Dai
continui arresti di serbi kosovari con inconcepibili accuse relative
a fatti di 25 anni fa, alla chiusura delle istituzioni statali serbe
nel nord della provincia, con violenze e attacchi quotidiani ai serbi
delle enclavi. Dalle minacce di morte al presidente Vucic alla
pianificazione sempre più operativa di un “Maidan” serbo. Dalle
pressioni per l’imposizione di sanzioni alla Russia, addirittura a
diffide contro la Chiesa Ortodossa serba, dalle continue proteste di
piazza, ai ricatti e minacce alla Repubblica Serba di Bosnia ed al
suo presidente Dodik, con il tentativo di rompere le relazioni
fraterne con Belgrado. E, in ultimo, la controversa e dirompente
questione circa il litio, la Serbia si trova in una situazione
perennemente sotto ricatto e a rischio esplosione.
Al
di là degli aspetti contingenti è ormai delineata e praticata da
anni, una strategia di affossamento e di sottomissione della
dirigenza nazionale serba, non asservita ad interessi stranieri o ai
diktat occidentali. La domanda che molti esperti ed osservatori
internazionali indipendenti si pongono è, se la Serbia
riuscirà a mantenere un proprio governo che risponda prima di tutto
ad interessi nazionali o la pressione salirà a livelli non più
controllabili?
Questa
è in sintesi la situazione odierna nel paese balcanico.
MAIDAN
serbo?
Il
vice primo ministro della Repubblica
di Serbia,
A.
Vulin
ha pubblicamente denunciato che l'opposizione nel paese sta
preparando uno scenario “Maidan”
in Serbia.
“…abbiamo
fondate informazioni che sono
in preparazione disordini pianificati e il tentativo di sovvertimento
del Presidente Vucic e delle istituzioni statali. Ma tutti sappiano
che abbiamo uno Stato forte e solido, e il presidente Vučić non è
Yanukovich, non ha alcuna intenzione di scappare e di cedere il
potere a farabutti. Hanno avuto le elezioni che chiedevano e hanno
fallito. Hanno provato e sperato di arrivare al potere e non ci sono
riusciti, quindi ora dicono: ok, non possiamo farlo alle elezioni,
dobbiamo farlo per le strade. Credono che in questo paese siano
alcuni stranieri a decidere chi andrà al potere. Questo perché
hanno una cultura da servitori, credono che qui non dipenda nulla dai
cittadini serbi, ma da qualche ambasciatore che li chiamerà e dirà:
d'ora in poi il primo ministro sarai tu….Mosca
ci ha avvertito della preparazione di un colpo di stato. Non c'è
motivo di avere paura, ma abbiamo motivo di essere cauti e molto
seri…Nel
nostro Paese esiste un numero significativo di gruppi organizzati,
interconnessi, che si preparano a proteste quotidiane, si preparano a
provocare incidenti, fare caos, lanciare allarmi, diffondere voci,
creare trambusto e confusione e cercheranno di sfruttare ogni
occasione per potenziali conflitti. Lo schema già collaudato è che
se questo sarà bloccato, verrà attuato lo scenario del Maidan, si
costruiranno tende e blocchi, con la parola d’ordine ’resteremo
finché le richieste non saranno soddisfatte’. Hanno già preparato
delle squadre che rimarranno in servizio tutta la notte…Dal
lavoro che ho svolto in precedenza come capo della BIA (Sevizi
Sicurezza serbi), di ministro degli Interni e della Difesa, so molto
bene cosa fanno i servizi stranieri occidentali in questo paese e so
molto bene con chi lavorano, e so che ogni volta che la Serbia ha
l’opportunità di progredire, abbiamo proteste nelle strade,
abbiamo persone che si preparano a mostrarci cos’è una
‘rivoluzione colorata, abbiamo persone che stanno cercando di
cambiare il governo con la forza...Circa le minacce di morte al
presidente Vucic, i
nostri
servizi scopriranno chi si nasconde dietro l'ordine con cui si
indicava di impiccare il presidente , è solo questione di
tempo...",
ha
detto Vulin.
Continui
ARRESTI in Kosovo
di serbi, con accuse datate 25 anni fa. Una precisa strategia
pianificata di terrore, per spingere all’esodo la restante
popolazione serba nella provincia e spezzare la Resistenza civile
contro la pulizia etnica.
Ai
primi di agosto altri cinque serbi sono stati arrestati con irruzioni
violente nelle loro case, nel distretto di Kosovo Pomoravlje,
come le altre centinaia di serbi arrestati in questi anni, anch’essi
hanno finora vissuto pacificamente nelle loro comunità, senza
precedenti di attività illegali. È particolarmente grave che gli
arresti vengono effettuati senza ordinanze legali circostanziate,
sulla base di elenchi segreti, il che indica ulteriormente
l'arbitrarietà e la natura politica e terroristica di queste azioni.
