domenica 10 settembre 2017

Siria a pezzi - E' ancora presto per cantar vittoria!


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Nessuno mette in dubbio il valore dei combattenti siriani, hezbollah e iraniani, né il contributo russo. Fonte di entusiasmo, commozione, gratitudine. Ma  credere che la guerra in Siria sia conclusa mi sa davvero di trionfalismo e di tentativo ad ogni costo di superare le evidenti e drammatiche contraddizioni nella situazione, a partire dall’immagine di un Netaniahu “disperato, furente e depresso” (sembra un fumetto) e preso a sberleffi da Putin. Putin non ignora di certo l’immenso potere che questo nazista esercita tramite la rete mondiale della lobby mediatica, finanziaria. tecnologica, anche in Russia.

Parlare di vittoria in Siria mi pare prematuro, con un Israele che, impunito, si permette di bombardare la Siria e i rifornimenti iraniani a Hezbollah ogni due per tre, senza che ci sia un fiato di reazione. Con una Siria a macchia di leopardo, lontanissima della ricomposizione unitaria, con larghe zone sotto controllo di suoi nemici mortali che godono della polizza assicurativa di Usa, Israele e Turchia.
Qui, a me pare, si va delineando un grande accordo a perdere. Una mediazione positiva se si confronta con il progetto iniziale dei nemici della Siria, che era quello di spazzare via Assad e, con lui, l’idea stessa di Siria. Una mediazione negativa, se si guarda a un paese per larga parta occupato e senza prospettiva di liberazione, dato che l’alleato decisivo sta al tavolo del poker con gli altri e tu, Siria, porti da bere e svuoti i posaceneri. 

Tentativo di balcanizzare, pessimo affare. Ma cos’è un paese frantumato in almeno 8 parti, di cui solo una (vabbè la più popolata, ma anche quella con meno risorse energetiche e idriche) sotto controllo del legittimo governo, se non un paese balcanizzato? Non lo è solo perché Assad sta ancora lì?

Gli Usa che si sono assicurati, con il surrogato curdo, il possesso (parlo di possesso) di un buon quinto della Siria abitabile, di una delle sue maggiori città e che ora prelevano da Deir Ez Zor con gli elicotteri i capi mercenari obsoleti, mi danno proprio l’impressione che tra i tre capifila, Israele, Usa, Russia, si sia addivenuti a un agreement non di gentlemen, ma di biscazzieri, a spese di Siria, Hezbollah e Iran. Altrimenti gli Usa avrebbero di sicuro potuto impiegare sufficienti forze per  tenersi Deir Ez Zor, come si sono tenuti Raqqa, dove infatti l’esercito  siriano non ha potuto arrivare. 

Insomma, si è concordato che Raqqa è loro e Deir Ez Zor è nostra e Al Bab e Idlib sono turche. Se è così, la situazione si cristallizzerà, altro che Damasco che si riprende Raqqa e il Kurdistan allargato, o le zone di “riduzione del conflitto” (o di recupero delle forze “ribelli”).
Damasco controlla la frontiera con l’Iraq? Solo pezzi di quella frontiera, gli altri li controllano Usa e curdi e poi bisogna vedere cosa succederà a Baghdad.
Sistemata così la Siria, ridotta a un’ombra in termini di potenza geopolitica dal fatto di avere i nemici in casa e nel giardino, si passerà ora a vedersela con un Hezbollah (e non fidiamoci della fola dei 100 mila missili), indubbiamente indebolito da quanto ha speso e spende in Siria e temo che la Russia in Libano non abbia grandi carte militari da giocare.
Alla fine della festa avremo una Siria a pizzichi e bocconi, soddisfatta di essere sopravvissuta, sebbene con qualche arto di meno, e irrilevante sullo scacchiere, oltretutto non più in condizioni di sostenere profughi e resistenza palestinesi ; un Iraq che il terrorismo Isis, insieme alle basi e ai contingenti Usa, continuerà a tenere a bada dai troppi giri di valzer con Iran e Russia, e che avrà perso non solo il Kurdistan narco-e-petro-trafficante esteso fino a Kirkuk, ma anche il Nord occupato dai turchi e che ha uno scissionista della comunità sciita in Muqtada al Sadr, il clerico voltagabbana, da sempre un infiltrato misterioso che non ha mai alzato un dito contro gli occupanti Usa e ora sabota i rapporti con l’Iran andando a flirtare con re Salman d’Arabia Saudita, proprio nel momento in cui questi lancia l’offensiva contro il Qatar per minare l’arco sciita. E un Libano lacerato tra il “saudita” Hariri e il patriota Aoun, esposto senza difese esterne alla prossima guerra israeliana.
Il bicchiere è tutto fuorché mezzo pieno. E ora possiamo discutere nei secula seculorum se si poteva ottenere di più, o se non si poteva che fare di necessità virtù.

Una certezza però c’è. Gli Usa e chi per loro, dietro loro, davanti loro, a fianco loro (sorosiani e sinistrati) sono sempre all’attacco. I russi, e noi, sempre sulla difensiva. E ciò non è bello.

Fulvio Grimaldi

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