L'autore del saggio: arch. Filippo Giannini di Roma
Ante Scriptum
Cari amici, non voglio tediarvi ricordando mio padre, ma è necessario non per altro per introdurre un nuovo articolo che, per la verità completamente nuovo non è. Dunque mio padre, Virgilio, oltre ad essere dotato di determinate caratteristiche come una acutissima intelligenza e una non comune cultura, era di una modestia che rasentava la stupidità. Ma quello che lo caratterizzava in particolare era la sua onestà che andava oltre ogni umana immaginazione. Mio padre ci lasciò circa quarant’anni fa. Qualche lettore si chiederà: ma che centra il padre di Giannini? Un attimo di pazienza e giungo al PERCHE’. Dunque per quanto scritto si evince che il Ragionier Giannini visse gli anni del pre fascismo e il fascismo per intero. Una prima precisazione: mio padre non era, nel corso del Ventennio, mai stato fascista, il suo unico dovere era il lavoro, quindi posso dire che era un a-fascista. Veniamo al punto: caduto il fascismo e subentrata la democrazia, poté notare la differenza di buon governo tra il pre-fascismo e la novella democrazia e confrontando questi periodi con quello del male assoluto (così indicato da l’infame N° 1), ebbene divenne fascista e votò sempre per il MSI.
Mio padre si spense negli anni settanta, quando la classe politica allora al potere non aveva raggiunto il grado di disonestà che oggi la caratterizza. Per quanto ho scritto non posso immaginare mio padre vivo ai tempi di questa repubblica nata dalla resistenza.
Non passa giorno che non si verifichi un furto, una ruberia, una truffa, corruttela di ogni genere da parte dei furbetti vermetti che siedono al parlamento o al senato, cose che al tempo del male assoluto sarebbero state semplicemente impensabili. Proprio questi giorni mi è venuto in mente un fatto poco noto e che ritengo opportuno ricordare. Al Liceo classico di Roma, il Torquato Tasso, erano iscritti due figli di Benito Mussolini: Vitorio e Bruno. È da osservare che quel Liceo in quel periodo era caratterizzato da grande serietà e difficoltà nello studio e gli studenti che superavano l’esame di diploma erano considerati dei piccoli geni. Ebbene accadde che quando Benito Mussolini seppe che alcuni professori riservavano un occhio di riguardo ai propri figli, forse in rispetto del loro cognome, scrisse al preside una lettera con la quale pretendeva che ad essi fosse riservato lo stesso trattamento di severità in uso per qualsiasi altro studente.
Quanto sopra scritto mi ha ispirato l’articolo che segue, iniziando con un grido, alto e forte: ALTRO CHE ARTICOLO 18!
Filippo Giannini
ITALIA REPUBBLICA SOCIALIZZAZIONE CORPORATIVISMO, SOCIALIZZAZIONE. LA MARCIA DEL FASCISMO VERSO LO STATO NAZIONALE DEL LAVORO.
SOCIALIZZAZIONE E STATO CORPORATIVO I passaggi fondamentali per giungere al Manifesto di Verona
di Filippo Giannini
"La Socializzazione non è se non la realizzazione italiana, romana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell'economia, ma respinge la livellazione di tutti e di tutto, livellazione inesistente nella natura umana e impossibile nella storia" (Mussolini - 14 ottobre 1944)
Il teorico e storico della dottrina cattolica, Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo studio e all'insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini nell'ultimo decennio della sua vita "fu quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell'impresa a partecipante alla gestione e alla proprietà e quindi ai risultati economici della produzione”. E aggiunge: "Durante la RSI ... fu emanato un decreto che prevedeva la socializzazione delle imprese. E' stato questo, sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E' un messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo sia al social-capitalismo. In quest'ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico”.
L'idea di un "socialismo effettuabile" sorse in Mussolini già nel 1914, quando uscì dal Partito Socialista, "organismo" velleitario e ciarliero e la sviluppò nell'immediato primo dopoguerra.
