venerdì 2 maggio 2025

Ravenna. Pronti allo scoppio...!?

 


Dopo un iter approvativo accelerato, venerdì 28 febbraio 2025 è arrivata a Ravenna l’enorme nave BW Singapore di Snam, lunga quasi 300 metri e alta 44 (circa un palazzo di dieci piani), che fungerà da rigassificatore off-shore (FSRU, Floating Storage and Regasification Unit).
Ancorata a un basamento a circa 8,5 km dalla costa di Punta Marina (RA), in corrispondenza di un’esistente piattaforma che veniva utilizzata per ricevere le navi petroliere, vi rimarrà per almeno 25 anni. Per difenderla dalle mareggiate sarà costruita anche una diga frangiflutti di cemento lunga 880 metri, larga 22 metri e alta 6,5 ad Est del rigassificatore. L’Autorità portuale di Ravenna si è incaricata di dare attuazione a quest’ultima struttura, per 216 milioni di euro, con fondi concessi da Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
Ad aggiudicarsi la commessa per la realizzazione della diga è la società ingegneristica Btp Infrastrutture, dopo aver vinto al Tar di Bologna un contenzioso con la seconda classificata alla gara d’appalto, la Rina Consulting Spa, altra ditta ben inserita nell’affare dei rigassificatori. Si calcola che ci vorrà almeno un anno e mezzo/due per completarla. Questo significa che nei primi due anni di attività, in caso di condizioni avverse, sarà necessario disormeggiare la BW Singapore dalla piattaforma.
A Punta Marina Terme è prevista per di più la costruzione di una centrale di decompressione, denominata PDE-Wobbe, per rendere idoneo il gas all’immissione nella rete nazionale. La centrale sarà alta 10 metri e occuperà uno spazio pari a tre campi di calcio. L’investimento complessivo di Snam per questo progetto equivale ad un miliardo di euro, di cui circa la metà per l’acquisto della Bw Singapore nel dicembre 2023 da parte della controllata Snam FSRU Italia Srl. Snam ha poi incaricato Saipem (società controllata da Eni e CDP) ed altre ditte, di cui parleremo in seguito, di realizzare materialmente l’impianto.

Assieme al terminal di Piombino, Livorno, Panigaglia (La Spezia) e Porto Viro (Rovigo), e a quelli in progetto al sud per accorciare le rotte marine, a Porto Empedocle (Agrigento) e Gioia Tauro (Reggio Calabria), il rigassificatore di Ravenna servirà ad accogliere e riportare allo stato gassoso il gas naturale liquefatto (GNL) che arriva dall’altra parte del mondo, di provenienza principalmente statunitense ma anche da Algeria, Qatar e in misura minore da Egitto, Mozambico e Congo, paesi con governi autoritari con cui l’Italia ha forti legami di collaborazione industriali e militari e ai quale vendiamo armi e navi da guerra.

Detto di sfuggita, gli Stati Uniti sono i leader dell’esportazione di GNL, ma la particolare tecnica del fracking con cui lo producono è molto più inquinante e costosa del metano ottenuto con le tecniche di estrazione tradizionali e del GNL di altri Paesi. Le procedure richiedono grandi quantità d’acqua e perforazioni che aumentano il rischio di dissesto idrogeologico e terremoti, oltre a prevedere l’uso massiccio di sostanze chimiche. Inoltre durante le fasi di produzione si fa ampio uso del flaring, la combustione in torcia del gas in eccesso, che produce grosse quantità di CO2 immesse in atmosfera.
Ovviamente, nemmeno a dirlo, la prima nave gasiera a rifornire il rigassificatore di Ravenna stipava GNL statunitense. Si tratta della gasiera Flex Artemix del colosso svizzero-statunitense Gunvor, con sede a Ginevra, che è arrivata a fine marzo dalla Louisiana (Stati Uniti). Parliamo della stessa Gunvor che nel 2024 è stata dichiarata colpevole della corruzione di funzionari governativi in Ecuador dal tribunale federale di Brooklyn e anche dalla Svizzera. Il trasporto del GNL, stoccato a una temperatura di 162 gradi sotto zero, avviene via mare con navi cisterne metaniere, che arriveranno a Ravenna circa una ogni 5-7 giorni (1).

