Parigi come segretario d’ambasciata, avendo la possibilità di conoscere illuministi e scienziati, come D’Alambert, Diderot, Helvetius, Buffon e l’ateo radicale D’Holbach. Conobbe ed ospitò ad Edinburgo anche Russeau, ma in seguito si verificò tra i due una completa rottura a causa delle manie di persecuzione di quest’ultimo.
La filosofia di Hume parte dall’esigenza di basarsi sempre sull’esperienza fenomenica,  rifuggendo da elucubrazioni metafisiche e ricerca di principi ultimi su cui non possiamo dire nulla. Il metodo è quello indicato dalla filosofia sperimentale di Newton, che rifugge da ipotesi metafisiche (“hypotheses non fingo”), ed ispirato alla filosofia empirista di Locke e Berkeley. Il filosofo scozzese distingue tra le percezioni immediate che ci danno delle “impressioni” ed i ricordi delle stesse percezioni che costituiscono le idee (se tocco un oggetto caldo ho l’impressione del calore; se me ne ricordo e ci rifletto sviluppo l’idea di calore). Le idee possono essere semplici e composte (l’ippogrifo nasce dalla combinazione delle idee di aquila e cavallo). Le idee complesse nascono dalla nostra capacità di associazione tra idee basata su somiglianza, contiguità nello spazio e nel tempo (se penso a S. Denis vi associo Parigi), e causalità (se un fenomeno è seguito sempre da un altro diciamo che il primo è causa del secondo).
Le idee universali sono solo sintesi di idee particolari (l’idea di linea è associata al ricordo di linee particolari che semplicemente “rappresentano” un “universale”). La “sostanza” di un ente (ad es. l’Uomo) non è altro che una sommatoria di qualità particolari indicate dall’esperienza. Anche il nostro “io” è solo un fascio di singole sensazioni ed attitudini individuali (fatto che liquida il “cogito, ergo sum” di Cartesio) e sparisce alla morte del corpo (per cui l’anima non può essere immortale).
Il punto più caratteristico della filosofia di Hume è quello secondo cui alla base della nostra capacità di connettere le idee ed i fenomeni è in ultima analisi sempre il principio di causalità, unito al postulato sul comportamento uniforme e ripetitivo della natura. Se vedo, quando una palla da biliardo ne colpisce un’altra, che la seconda si mette in moto, dico che il movimento della prima è stato “causa” di quello della seconda; e se vedo solo partire la prima palla, prevedo che inevitabilmente la seconda si sposterà dopo l’urto (anche se ancora non l’ho visto), così come sono sicuro che domani sorgerà il sole perché è sempre stato così. In questo aver fede che il fenomeno avverrà e che è stato causato da un fenomeno precedente Hume non vede nessun principio razionale dimostrabile, o metafisico, ma solo un abito mentale (cioè un principio soggettivo) derivato dall’esperienza, e che quindi non ha un valore assoluto né un grado di certezza assoluta.
Hanno invece valore di verità assoluta i teoremi matematici in quanto basati su postulati certi fissati da noi stessi. La conoscenza matematica è nettamente distinguibile dalle “materie di fatto”, cioè quelle che si riferiscono ai fenomeni reali, basate solo sull’esperienza. Seguendo le orme di Berkeley, Hume nega la differenza tra qualità “primarie” oggettive (come l’estensione) e “secondarie” soggettive (come il colore) sostenuta da Locke e da Cartesio, ritenendole tutte soggettive, cioè legate alle percezioni del soggetto percepente. Quindi anche l’esistenza degli oggetti è messa in discussione. Essa è basata solo sul fatto che li abbiamo percepiti più volte e che riteniamo che esistano anche se non li percepiamo in quel momento, o se hanno subito dei cambiamenti (il Monte Bianco è pieno di neve in inverno, ma può essere parzialmente verde in estate).
Tuttavia, a differenza di Berkeley, che negava l’esistenza del mondo materiale, Hume ritiene utile e necessario al processo di conoscenza postulare l’esistenza del mondo esterno ed usare anche il principio di causalità, anche se ritiene che esso abbia più un fondamento empirico che razionale e dimostrabile. Si è discusso a lungo se Hume sia giunto a posizioni scettiche integrali, o se piuttosto il suo intento sia quello di distruggere ogni residuo metafisico nella ricerca scientifica, basandola su una filosofia “naturale”. 

Geymonat, Nella sua “Storia del Pensiero filosofico e scientifico” e Bertrand Russell nella sua “storia della Filosofia occidentale” sembrano propendere più per la seconda ipotesi. Lo stesso Hume si definisce uno scettico, non alla maniera di Pirrone (che chiedeva “la sospensione del giudizio”), ma “accademico”, con chiaro riferimento all’antica Media Accademia ateniese ed alla sua filosofia “probabilistica”. Il suo messaggio alla successiva ricerca scientifica è lo stesso di quello di Newton: non perdere mai un robusto legame con l’esperienza, anche se le “materie di fatto” possono avere solo certezze con vari gradi di probabilità. Hume è un illuminista che ci mette in guardia sui limiti della ragione. La sua stessa critica al principio di causalità, inteso come principio razionale-metafisico, anticipa analoghe critiche della scuola quantistica di Copenhagen che in pieno ‘900 ha cercato di impostare il problema della connessione tra i fenomeni naturali su basi diverse dal principio di causa-effetto.

Vincenzo Brandi

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