Ve lo ricordate questo...?
Bando a ogni fiducia nella Giunta Monti-Napolitano!
Fare del bilancio dell’esperienza del vecchio PCI una base per partecipare alla lotta che trasformerà l’Italia in un nuovo paese socialista!
Tra il ventesimo anniversario dell’eliminazione del magistrato Giovanni Falcone e sua moglie (23 maggio 1992) con la loro scorta e quello di Paolo Borsellino (19 luglio 1992) con la sua scorta, è esploso lo scandalo dell’attività svolta ancora oggi da Giorgio Napolitano per impedire la conoscenza dei mandanti dell’eliminazione dei due magistrati e degli altri attentati mafiosi del periodo 1992-1993.
Lo scandalo consiste nella pubblicazione delle registrazioni delle telefonate dei mesi scorsi tra Nicola Mancino (Ministro degli Interni all’epoca delle stragi) da una parte e dall’altra l’attuale consigliere di Giorgio Napolitano, Loris D’Ambrosio (che ripetutamente per dare forza alla linea di condotta che propone a Mancino dichiara di parlare su indicazione di Napolitano) e lo stesso Napolitano. Le telefonate certificano che Napolitano ancora oggi orchestra in prima persona le attività svolte a proteggere i mandanti delle stragi.
Vale la pena ricordare che quelle stragi erano l’intervento diretto della Mafia nel rivolgimento in corso all’epoca ai vertici della Repubblica Pontificia: fine dei governi del CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) con la definitiva estromissione di Craxi e l’investitura del fiduciario nazionale della Mafia, Silvio Berlusconi, che nel 1994 divenne così presidente del governo della Repubblica Pontificia. All’epoca Giorgio Napolitano era presidente della Camera dei Deputati e successivamente, negli anni 1996-1999, fu addirittura Ministro degli Interni. Qual sia stato il suo ruolo personale nel rivolgimento politico che allora avvenne ai vertici della Repubblica Pontificia e quali i motivi della sua attività attuale, lo sapremo in dettaglio quando la vittoria delle masse popolari straccerà il segreto tessuto di complicità e di omertà che oggi nasconde ai loro occhi le losche attività della Corte Pontificia e degli altri vertici della Repubblica Pontificia.
Allora sapremo con certezza anche perché è esploso lo scandalo di oggi, uno dei tanti che periodicamente ravvivano per alcuni giorni o mesi la storia della Repubblica Pontificia senza cambiarne il corso. Sarebbe ingenuo attendersi che questo scandalo contribuisca più dei tanti che lo hanno preceduto a cambiare la natura della Repubblica Pontificia. Gli scandali sono espressioni della natura Repubblica Pontificia: un centro di attività antipopolari che si deve ammantare da centro sollecito del benessere popolare, quindi non solo reazionario ma anche ipocrita e criminale. Di ognuno di questi scandali ai fini della lotta delle classi oppresse e sfruttate conta quello che grazie ad esso le masse popolari imparano, la crescita che si consolida nella loro coscienza politica.
Prendere atto della connivenza e complicità di Giorgio Napolitano con le stragi di venti anni fa e delle sue attività volte ancora oggi a proteggere i mandanti, è particolarmente istruttivo
- sia per quelli che in qualche modo accordano qualche fiducia a Napolitano e alla Giunta Monti-Napolitano; per quelli che se non credono, almeno sperano che con le loro misure a favore delle banche e delle altre istituzioni finanziarie ed economiche del sistema imperialista, ci faranno “uscire dalla crisi”;
- sia per quelli che in qualche modo si agitano per la ricostruzione del partito comunista senza però aver ancora compreso i motivi del declino del vecchio PCI fino alla sua dissoluzione nel 1989 e del fallimento del Partito della Rifondazione Comunista conclusosi nella sua disgregazione nel 2008.
Ai primi dobbiamo mostrare l’ipocrisia che caratterizza i “campioni di virtù” che compongono i vertici della Repubblica Pontificia: ammantare di buone parole azioni criminali e antipopolari fa parte del loro ruolo. Essere ai vertici della Repubblica Pontificia significa essere persone che sono al vertice di uno Stato che getta nella disperazione, nell’emarginazione e nella miseria una parte crescente delle masse popolari e che nello stesso tempo sono abili a riempirsi la bocca di dichiarazioni ed esortazioni al “bene comune”: come se esistessero un bene comune e un futuro comune per Marchionne e l’operaio della FIAT!