Questo metodo di trasporto viene preferito perché presenta un volume di 600 volte inferiore a quello del gas a pressione standard, e quindi è più semplice stivarlo e trasportarlo su lunghe distanze. Il processo di trasformazione dallo stato liquido a quello gassoso sfrutta l’acqua del mare e, come vedremo in seguito, questo aspetto ha una sua problematicità. Una volta rigassificato a Ravenna il metano sarà immesso, attraverso la costruzione a sud della città di un metanodotto lungo circa 40 km e del diametro di 90 cm, nella rete nazionale gestita da Snam, che a sua volta sta completando gli espropri per la messa in opera dei metanodotti sulla Linea Adriatica Sulmona-Minerbio: 700 km complessivi di cui 425 km di nuova realizzazione, che toccheranno cinque regioni per un investimento infrastrutturale di 2,5 miliardi. Ad aprile 2023 Snam ha ricevuto da CDP un primo finanziamento da 300 milioni di euro, altri 200 milioni CDP li ha versati a maggio 2024 per il rifacimento del gasdotto Ravenna-Chieti che sarà anch’egli interconnesso con la Linea Adriatica e completato secondo i piani entro il 2026.

LA LINEA ADRIATICA

Due parole sulla Linea Adriatica a questo punto sono d’obbligo. La posa dei gasdotti di questa linea, che dovrebbe essere completata integralmente per la fine del 2027, interessa anche il territorio romagnolo con la direttrice Sestino-Minerbio sia in Appennino che in pianura (142 km, con entrata in funzione prevista a fine 2026), una zona a forte rischio sismico (terremoti) e idrogeologico (frane e alluvioni). La posa dei tubi prevede trivellazioni, tunnel e l’attraversamento di diversi corsi fluviali.
La direttrice Sestino-Minerbio è la prima che sarà realizzata ed è divisa in 5 lotti, tutti già appaltati da Snam. La ditta che si è aggiudicata la commessa per i lavori di uno dei tratti romagnoli più critici, quello che si interseca con la superstrada E45, i monti e il corso del fiume Savio, è la SICIM di Busseto (PR).
I comuni romagnoli, amministrati dalla destra o dal centro-sinistra, hanno dato tutti il loro assenso al passaggio dei gasdotto, dopo le promesse di Snam della solita manciata di ristori da devolvere come compensazione economica ai proprietari dei terreni interessati (alcuni dei quali a dire il vero non hanno gradito). Idem le associazioni degli agricoltori romagnoli, che hanno sottoscritto con Snam un accordo il 21 giugno del 2023.
La rete adriatica gestita da Snam, finanziata in parte con fondi europei del PNRR ma anche, come detto, da Cassa Depositi e Prestiti, prevede di incrementare di 10 miliardi di metri cubi all’anno la capacità di trasporto di metano lungo la direttrice sud-nord, verso i poli energivori della Pianura Padana, del Nord Italia e dell’Europa. Dagli hub di entrata di Mazzara del Vallo (Trapani), Gela (Caltanissetta) e Melendugno (Lecce), con gas proveniente rispettivamente da Algeria, Libia 
e Azerbaijan, il metano arriverà a Sulmona, dove verrà realizzata una centrale di compressione.
Per consentire a Snam di costruirla, il governo ha autorizzato la distruzione di alcune testimonianze archeologiche recentemente scoperte, un insediamento umano risalente a più di 4.000 anni fa. Da Sulmona il gasdotto della Linea Adriatica raggiungerà infine Minerbio, nel bolognese, dopo aver attraversato i territori di Abruzzo, Marche, Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna.
Con l’entrata in funzione del rigassificatore di Ravenna, anche il GNL rigassificato dall’impianto ravennate verrà convogliato nella Linea Adriatica, fino a raggiungere la stazione di stoccaggio Snam di Minerbio, nel bolognese, terminal dei flussi in arrivo dall’Africa e dall’Azerbaijan e vero e proprio deposito nazionale italiano del gas e tra i più importanti d’Europa.
A Minerbio arriva, per esempio, il gas africano dopo una corsa di 2.200, per mezzo del gasdotto Transmed, altrimenti noto come “linea Enrico Mattei”, che dal Sahara algerino arriva fino al punto d’ingresso sulla rete nazionale, a Mazara del Vallo in Sicilia, e da qui dritto a Minerbio. A questo gasdotto dovrebbe collegarsi quello Trans-Sahariano in cantiere nel 2030, di oltre 4.000 km, che dalle ricche riserve di Warri in Nigeria, passando per lo Stato del Niger, dovrebbe arrivare fino alla città di Nassni R’Mel in Algeria e da lì, attraverso le coste mediterranee e l’Italia, verso i mercato europei. Un piano di saccheggio delle fonti energetiche africane (circa 30 miliardi di metri cubi all’anno) che causerà la rovina e lo sfollamento dei villaggi, e creerà le premesse per ulteriori migrazioni climatiche, mascherato da piano per lo sviluppo.