Lo sconforto e la percezione dell’isolamento
in queste terre, fanno parte della strategia di discriminazione
sistemica, legata alla costruzione forzata delle comunità ghetto,
enclavi, come unico modo in cui è possibile sopravvivere per i
serbi.
Gli
ultimi arresti sono avvenuti il 3 agosto: Dragan Cvetkovic, Dragan
Nicic, Milos Sosic e Slobodan Jevtic di Pasjane e Nenad Stojanovic di
Bosce. La polizia ha fatto irruzione nelle loro case di mattina
presto, puntando armi automatiche contro i membri delle famiglie. Gli
arresti
che sono, come sempre, motivati su accuse di presunti crimini
commessi 25 anni fa durante il conflitto in Kosovo, dimostrano
la situazione dello “stato di diritto” della provincia kosovara,
in quanto queste persone, nei trascorsi decenni hanno vissuto
pacificamente nel loro villaggio con le loro famiglie, rispettati da
tutti i vicini di casa.
Anche la Chiesa
ortodossa serba
ha espresso profonda preoccupazione per i continui arresti di civili
serbi con accuse inammissibili. La COS
ha
espresso
piena solidarietà alle famiglie degli arrestati, inviando un
messaggio di sostegno e di perseveranza: “…Tali
atti di repressione non dovrebbero intimidirci, ma rafforzare la
nostra determinazione a continuare a vivere nei nostri antichi
focolari con dignità e pace…”.
La stessa Chiesa
serba
è continuamente attaccata e minacciata, per recidere le radici
millenarie dell’identità storica e spirituale dei serbi in KosMet.
"Questa
non è libertà, questa non è vita!",
ha detto Vasilije
Šošić
durante la protesta a Pasjan.
Suo
figlio Miloš
è stato arrestato con l'accusa di crimini di guerra e lui, di fronte
a diverse migliaia di serbi, ha ripercorso il dramma dell'arresto di
suo figlio e ha testimoniato con esempi personali, i rapporti tra
serbi e albanesi. "…Quando
mi sono alzato la mattina per vedere, c’era il cortile pieno,
tutti armati fino ai denti, come se avessimo calpestato il mondo
intero, come se mio figlio avesse fatto chissà cosa", ha
detto
Vasilije.
L'arrestato Miloš
Šošić,
era stato uno dei primi serbi aggregati nella polizia del Kosovo,
vi ha trascorso 23 anni con premi e decorazioni. Quando le forze
speciali armate sono entrate nel cortile di casa sua, suo padre ha
pensato che fosse stato ucciso e quando ha visto che lo conducevano
via legato e piegato, pensò che Miloš
avesse
ucciso qualcuno. Mentre lo portavano via ha detto a suo padre che era
accusato di crimini di guerra.
Dragan Cvetković
un altro degli arrestati è disabile,
la famiglia non intende vendere la terra e andarsene, un figlio è
insegnante e l'altro prete. Ed è stato quest'ultimo, padre
Jovan,
a raccontare: “…All'alba
del 3 agosto, poliziotti di Pristina sono entrati nelle nostre case,
nelle nostre vite, nei nostri diritti, nella nostra libertà senza
spiegazioni e con il chiaro intento di spaventarci. Per dirci che non
apparteniamo a questo posto, che non vogliono vederci qui. Ma devo
ribadire questo: non siamo spaventati, ma siamo incoraggiati…Mi
appello a tutti coloro che hanno sofferto e ai santi, conosciuti e
sconosciuti, che hanno testimoniato la loro fede e hanno amato questo
Paese, sono sicuro che gli abitanti di Pasjana sopravvivranno anche a
questo tormento e a questa ingiustizia”.
Dragan
Ničić
è un insegnante in pensione. Ha lavorato nei villaggi dove sono
stati commessi i presunti crimini. È uno di quelli che, 35 anni fa,
furono accusati di avvelenare i bambini albanesi con i noti e
ingegnosi avvelenamenti monoetnici. Accuse poi cancellate, ha
continuato a vivere nella sua casa in questi decenni.
Slobodan Jevtić,
è un rimpatriato non
vedente,
che intendeva vivere lì con la sua famiglia e nella sua terra,
nonostante che le autorità gli avevano spiegato i rischi che
attendono i rimpatriati e il ritorno dei serbi.
Tra i cinque c’è
anche Nenad
Stojanović
del villaggio Bosce
vicino
a Kosovska
Kamenica.
Quando il folto
gruppo di poliziotti ha fatto irruzione nella casa e ha messo i
bambini e la loro madre in una stanza, una ragazza ha detto: "Questi
non sono poliziotti, questi sono ladri, i poliziotti hanno delle
facce…Qui ha un volto solo chi soffre e aspetta la liberazione e la
libertà…”.