Nel 1919, Mussolini parlando, agli operai della "Dalmine" che avevano occupato le fabbriche e innalzato le bandiere tricolori anziché quelle rosse e continuato a lavorare sotto la guida dei tecnici, fra l'altro dichiarava che "il lavoro doveva essere conquista, vittoria di uomini liberi. Voi non siete più salariati ma compartecipi, corresponsabili nella produzione”.
In questo dopoguerra è stato scritto e detto che l'idea di Mussolini della Socializzazione "fu solo un tardivo espediente per ingannare le masse lavoratrici". E' una delle tante menzogne, fra le mille e mille, di un regime corrotto e inetto terrorizzato di dover affrontare un serio confronto con il Governo che lo ha preceduto.
Tutta l'attività del Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e leggi di chiare finalità sociali all'avanguardia non solo in Italia ma, addirittura, nel mondo.
Quelle leggi, di cui i lavoratori italiani ancora oggi ne godono i privilegi, sono quelle volute da Mussolini nei suoi vent'anni di Governo. Qualsiasi confronto con quanto fatto dai Governi di questo dopoguerra, risulterebbe stridente.
Citerò solo alcune di quelle leggi o decreti, quelle, cioè che ritengo più rappresentative, ricordando che prima del fascismo nello specifico campo legislativo c'era il vuoto più assoluto:
Tutela lavoro donne e fanciulli (R.D. 653 - 26/4/1923);
Assistenza ospedaliera per i poveri (R.D. 2841 30/12/1923);
Assicurazione contro la disoccupazione (R. D. 3158 - 30/12/1923);
Maternità e infanzia (R.D. 2277 - 10/12/1925);
Assicurazione contro la TBC (R.D.2055 -27/10/1927);
Esenzioni tributarie famiglie numerose (R.D.1312 - 14/6/1928);
Opera nazionale orfani di guerra (R.D. 1397 - 26/7/1929);
INAIL (R.D.264 - 23/3/1933);
Istituzione libretto di lavoro (R.D. 112 - 10/1/1935);
INPS (R.D.18274/10/1935);
Riduzione settimana lavorativa a 40 ore (R.D. 1768 - 29/5/1937);
ECA (R.D. 847 - 3/6/1937);
Assegni familiari (R.D. 1048 - 17/6/1937);
Casse rurali e artigiane (R.D.1706 - 26/8/1937);
INAM (R.D. 318 - 11/1/1943);
Da tutto ciò si evince il motivo per cui i governi che seguirono nel dopoguerra, per evitare un democratico confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e varare quelle leggi antidemocratiche e lesive al libero pensiero, quali le “Leggi Scelba”, “Legge Reale" e "Legge Mancino".
Su questo argomento torneremo in un prossimo futuro e rientriamo prontamente in tema ricordando l'enunciazione mussoliniana “andare verso il popolo", trasformata poi nel più sociale "stare con il popolo".
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I principi essenziali dell'ordinamento corporativo sono espressi e ordinati nella "Carta dei Lavoro" che vide la luce il 21 aprile 1927.
"La Carta del Lavoro" trasportava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.
In un articolo di fondo apparso alcuni anni or sono su "Il Giornale d'Italia", fra l'altro si legge: "La nascita dello Stato Corporativo rappresentò il tentativo di superare i limiti del cosiddetto Stato Liberale e l'incubo dello Stato Sovietico. Il secondo conflitto mondiale infranse l'esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell'isolamento internazionale provocate dalle sanzioni e dall'autarchia".