NUOVO COLONIALISMO

L’Africa, infatti, per l’Europa è un continente da depredare. Nigeria ed Algeria, insieme all’Egitto, sono infatti paesi chiave dell’approvvigionamento europeo, costituendo quasi l’80% della produzione di gas dell’intero continente africano. Ad oggi l’Algeria è il primo paese da cui l’Italia importa gas, nel 2022 ha preso infatti il posto della Russia come primo paese fornitore.
Ma anche il Congo è diventato sempre più centrale. Un paese, ex colonia francese, che basa la sua intera economia sull’esportazione di gas e petrolio, da 30 dominato da dittature militari, conflitti coi Paesi confinanti e guerra civile, ma anche ricco di miniere e terre rare molto ambiti dalle multinazionali big tech, dove lavorano per pochi spiccioli anche bambini di tre anni.
I rapporti di natura economica-militare tra Italia e Congo vertono principalmente sul gas, e sono stati rafforzati recentemente tramite accordi che Eni ha avviato col governo locale per importare in Italia il gas che estrae nelle acque congolesi, attraverso l’impianto di liquefazione galleggiante Tango FLNG, che ha una capacità di 1 miliardo di metri cubi di gas l’anno, e che fa parte del progetto Congo Lng di Eni a Point-Noire. Una seconda unità FLNG è tuttora in costruzione e inizierà la produzione di GNL nel corso del 2025. In pratica Eni ha fatto diventare il Congo un paese esportatore di GNL. Attualmente il Congo è il terzo produttore di petrolio dell’intero continente africano ma sono presenti anche 280 miliardi di metri cubi di riserve di gas naturale ancora non utilizzate, che è la ragione per cui Eni da 55 anni è presente nel Paese.
E dove c’è un accordo commerciale è sicuro ci siano anche accordi di cooperazione militare e tecnologica. Tra governo congolese e i vari governi italiani negli anni sono stati ratificati diversi accordi in materia di difesa e sicurezza. La stessa cosa accede col Mozambico, un altro Paese africano con cui l’Italia, ed Eni, ha accordi commerciali (gas, GNL) e militari. Gli interessi in Africa delle imprese italiane non si limitano comunque all’Eni. Alla costruzione del Gasdotto Trans-Sahariano, di cui abbiamo parlato poco più sopra, collabora infatti l’italiana Ansaldo Energia, che assieme alla Nigerian National Petroleum Corporation e alla società di Stato algerina Sonatrach deterrà anche le quote proprietarie.
Spostandoci dall’Africa, notiamo che anche in Medio Oriente le società italiane hanno il loro bel rendiconto. Nella petrolmonarchia del Qatar, uno dei più grandi Paesi esportatosi di GNL, che l’Italia acquista per i suoi rigassificatori, le “nostre” società fanno i loro buoni affari: Fincantieri da tempo vende navi militari al Paese e lo Stato italiano intende rafforzare la sua presenza militare. Giorgia Meloni ha recentemente rinsaldato i rapporti con l’emiro Tamin Bin Hamad Al-Thani, con il proposito di realizzare una nuova base militare nell’area, strategica nel contesto Mediorientale e del Golfo Persico.
Anche il gruppo romano ELT, che dal 2017 è presente in Qatar con un ufficio commerciale grazie all’esperienza nel settore Emso (Elettromagnetic spectrum operations) ha firmato a dicembre 2024 un accordo con le forze armate quatarine per realizzare un Centro unificato di guerra elettronica. Ebbene, non deve sorprendere allora che anche in Qatar troviamo l’Eni.
Già presente con diversi contratti aperti per l’importazione di gas in Italia, a fine 2023 l’azienda del cane a sei zampe ha siglato un contratto a lungo termine con QatarEnergy Lng Nfe, joint venture tra l’Eni stessa e QatarEnergy, per lo sviluppo del progetto North Field East (Nfe). Si tratta della fornitura, a partire dal 2026 e per una durata di 27 anni, di 1,5 miliardi di metri cubi l’anno di GNL da consegnare al rigassificatore Golar Tundra/Italis Lng di Piombino.Questi sono solo alcuni dei paesi, tra i più importanti, da cui arriva il GNL che per l’Italia e per l’Europa ha soppiantato quasi del tutto il gas russo.
È proprio dal tentativo di smarcarsi dalla dipendenza dal gas russo che prende ufficialmente le mosse l’iter autorizzativo accelerato per realizzare le strutture di rigassificazione a Piombino e a Ravenna.