Ma l’ipocrisia con cui le classi dominanti di oggi devono coprire le loro reali attività, non è importante principalmente come un tratto della loro morale. È importante principalmente come segno della loro debolezza: di quanto esse per sopravvivere hanno bisogno della benevola ignoranza o almeno della rassegnazione delle masse popolari. Essere coscienti di questa lato debole delle classi dominanti, apre un ampio e fruttuoso campo di attività per le persone e le organizzazioni decise a porre fine alla Repubblica Pontificia.
Ai secondi dobbiamo mostrare che la dissoluzione del PCI nel 1989 non è stato un colpo di mano di Occhetto e di altri liquidatori. La dissoluzione del 1989 è stata la sanzione ufficiale dello stato a cui era arrivato un Partito che era stato glorioso nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, ma che si era poi sempre più allontanato dalla lotta per instaurare il socialismo, trasformandosi al suo interno in qualcosa di diverso da quello che era stato. Una prova di questo allontanamento sta proprio nella carriera che hanno potuto farci individui alla Giorgio Napolitano.
Napolitano e i suoi cortigiani mentono spudoratamente quando vantano la partecipazione di Napolitano alla lotta contro il fascismo e alle battaglie contro l’instaurazione della Repubblica Pontificia (Portella delle Ginestre, ecc.). Ma la folgorante carriera che ha portato un simile individuo, classe 1925, a essere eletto deputato PCI nel 1953, a diventare membro del Comitato Centrale del PCI nel 1956 e ad occupare poi posizioni dirigenti sempre più alte, è un fatto reale. Non a caso nel luglio ’60 un comandante partigiano come Alessandro Vaia lanciava dall’interno del PCI l’allarme contro la trasformazione in corso nel Partito! Non a caso tra il 1962 e il 1963 il Partito Comunista Cinese diffondeva le sue celebri dichiarazioni Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (volume 19 delle Opere di Mao Tse-tung, Edizioni Rapporti Sociali)!
Che già negli anni ’60 Napolitano era l’uomo di fiducia degli imperialisti USA nel PCI, non è un segreto scoperto di recente: i vertici del PCI ne erano certamente al corrente già all’epoca, ma hanno accettato che svolgesse lo sporco ruolo. Che già negli anni ’60 Napolitano fosse a capo di una corrente che sosteneva che il PCI doveva abbandonare apertamente ogni riferimento alla concezione comunista del mondo, ogni legame con il movimento comunista internazionale e perfino la propaganda dell’obiettivo dell’instaurazione del socialismo, era un fatto pubblico. Le infami attività svolte da Napolitano in ruoli istituzionali della Repubblica Pontificia dai primi anni ’90 a oggi (Napolitano con la legge Turco-Napolitano è il creatore dei CIE, i lager di Stato per immigrati) non sono state una rottura rispetto alle attività che aveva svolto quando era ancora alto dirigente del PCI: sono la continuazione di quello che già faceva o l’attuazione di quello che già sosteneva quando era un alto dirigente del PCI. La protezione dall’Operazione Mani Pulite di cui hanno goduto Napolitano e la sua “corrente migliorista”, è un indice della potenza che Napolitano aveva raggiunto ai vertici della Repubblica Pontificia mentre era ancora alto dirigente del PCI.
Che il PCI non solo tollerasse nelle sue file, ma elevasse alle massime responsabilità individui come Napolitano deve portare a interrogarsi su cosa il PCI era diventato, che strada stava seguendo. Aspirare a che nel nostro paese ci sia un partito comunista è una cosa giusta. Ma questa aspirazione diventa costruttiva quando si incomincia a cercare risposta a domande come: perché il PCI, una volta sconfitto il fascismo, non ha proseguito la lotta per instaurare il socialismo? Su quale strada si è messo il PCI dopo la vittoria della Resistenza? Come mai i vertici della Repubblica Pontificia hanno potuto chiamare esponenti di primo piano del PCI (Nilde Jotti, Pietro Ingrao, ecc.) a volgere ruoli istituzionali? Come mai la linea delle “riforme di struttura” anziché disgregare la Repubblica Pontificia ha portato il PCI alla disgregazione? Solo rispondendo onestamente a queste e ad altre analoghe domande, i compagni faranno delle loro aspirazioni uno strumento di costruzione che li porterà a svolgere un ruolo efficace nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
Gli scandali sull’attività dei vertici della Repubblica Pontificia non cambiano la sua natura, ma sono ricchi di insegnamenti. Dobbiamo approfittarne per rafforzare la nostra concezione del mondo ed elevare la coscienza politica delle masse popolari.
(nuovo)Partito comunista italiano
nuovopci@hotmail.it
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