Il Diritto Corporativo tende a porre l'Uomo al centro della Società postulando dei principii di cui ne cito alcuni ritenendoli i più caratterizzanti e avvalendomi dello studio del Dott. Sebastiano Barolini:
1) ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa;
2) partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa;
3) partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali onde evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
4) intervento dello Stato attraverso suoi funzionari immessi nei Consigli di Amministrazione allorquando le imprese assumono interesse nazionale a maggior difesa dei lavoratori
5) diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;
6) diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale di contro all'appiattimento collettivista ed alle concentrazioni capitaliste;
7) edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la previdenza sociale, l'assistenza gratuita alla maternità e all'infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l'assistenza agli anziani, i dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via dicendo;
8) eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia da se, altrettanto deve valere per i conflitti sociali ed evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;
9) abolizione dei sindacati di classe ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
10) Attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale che toglie ai latifondisti le terre incolte, le rende produttive e le distribuisce in proprietà gratuita ai contadini poveri.
Questi enunciati, che risalgono ai primi anni '30, non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente nel "Manifesto di Verona". (1)
Come logica successione di questo processo che, come abbiamo visto, partì nel lontano 1914 e giunse ad approdare alle "Leggi sulla Socializzazione" nella Repubblica Sociale Italiana.
Sin dalla seduta del Consiglio dei Ministri del 27 Settembre 1943 (quindi a pochissimi giorni dalla sua liberazione), Mussolini fra l'altro dichiarava che "la Repubblica avrebbe avuto un pronunciatissimo contenuto sociale" e il 29 settembre ancor più esplicitamente: "(la Repubblica Sociale Italiana avrebbe avuto) un carattere nettamente socialista stabilendo una larga socializzazione delle aziende e l'autogoverno degli operai".
La Socializzazione era uno strumento per una più ampia trasformazione dello Stato così come era nel pensiero fascista: socializzare l'economia per socializzare lo Stato.
Questo pensiero può risultare più chiaro leggendo uno stralcio della Relazione che accompagnò il Decreto Tarchi, Ministro dell'Economia: "(...) la civiltà tende ad un nuovo ciclo, e quel nuovo ciclo nel quale l'uomo riassumerà il ruolo di protagonista della propria storia e del proprio destino in funzione della sua personalità estrinsecantesi in attività concrete sociali, cioè nel lavoro. Sotto tale profilo l'affermazione programmatica che riconosce il lavoro come soggetto dell'economia (...)".
Ecco allora prender forma la dottrina della società come era intravista da Saint Simon, da Owen, da Mazzini, concezioni vilipese dal Bolscevismo ma ben focalizzate dal "socialismo effettuabile" di Mussolini e riportate nel "Manifesto di Verona" e ufficializzate nella dichiarazione programmatica del 13 gennaio 1944 e nel decreto legislativo dell'11 febbraio seguente.
La Borsa di Milano, che era ben vitale nella Repubblica Sociale, il 13 gennaio, all'annuncio dei provvedimenti sulla Socializzazione, determinò il giorno dopo la caduta dell'indice generale da 854 a 727 punti. Dopo un periodo di stasi, quando il 13 febbraio furono emanati i decreti di Socializzazione, l'indice generale scese a 567 punti, poi però, ad iniziare da marzo riprese a salire fino a toccare, il 6 giugno 1944 il ragguardevole livello di 1745 punti (2).
Certamente il Paese che sopportava oltre quattro anni di disastrosa guerra e diversi mesi di lotta intestina, ben difficilmente poteva attuare in tempi rapidi un così ambizioso progetto di trasformazione dello Stato. Progetto, però, che, come disse Mussolini a Milano "qualunque cosa accada, è destinato a germogliare”. Giustamente l'avvocato Manlio Sargenti ha recentemente rilevato: "Purtroppo questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni dell'idea del Fascismo e della Repubblica Sociale".
Prima di chiudere il lavoro e concludere, ritengo importante citare gli articoli che sono di base della nostra lotta politico-sociale, articoli che, ovviamente a oltre ottanta anni dalla loro promulgazione, possono essere ritoccati lì dove è necessario ma il cui spirito deve rimanere inalterato.
Art. 9) base della Repubblica Sociale Italiana e suo soggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
Art. 10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.