L’ITER APPROVATIVO

Quello di fare di Ravenna un importante centro della rigassificazione a livello nazionale ed europeo è un progetto nato durante il governo Draghi nel 2022, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Un conflitto che ha visto i paesi europei schierarsi con gli alleati della Nato, Stati Uniti in testa, attraverso la decisione di rifornire di armi il governo ucraino.
I lavori concreti per ospitare il nuovo terminale di rigassificazione al largo della costa di Ravenna sono iniziati il 19 giugno 2023, quando l’ex presidente della Regione, Stefano Bonaccini, del Partito Democratico, grande sponsor dell’opera, fu nominato commissario straordinario dal successivo governo Meloni.
Per il rilascio dei permessi sono stati sufficienti 120 giorni, in cambio la promessa di 25 milioni di euro di compensazioni. Mentre il percorso autorizzativo e realizzativo complessivo è durato meno di tre anni. Tempi da record se si considera che un impianto simile – quello collocato a circa 15 km al largo di Porto Viro (Rovigo) – è entrato in funzione nel 2009 dopo 14 anni dal primo studio di fattibilità. Il 21 marzo 2025 infine il ministero dell’Ambiente ha rilasciato con un apposito decreto l’Autorizzazione Integrata Ambientale, con validità decennale. Questa velocità si spiega con il contesto internazionale in cui il progetto è dichiaratamente ed esplicitamente inserito. L’intera rete adriatica, in cui va ricompreso senz’altro il progetto di rigassificazione di Ravenna, fa infatti parte del piano “RePower EU”, che in vista della contrazione del gas russo intende potenziare le infrastrutture per il fabbisogno energetico nazionale e per l’export di gas verso gli Stati dell’Europa centrale.
Questa necessità si interseca con esigenze di natura commerciale ed economica. Una direttiva europea, la DAFI, aveva richiesto in passato l’adozione del GNL per il trasporto pesante e per quello marittimo, con l’Italia che il 16 dicembre 2016 (D.Lgs 257) ha assunto l’impegno di coprire col GNL il 50% del consumo marittimo e il 30% di quello stradale entro il 2030. L’impegno prevede la creazione di una rete di infrastrutture per l’approvvigionamento di GNL lungo i corridoi trans-europei di trasporto intermodale (stradale e ferroviario) TEN-T, in cui il porto di Ravenna rientra. Infatti il rigassificatore è solo una parte di quel progetto complessivo, economico ma anche strutturale e strategico, che vuole fare della città di Ravenna un hub energetico a livello europeo. Ma di questo parleremo fra poco. Ora concentriamoci su alcune informazioni utili a illustrare quello che è il quadro d’insieme.