VIOLENZE e
ASSALTI quotidiani.
Il
6 agosto nel villaggio di Novake
vicino a Prizren,
le case di tre famiglie di rimpatriati sono state bruciate e
completamente distrutte. Erano delle famiglie di Dejan
Petković,
della famiglia di Dragomir
Nikolić
e della famiglia del defunto Stanislav
Nikolić.
Delle case sono rimasti solo i muri, i tetti sono stati completamente
bruciati. I serbi che erano tornati dopo il conflitto erano 70, a
causa delle violenze, delle minacce continue e dell'insicurezza
quotidiana, ne erano rimasti quindici.
In luglio sono stati
aggrediti e picchiati Mladen
Djosic
a Donja
Brnjica
vicino a Pristina.
“…Un
albanese ha
aggredito Đošić senza alcun motivo e gli ha rotto il naso, quando
suo padre Donja ha cercato di proteggere suo figlio, la polizia lo ha
arrestato, invece di arrestare l'aggressore.
Sebbene le telecamere di sorveglianza abbiano registrato tutto
l'accaduto e l'aggressore del serbo sia stato subito riconosciuto, la
polizia lo ha fermato solo dopo ore… I serbi di questo villaggio
sono indignati e intimiditi…", si
legge in un comunicato stampa.
Il
12 agosto nel
villaggio di Gornje
Korminjane
nel distretto di Pomoravlje,
in Kosovo,
due persone mascherate hanno fatto irruzione nella casa della
famiglia serba di Nenad
Jovanovic.
Stando a quanto riportato dalla stampa, Jovanovic
è stato aggredito e ferito. I due criminali hanno poi lasciato
l'abitazione sparando alcuni colpi di arma da fuoco che non hanno
provocato vittime, lasciando dei bossoli all'esterno
dell'abitazione.
CHIUSURA violenta
e sistematica delle istituzioni statali serbe nel Kosovo
La brutale irruzione e
occupazione con chiusura delle filiali delle Poste
della Serbia
in Kosovo
è la prosecuzione del piano di pulizia etnica del nord del
Kosovo
Metohija
e di
tutto ciò che ha radici serbe. L'azione
è stata condotta in nove località
del nord del Kosovo
con la motivazione che sarebbero illegali, non registrati e senza
licenza…dopo 25 anni di normale funzionamento! Questa ennesima
azione provocatoria, viola anche gli accordi sanciti a Bruxelles
nel 2015 sotto gli auspici dell'Unione
europea,
e quindi compromette l'intero dialogo i cui effetti vengono
annullati, minando così la sua già scarsa autorevolezza e
reputazione.
L'abolizione dei
servizi postali dopo l'abolizione del dinaro
rappresenta il colpo più duro al funzionamento delle istituzioni
serbe e all'erogazione dei servizi ai cittadini in queste zone.
Proteste dei
serbi per la proposta di apertura del PONTE sul fiume Ibar
a Kosovska
Mitrovica,
nel nord del Kosovo.
Tutti
i
partiti politici dei serbi del
Kosovo condannano
la
proposta di apertura del ponte principale sull'Ibar
al traffico, ritenendo che questa azione contribuirà ad un ulteriore
allontanamento della popolazione serbo kosovara.
Negli
anni precedenti proprio in questo luogo sono avvenuti omicidi,
scontri anche armati e incidenti. La popolazione serba ha paura di
una ulteriore pulizia etnica e di una invasione della parte albanese.
Anche i continui
attacchi e provocazioni contro la SRPSKA (Rep.
Serba di Bosnia),
sono parte del disegno di piegare la Serbia
e minare la fratellanza del popolo serbo nei Balcani.
Cosa
c'entra il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina,
Zukan Helez,
con Valery Zaluzhny,
attuale ambasciatore
dell'Ucraina a Londra,
ci sarebbe da chiedersi. C'èntra eccome ed è nodale. Helez
dichiara che, per
preservare la pace, sia necessario prepararsi sistematicamente alla
guerra. Questo è quello che fa, e ancor di più ne parla, inviando
messaggi minacciosi a un potenziale nemico la cui identità, in base
alle opinioni politiche e ai messaggi del ministro, non è difficile
da indovinare: i serbi di Bosnia.
Helez,
per convincere nel modo più convincente possibile i cittadini della
Bosnia ed Erzegovina
che non corrono alcun pericolo, non gli è bastato sottolineare la
stretta collaborazione con l'EUFOR
e la NATO,
ma ha anche parlato in modo criptico con "alcune
forze di certi paesi",
che sono già disponibili e pronti ad agire, se necessario.