Art. 12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale), le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione dell'equa ripartizione degli utili tra il fondo e la riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori (...).
Gli articoli non menzionati sono certamente meritevoli di essere ricordati, ma motivi di spazio mi inducono a citare quelli essenziali che da soli caratterizzano lo spirito di base del "Manifesto di Verona"; e sempre per tirannia di spazio sono costretto a rinunciare ad un dovuto commento anche degli articoli menzionati.
L'attuazione della "Legge sulla Socializzazione" trovò enormi difficoltà causate sia dagli industriali, per ovvi motivi; dai tedeschi timorosi che la resistenza passiva da parte degli industriali avrebbe potuto danneggiare la produzione bellica; da parte dei comunisti, che ormai plagiavano i lavoratori, timorosi che la Socializzazione li scavalcasse a sinistra.
Questa situazione di stallo persistette sino a quando Concetto Pettinato, che Mussolini stesso aveva definito "la nostra più importante mente giornalistica”, creò un caso clamoroso. Un suo articolo, pubblicato su "La Stampa" (di cui era direttore) del 21 giugno 1944, dal titolo: "Se ci sei batti un colpo", diede una sferzata al Capo della RSI e lo costrinse a mettere in atto quelle Leggi sulla Socializzazione che, come abbiamo visto, erano già approvate in sede legislativa ma rimaste inoperanti.
Mussolini ruppe gli indugi e autorizzò il Decreto del giugno '44 e l'entrata in vigore del Decreto del febbraio precedente.
A causa della drammatica crisi che attraversava il Paese, Mussolini ritenne opportuno attuare la Socializzazione per gradi; iniziando dalle imprese editoriali.
La situazione stava precipitando, ma nelle imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della produzione. A dicembre 1944, Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondadori traendone sorpresa ed emozione. A seguito di ciò inviò una lettera a Mussolini nella quale, fra l'altro scrisse: "Ho parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di Gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione dato che gli utili dopo questi primi mesi è di circa 3 milioni”.
La guerra ormai volgeva alla fine e, come ha scritto Amicucci ne "I 600 giorni di Mussolini": "Mussolini voleva che gli angloamericani e i monarchici trovassero il nord d'Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero, nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste socialiste raggiunte con la RSI".
Proprio a questo scopo il 22 marzo 1945 il Consiglio dei Ministri decise che si procedesse entro il 21 aprile alla Socializzazione delle imprese con almeno 100 dipendenti e un milione di capitale.
Per ripagare il grande contributo avuto dai grandi industriali, i comunisti che controllavano appieno il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 25 aprile 1945, proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato "l'olocausto nero", ripeto, come primo atto ufficiale fu l'abolizione della "Legge sulla Socializzazione". E l’operazione fu condotta proprio dal padre di Enrico Berlinguer. Non lo sapevate? D’altra parte fu legittima difesa, in quanto i Berlinguer erano ricchissimi proprietari terrieri.
Così era iniziata la grande beffa a danno dei lavoratori.
Quanti di voi conoscevano quanto riportato?
1) Questi principi rivoluzionari che avrebbero posto in discussione i "diritti acquisiti" costrinsero tanti "potenti della terra", a coalizzarsi per ostacolare il processo mussoliniano prima imponendo le Sanzioni, obbligandoci poi alla guerra, quindi "inventandosi" il "25 luglio", l'8 settembre ed infine i massacri del secondo dopoguerra allo scopo che di quelle idee non rimanesse più traccia. Paradossale è che di questo diabolico progetto la grossa finanza si avvalse proprio di quella classe che ne sarebbe stata lesa: la classe dei meno abbienti. E l'inganno continua!
2) Solo per conoscenza storica il 6 giugno, alla notizia dello sbarco angloamericano in Francia, si verificò il crollo della Borsa del 30% chiudendo, però, l'anno borsistico il 2 agosto 1944, al buon livello di 1219 Punti.
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