I FLUSSI DEL GAS

Bisogna sapere che i flussi di gas che dall’estero arrivano in Italia lo fanno da sette punti di ingresso diversi, in corrispondenza dei gasdotti e dei rigassificatori. La quota di ingresso a Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia, da dove arrivava la totalità del gas russo tramite il TAG (Trans Austria Gas) passando attraverso Ucraina, Slovacchia e Austria, si è quasi azzerato dopo il conflitto russo-ucraino (2), anche se nel 2024 ha avuto per la prima volta dall’invasione russa un aumento del +97,1% (prova forse di trame sottotraccia del governo italiano, o di Eni, con il Paese di Putin).
Dopo il 2022 la Ue ha di fatto ridotto di molto l’acquisto di metano russo, anche se mai del tutto completamente (3). Ciò si è verificato dopo le sanzioni e la fine dell’accordo di Gazprom con l’Ucraina, che ha chiuso uno degli ultimi gasdotti che portava gas all’Europa centrale e soprattutto dopo il sabotaggio ucraino del gasdotto Nord Stream, attaccato con esplosivi il 26 settembre 2022, che attraverso il Mar Baltico trasportava il gas della Federazione Russa in Europa occidentale, passando per la Germania.
Anche se i Paesi europei importano ancora quantità di gas dalla Russia, soprattutto GNL via nave (ancora nel 2023 veniva spedito in Europa il 45% della produzione di GNL russo), le dichiarazioni del commissario europeo per l’energia, Dan Jorgensen, hanno ribadito che la UE è determinata «a non continuare più ad acquistare gas e quindi a fornire entrate per il forziere di guerra di Putin». Le parole di Dan Jorgensen, manifestate a febbraio 2025, servivano a smentire il Ministro italiano dell’ambiente e della sicurezza energetica del governo Meloni, Gilberto Picchetto Fratin, che invece non aveva escluso nuovi rapporti commerciali con la Russia dopo un’eventuale fine delle ostilità di Putin in Ucraina.

CONSIDERAZIONI STRUTTURALI E AMBIENTALI

Si impongono dunque le prime considerazioni.
Partiamo da quelle strutturali e ambientali. I rigassificatori, come le opere a questi collegate, vale a dire centrali e metanodotti spesso vicinissimi a zone abitate, sono un potenziale pericolo per la sicurezza pubblica, per i rischi sempre possibili che comportano. Pensiamo alla strage per l’esplosione del deposito di idrocarburi dell’Eni a Calenzano (Firenze) avvenuta il 9 dicembre 2024, dove 5 persone hanno perso la vita e altre 28 sono rimaste ferite, oppure al caso di Mutignano di Pineto (Teramo) nel 2015 quando un metanodotto Snam esplose a causa di uno smottamento. Possiamo ricordare l’esplosione di un metanodotto a Gallio, nell’altopiano di Asiago, ad ottobre 2024, che ha fatto crollare una intera casa uccidendo una persona o il più recente episodio avvenuto a Falconara Marittima (Ancona) il 21 marzo 2025 quando un incendio devastante ha investito la raffineria Api dopo l’ennesimo incidente.