Secondo quanto ha affermato,
queste "certe forze
di alcuni paesi"
sono disponibili sulla base della sua attività di lobbying con quei
paesi amici, su base bilaterale, e non sono subordinate all'EUFOR
o alla NATO,
ma ai propri comandi. Non ha voluto dire di più, ma già ha detto
tanto. La parte serbo bosniaca ha chiesto se la
Presidenza della Bosnia-Erzegovina
ne sa qualcosa. Possono i cittadini della Bosnia-Erzegovina,
soprattutto diverse
centinaia di migliaia, essere calmi e pacifici, se vengono loro
raccomandate "alcune forze di alcuni paesi" come fattore di
protezione dalla posizione ufficiale dello stato bosniaco?
Non
appena ha assunto l'incarico di ambasciatore ucraino in Gran
Bretagna, l'ex comandante in capo delle forze armate ucraine,
Valery Zaluzhny, l” ’amico” di Helez, si era
affrettato a dare ai padroni di casa, all'Occidente e al mondo
intero, soluzioni istruttive e generalmente valide dalla sua
esperienza in tempo di guerra, che pervengono alla conclusione che,
per raggiungere la pace bisogna passare attraverso la guerra, per la
quale tutti gli stati democratici dovrebbero prepararsi. Ma egli
sottoilinea che la cosa più difficile è preparare la società, cioè
i cittadini, alle inevitabili privazioni: "…Forse la
componente più difficile e importante è la preparazione della
popolazione...Per il bene della propria sopravvivenza, la società
deve accettare di rinunciare temporaneamente ad alcune libertà…”.
Anche,
nel territorio dell'ex Jugoslavia,
c’è un Zaluzhny locale,
è il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina
Zukan Helez, con il fatto che in
termini di protagonismo mediatico il generale-diplomatico ucraino per
lui è quasi un principiante inesperto.
Helez
negli spettacoli televisivi indirizza sempre la conversazione sulla
valutazione dell'esistenza di una reale minaccia alla pace in Bosnia
ed Erzegovina, con riferimento alle
intenzioni separatiste della Repubblica
Srpska, con accenni a possibili
divisioni, puntando le accuse su Milorad
Dodik, il leader dei serbo bosniaci.
I
cittadini della Bosnia-Erzegovina
non devono preoccuparsi della sicurezza del loro paese poiché hanno
un ministro della Difesa così influente e amico dello stratega
ucraino Zaluzhny, definito
“filo bosniaco” ?.
Quando recentemente un plotone di cadetti serbi disarmati e anziani
hanno sfilato per Prijedor
in occasione della commemorazione della battaglia partigiana di
Kozara,
e si sono recati anche a Bratunac
per deporre fiori alle vittime antifasciste di Podrinje,
questa visita debitamente annunciata ha causato diverse reazioni
isteriche nelle autorità bosniache, come se l’occupazione del
territorio della Bosnia-Erzegovina
fosse quasi in atto.
Secondo
quanto ha affermato lo Zaluzhny
bosniaco, quelle "certe
forze di alcuni paesi" sono
arrivate sulla base della sua attività di lobbying con quei
paesi amici, su base bilaterale. Chi
sono e quante sono? A cosa servono?
Quando
si tratta della vicina Serbia,
ad esempio, non ha permesso che gli elicotteri serbi del MUP
contribuissero a spegnere gli incendi in Erzegovina,
perché riteneva che ciò fosse "una
mancanza di rispetto” per lo Stato
della BiH
e delle sue forze armate. Mentre, d'altro canto, informa
tranquillamente l'opinione pubblica bosniaca che misteriose e
operativamente capaci "forze di alcuni paesi amici" sono
già di stanza sul territorio della stessa BiH...
Anche
queste campagne allarmistiche e minacciose fanno parte di un progetto
di indebolimento e isolamento della Serbia
e del popolo serbo, ventilando scenari di guerra o invasioni esterne,
additando i leader serbi attuali, votati dalla propria gente, come un
pericolo per il mondo “libero e democratico”.
In
questi scenari di fatti ed eventi non certo latori di orizzonti
pacifici e conciliatori, in queste settimane è esplosa anche la
questione LITIO
ed il progetto di sfruttamento nella regione serba di Jardar.
Una situazione complessa, delicata e
che potrebbe essere disarticolante, ma certamente è duramente
controversa all’interno degli scenari sociali e politici serbi. Ma
di questo tratterò in un prossimo lavoro.
Per
chi osserva e conosce dall’interno
il paese balcanico, il suo popolo e la sua società, sono ormai
delineate chiaramente le direttrici concrete su cui si realizza il
progetto destabilizzatore occidentale. QUESTA
è la situazione e le problematiche che assediano il governo ed il
popolo serbo, e non sono di poco conto per un paese e uno stato.
Anche perché hanno come obiettivo finale strategico, sferrare il
colpo fatale e portare alla soluzione finale la questione Serbia
“indipendente e sovrana”.
A
cura di Enrico
Vigna,
portavoce del Forum
Belgrado Italia –
25 agosto 2024