Incidenti gravi si sono verificati anche all’estero. Ne citiamo due a titolo di esempio ma se ne potrebbero riportare tanti altri. Negli Stati Uniti, nel terminale GNL di Freeport, in Texas, nel 2022 un incendio ha ridotto di un quinto le esportazioni americane di GNL per 8 mesi.
A fine marzo 2025 un’esplosione di un gasdotto della compagnia energetica Petronas, a Kuala Lumpur in Malesia, ha coinvolto una ha coinvolto una cinquantina di abitazioni, causando oltre 100 feriti con ustioni e problemi respiratori. Il pericolo rappresentato da impianti di trattamento GNL, rigassificatori, centrali di compressione, condotte e gasdotti è reale, al di là delle rassicurazioni di istituzioni e società coinvolte. Pensiamo solamente al fatto che il rigassificatore di Panigaglia (La Spezia), al 100% di proprietà di Snam, è classificato dalla “normativa Seveso” come “a rischio di incidente rilevante”.

Gli impianti per la rigassificazione sono altresì una sicura fonte di dissesto e inquinamento marino: è dimostrato per esempio come nei loro pressi vi sia un’anomala moria di fauna ittica dovuta all’uso dell’acqua che poi viene reimmessa in mare ad una temperatura di circa 7 gradi più fredda, ed anche perché per la manutenzione, pulizia e funzionalità degli impianti vengono sversati in mare litri di cloro. Questo perché esistono vari sistemi di rigassificazione: quelli che usano l’1% del GNL in dotazione, bruciandolo per riportare allo stato gassoso il metano, e quelli a circuito aperto, come a Ravenna, che usano acqua di mare che addizionano con ipoclorito di sodio (ovvero candeggina) per evitare che alcuni organismi possano proliferare all’interno della struttura (4). Quest’acqua poi viene reimmessa nel mare coi danni che possiamo ben immaginare.

Oltre a questo fattore, gli impianti di rigassificazione, come quelli di liquefazione del gas, sono fonte di surriscaldamento dei mari e degli oceani, che è poi la vera causa dell’aumento della frequenza di uragani e alluvioni. Questo perché sono alimentati da fonti fossili. Già dagli anni ‘70 le aziende come Eni erano consapevoli dei rischi delle emissioni di CO2 correlate all’impiego di fonti fossili come carbone, petrolio e gas metano, eppure nel 2024 le estrazioni ci combustibili fossili di Eni e delle altre compagnie estrattiviste non sono diminuite ma aumentate.
Eni intende incrementarle di almeno il 3% ogni anno fino al 2028. Il metano è anche peggio della CO2: se disperso in atmosfera ha un potenziale di gas serra 86 volte superiore a quello della CO2. Se bruciato forma particolato sottile, dannoso per il sistema respiratorio e potenzialmente cancerogeno. Più del 90% degli europei vive in zone in cui si concentrano registrazioni di particolato fine superiore ai limiti fissati dall’OMS e la Pianura Padana, nemmeno a dirlo, è l’area più inquinata di tutte.
(1. Continua)

Tratto da Piccoli Fuochi Vagabondi.


Note:

1) https://www.ravennaedintorni.it/economia/2025/01/11/come-funziona-impianto-rigassificatore-offshore-ravenna/
2) https://www.startmag.it/energia/importazioni-gas-italia-2024/
3) Gas Italia: da dove arriva ora e quanto dalla Russia. Mappa gasdotti e rigassificatori: https://www.today.it/attualita/da-dove-arriva-gas-italia-forniture-russia-gasdotti-mappa.html
4) irpimedia.irpi.eu/rigassificatore-ravenna-snam


Immagini:

_DSC4365.jpg. Licenza CC 4.0. Fonte: Emilia Romagna Notizie.
_DSC4387.jpg. Licenza CC 4.0. Fonte: Emilia Romagna Notizie.
Sulmona, Case Pente, cantiere SNAM, ottobre 2024. Fonte: Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG).
_DSC4376.jpg. Licenza CC 4.0. Fonte: Emilia Romagna Notizie.
Stack of pipes North Stream 2, by Pedant01. Licenza: CC BY-SA 4.0 Fonte: Wikimedia Commons.
Freeport LNG by Michael Scott. Licenza CC BY 2.0. Fonte: Wikimedia Commons.

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